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i salari reali crollano, peggior dato tra i Paesi G20


I salari reali italiani, ovvero quelli corretti per l’inflazione, sono diminuiti durante la recente crisi del costo della vita – con cali marcati nel 2022 e 2023 – e restano ancora inferiori ai livelli del 2008, a differenza della maggior parte dei Paesi del G20. È quanto si apprende dal “Rapporto mondiale sui salari 2024–25: Le tendenze dei salari e delle disuguaglianze salariali in Italia e nel mondo” dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), che analizza le tendenze globali e nazionali in materia di retribuzioni e disuguaglianze salariali. 

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Nonostante il 2024 abbia segnato una timida ripresa, l’aumento registrato non basta a compensare le perdite subite negli anni di alta inflazione. Sul fronte delle disuguaglianze, il nostro Paese presenta forti squilibri nella fascia alta della distribuzione. In controtendenza rispetto al quadro globale, la disuguaglianza salariale media in Italia è rimasta stabile nel periodo 2006-2018, riflettendo un equilibrio solo apparente tra la riduzione delle disuguaglianze al vertice e l’ampliamento del divario tra i redditi più bassi.

  

Salari italiani in calo da oltre 15 anni: una perdita record nel G20

L’Italia è il Paese del G20 ad aver subito la perdita più marcata in termini di potere d’acquisto dal 2008. Secondo i dati dello studio, i salari reali sono diminuiti dell’8,7%, un dato peggiore rispetto al Giappone (-6,3%), alla Spagna (-4,5%) e al Regno Unito (-2,5%). L’erosione del potere d’acquisto è stata particolarmente intensa nel periodo 2009–2012, durante gli anni successivi alla crisi finanziaria globale. Per contro, la Repubblica di Corea si distingue per aver registrato un aumento salariale complessivo del 20% tra il 2008 e il 2024.

L’aumento del costo della vita ha peggiorato ulteriormente il quadro, colpendo duramente l’Italia nel biennio 2022-2023. In questi anni, i salari reali di lavoratori e lavoratrici sono calati rispettivamente del 3,3% e del 3,2%, superando in negativo la media delle economie avanzate del G20. Solo nel 2024 si è registrata un’inversione di tendenza, con una crescita media del 2,3%. Un rimbalzo che, seppur più marcato rispetto alla media dei Paesi del G20 analizzati (+1,4 punti percentuali), non basta a recuperare le perdite accumulate nel corso del tempo.

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Produttività stagnante e lavoratori poveri

Il rapporto tra salari e produttività del lavoro evidenzia un ulteriore punto critico. Dal 1999 al 2021 i salari reali italiani sono cresciuti più della produttività del lavoro, ma dal 2022 si è verificato un cambiamento: la produttività ha iniziato a salire più dei salari. Ciò significa che ogni lavoratore ha prodotto di più, ma il suo salario non è aumentato proporzionalmente, soprattutto se si considera l’inflazione. Nel confronto internazionale, il ritardo appare ancora più profondo: mentre nei Paesi ad alto reddito la produttività del lavoro è aumentata del 30% tra il 1999 e il 2024, in Italia è diminuita del 3%.

Le misure di adeguamento salariale introdotte negli ultimi due anni hanno cercato di contrastare la spinta inflazionistica, ma si sono rivelate insufficienti, in particolare per i lavoratori a basso reddito. Questi ultimi destinano una quota maggiore del loro reddito a beni essenziali come cibo e alloggio, risultando quindi più esposti all’aumento dei prezzi. Dopo aver toccato un picco dell’8,7% nel 2022, l’inflazione in Italia ha rallentato nel 2023 e 2024 (in linea con l’andamento dei paesi dell’Unione europea), tuttavia la crescita salariale non ha tenuto il passo. 

Parallelamente, anche il Pil reale italiano ha mostrato segnali di rallentamento: con un +0,7% nel biennio 2023-2024 la performance del nostro Paese è stata inferiore rispetto alla media Ue (1,1%) e delle economie avanzate (1,8%). A livello globale, la crescita si è attestata al 3,2%, quasi il triplo rispetto all’Unione europea.

Disuguaglianze salariali: un fenomeno globale

Oltre tre quarti della forza lavoro mondiale dipendente è esposta a significative disuguaglianze salariali. Secondo i dati raccolti dall’Oil in 82 Paesi, che rappresentano circa il 76% del totale dei lavoratori globali, la distribuzione dei salari orari mostra una consistente disparità, con differenze profonde tra Paesi a basso e ad alto reddito. I primi sono quelli in cui le disuguaglianze salariali risultano più acute, mentre nei secondi i livelli medi di disparità sono più contenuti. Tuttavia, anche nei Paesi ad alto reddito le disuguaglianze non scompaiono ma si concentrano nelle fasce intermedie e superiori della scala retributiva.

Nel contesto italiano, le disparità salariali assumono forme specifiche. La parte alta della distribuzione retributiva è quella dove si concentra la maggior divergenza, riflettendo una crescente polarizzazione nei guadagni. Inoltre, quasi il 52% dei lavoratori con bassi salari è donna, a fronte di una presenza complessiva delle donne pari al 43,2% tra i lavoratori dipendenti. La penalizzazione salariale non riguarda solo il genere, ma anche la provenienza: i lavoratori migranti in Italia guadagnano in media il 26,3% in meno rispetto ai colleghi italiani, a parità di lavoro. Una disuguaglianza strutturale che aggrava ulteriormente il quadro della giustizia salariale nel paese.

L’importanza delle politiche

“Le dinamiche salariali non sono solo una questione di reddito individuale, ma rappresentano uno snodo cruciale per ridurre le disuguaglianze e costruire società più giuste”, ricorda infine l’Oil evidenziando il ruolo di una crescita economica trainata dai salari: se sostenuta da politiche redistributive, dall’aumento dei salari minimi e da una contrattazione collettiva solida, è in grado di innescare un circolo virtuoso fatto di maggiore domanda interna, incremento della produttività e rilancio degli investimenti. 

Ma non basta agire solo sulla leva salariale. Per affrontare le disuguaglianze in modo strutturale, le strategie nazionali devono integrare l’obiettivo dell’equità retributiva con politiche di trasformazione economica e ambientale, capaci di coniugare sostenibilità, innovazione e crescita della produttività. Solo così si potrà costruire un’economia più inclusiva e resiliente di fronte alle sfide del presente e del futuro.

 

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Copertina: Unsplash



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