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Autore: Marco Rossetti
ASSINEWS 374 – Maggio 2025

Nell’attesa (imminente) del Regolamento IVASS sul funzionamento dell’arbitro assicurativo, vediamo più da vicino i rischi e le opportunità del nuovo istituto

1. Un nuovo nato
Il d.m. 6.11.2024 n. 215 (in Gazz. uff. 9.1.2025 n. 6, in vigore dal 24.1.2025) ha finalmente dato attuazione all’art. 187.1 cod. ass. (introdotto dall’art. 1, comma 18, lettera (b), del d. lgs. 30 dicembre 2020, n. 187), rendendo operativo il c.d. “arbitro assicurativo”: in pratica, un organo di risoluzione stragiudiziale sia delle controversie tra assicurati ed assicuratori, sia delle controversie tra assicurati ed intermediari.

Diciamo subito che si tratta di un sistema alternativo di risoluzione delle controversie, non propedeutico né impeditivo del ricorso all’autorità giudiziaria. Ricorrere all’arbitro insomma è una facoltà, non un obbligo.

2. Una lunga gestazione
Che la legge dovesse prevedere un sistema alternativo alla lite giudiziaria, per comporre le controversie tra assicurati da un lato, assicuratore od intermediari dall’altro, l’Unione Europea l’aveva imposto sin dal 2016, con la Direttiva 20.1.2016 n. 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio. L’art. 15 di tale Direttiva imponeva agli Stati membri di istituire “procedure di reclamo e di risoluzione stragiudiziale delle controversie adeguate, efficaci, imparziali e indipendenti, per la risoluzione delle controversie insorte fra i clienti e i distributori di prodotti assicurativi”.

Ci sono voluti però quasi dieci anni perché questa Direttiva trovasse concreta attuazione. La Direttiva infatti fu attuata (formalmente) col d. lgs. 21.5.2018 n. 68, il quale introdusse nel codice delle assicurazioni l’art. 187-ter (introdotto dall’art. 1, comma 34, del suddetto d. lgs.). Tale norma impose agli assicuratori, agli intermediari e ad “ogni altro operatore del mercato assicurativo” di aderire ad un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela (ADR) “relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti da tutti i contratti di assicurazione, senza alcuna esclusione”.

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Tuttavia, nell’imporre tale obbligo, la norma delegò il Ministro della giustizia a dettare con proprio decreto, su proposta dell’IVASS, le regole di funzionamento di questo sistema alternativo di risoluzione delle controversie: in particolare, i criteri di svolgimento delle procedure ed i criteri di composizione dell’organo decidente.

Il Ministero della giustizia tuttavia non emanò mai quel decreto, e lo stesso art. 187-ter cod. ass. ebbe vita breve: appena due anni e mezzo dopo la sua entrata in vigore fu abrogato dall’art. 1, comma 20, lettera (b), del d. lgs. 30 dicembre 2020, n. 187. Questo decreto introdusse nel codice delle assicurazioni, in luogo del vecchio art. 187-ter, un nuovo art. 187.1, modificativo in più punti della previgente (e mai attuata) previsione.

In particolare, il compito di disciplinare con proprio decreto la procedura “arbitrale” e la composizione dell’organo decidente fu sottratto al Ministro della giustizia ed affidato al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia e su proposta dell’IVASS. Anche il Ministro dello sviluppo economico (oggidì “Ministero delle imprese e del made in Italy”) tuttavia non si può dire sia stato un Achille pie’ veloce.

Ci sono voluti infatti altri quattro anni per attuare finalmente il nuovo sistema, come già detto col d.m. 6.11.2024 n. 215.

3. Chi è l’ar bitro
L’arbitro assicurativo è un organo dell’IVASS a composizione collegiale. L’art. 1 d.m. 215/24 recita infatti che “è istituito presso l’IVASS”. È composto di più collegi giudicanti, ciascuno di cinque membri (come la Corte di cassazione!).

