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La polemica sulle bollette tra Confindustria e Palazzo Chigi è il segno di problemi più seri


L’associazione esprime “forte preoccupazione” e perfino “contrarietà” per l’assenza “di misure concrete a favore del cuore produttivo del paese”. Mentre il governo esprime irritazione. Un botta e risposta esaurito in due note di stampa, ma comunque significativo

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C’è stata una micro crisi tra governo e Confindustria, così micro che due giorni dopo sembra già dimenticata, anche perché l’attenzione generale era concentrata tra San Pietro e Santa Maria Maggiore. Ma le contenute dimensioni dello scontro, limitato, nella parte visibile, a un botta e risposta esaurito in due note di stampa, non ne riducono la significatività e, anzi, rendono il breve episodio del 24 aprile ancora più interessante per capire che strade può prendere la politica per favorire lo sviluppo economico e che intenzioni ha il governo riguardo all’agenda della crescita. Se cioè vuole provare a contrastare la fase di difficoltà dovuta al rallentamento del commercio internazionale con più sostegno alle imprese (che si esprime anche attraverso omissioni della regolazione eccessiva oltre che con atti) o se invece vuole lasciare tutto com’è. 

Il contrasto, come si diceva, è emerso prima con una nota di Confindustria, intestata all’associazione e non al presidente o a un altro dirigente, in cui si esprimeva “forte preoccupazione” e perfino “contrarietà” per l’assenza “di misure concrete a favore del cuore produttivo del paese”

Il tutto seguito da un paio di numeri per far capire le difficoltà delle industrie, con la “bolletta energetica a carico delle imprese italiane” che supera abbondantemente i 20 miliardi e lo “spread energetico” che supera il 35 per cento e può arrivare all’80 per cento nel confronto non con chissà quali economie arrembanti ma con gli altri paesi europei. 

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Alla nota anonima, cioè non attribuita a persone, dell’associazione degli industriali rispondeva un’altra entità impersonale, ma ovviamente personalissima, e cioè Palazzo Chigi. Dalla sede del governo arrivava, poco dopo lo sfogo confindustriale, una risposta duretta, ma più procedurale che contenutistica. Poche parole per esprimere la “irritazione di Palazzo Chigi” per le dichiarazioni di Confindustria sul decreto bollette, di cui si era ampiamente discusso in sede di confronto preventivo. “Stupisce – aggiungeva l’anonima voce del palazzo – che l’associazione degli industriali abbia manifestato la sua contrarietà solo dopo l’approvazione definitiva del provvedimento da parte del Senato”. 

Insomma, una lite da poco, riassumibile in un “potevate parlare prima”. Con il tutto ridimensionato dal fatto che il decreto bollette di suo è poca cosa e opera sul breve periodo. Per rimettere le cose al loro posto serviva che smettessero di parlarsi tra loro entità come palazzi e associazioni e tornassero gli umani. Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini è intervenuto nel modo più diretto, attraverso il Sole 24 Ore, per trasformare il messaggio d’irritazione in proposte fattive. E, recuperando il possibile dello spirito costruttivo, si è fatto riassumere dalla proposta di collaborare sui costi dell’energia. E’ vero che i costi energetici stanno minando la competitività dell’industria italiana, ha detto, ma per venirne fuori non si deve certo guardare a interventi si breve respiro come il decreto bollette. Ne serve – dice Orsini – uno nuovo, strutturale, in cui potrebbero trovare attuazione anche varie misure a costo zero, con la possibilità di fornire energia alle imprese industriali con contratti a lungo termine, con la riduzione dei vincoli per installare gli impianti di rinnovabili dove servono davvero e cioè sulle aree industriali, con l’estensione anche alle Pmi della riduzione degli oneri di sistema. 

 

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E’ la proposta di un’agenda concreta e stupisce che il governo, di fronte a temi non problematici per la maggioranza, non colga l’opportunità di avviare politiche favorevoli allo sviluppo, di fronte a previsioni peggiorate sulla crescita del pil. Confindustria ha tenuto la linea del dialogo (rotta solo con la micro crisi di cui sopra) anche di fronte alla riduzione certificata dall’Ufficio parlamentare di bilancio per 13 miliardi degli incentivi a imprese e lavoratori autonomi stabilita con l’ultima legge di Bilancio (il totale è più elevato se si considera anche l’abolizione strutturale dell’Ace con la scorsa legge di Bilancio, attraverso cui il governo ha sottratto alle imprese 4,8 miliardi nel 2025). E ha accettato anche una distribuzione meno favorevole delle decontribuzioni. 

L’equilibrio regge ancora, ma con la crisi dei dazi serve qualche colpo vincente in più. L’accordo di libero scambio con i paesi del Mercosur, osteggiato dalle organizzazioni agricole, Coldiretti in testa, piace agli industriali – Orsini sin è esposto in prima persona dicendo ch va approvato – perché aprirebbe i mercati del Sud America con cui provare a compensare parte della riduzione dell’export dovuta alle bizze trumpiane. Cosa farà il governo, oltre a irritarsi per le note di critica?
 

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