Tre dei cinque membri dei collegi giudicanti sono nominati dall’IVASS (tra i quali il presidente). Per gli altri due il d.m. 215/24 prevede un sistema abbastanza complesso, che potremmo riassumere così: i due membri del collegio giudicante non scelti dall’IVASS sono “rappresentativi” (da intendersi questa espressione in senso molto lato: un arbitro non rappresenta nessuno, né gli sarebbe ovviamente consentito decidere la controversie a favore del gruppo sociale od economico di cui è espressione) l’uno degli interessi di chi assume la posizione di “attore”, l’altro di chi assume la posizione di “convenuto”.

Ma poiché, come vedremo tra breve, attori e convenuti possono appartenere a categorie diverse, il decreto ha attribuito ben quattro competenze diverse per nominare i due quinti del collegio giudicante, e cioè:

a) se l’attore è un consumatore, uno degli arbitri è nominato dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti1;

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b) se l’attore non è un consumatore, uno degli arbitri è nominato “congiuntamente dalle associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale e che hanno svolto attività continuativa nei tre anni precedenti”;

c) se il convenuto è un’impresa assicuratrice, uno degli arbitri è nominato “dall’associazione di categoria delle imprese maggiormente rappresentativa a livello nazionale” (previsione inutile, perché esiste una sola associazione di tal fatta: l’ANIA);

d) se il convenuto è un intermediario, uno degli arbitri è nominato “congiuntamente dalle associazioni di categoria degli intermediari maggiormente rappresentative a livello nazionale, per le quali il requisito della rappresentatività può essere conseguito anche attraverso accordi tra associazioni di categoria”.

3.1. Tre delle previsioni di cui sopra pongono vari problemi. La prima previsione problematica è la norma [art. 4, comma 2, lettera (c), d.m. 215/24] che disciplina la nomina del quinto arbitro nel caso di ricorsi proposti da “non consumatori”.

Un “non consumatore” è necessariamente un professionista o un impren ditore, o chiunque abbia stipulato un contratto di assicurazione per finalità inerenti all’esercizio d’una impresa. Può essere dunque un medico od avvocato che hanno assicurato la propria responsabilità civile; un appaltatore edile che ha stipulato una polizza Contractor All Risk, un vettore professionale che ha stipulato una polizza per conto di chi spetta a copertura dei danni alla merce trasportata, ex art. 1891 c.c..

In questi casi il quinto arbitro dovrebbe essere nominato di comune accordo dai “sindacati” delle suddette categorie. Ma con quali tempi, con quali modalità, con quali criteri, sono questioni rimaste nella penna dei concierges ministeriali. Così, ad es., le associazioni di categoria rappresentative di medici od avvocati sono varie decine.

Aggiungasi che potrebbero esistere ricorrenti i quali svolgono un’attività d’impresa per le quali non esistono associazioni di categoria (esiste un sindacato dei webmaster? Non lo so), oppure esistono ma sono attive da meno di tre anni. In questi casi non sarà facile per l’IVASS individuare il proprio interlocutore, al quale chiedere legittimamente, e dal quale legittimamente ottenere, la nomina dell’arbitro.

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3.2. Analoghe considerazioni, mutatis mutandis, possono svolgersi con riferimento alla nomina del quinto arbitro quando il convenuto è un intermediario: in questo caso la nomina è fatta “congiuntamente” dalle associazioni di categoria maggiormente rappresentative, ma la legge non prevede sistemi di superamento dell’empasse, nel caso – improbabile, ma non impossibile – in cui le suddette associazioni non trovino un accordo.

3.3. La terza previsione problematica è quella che fa dipendere la competenza a nominare il quarto ed il quinto arbitro in funzione della veste del ricorrente o del convenuto. Come abbiamo visto, uno degli arbitri è nominato o dal Consiglio Nazionale degli utenti, o dalle associazioni di categoria maggiormente rappresentative, “in funzione della categoria di appartenenza del cliente che ha presentato il ricorso”.

Parimenti, e converso, un altro degli arbitri è nominato dall’ANIA o dai sindacati degli agenti, “in funzione della natura del soggetto nei cui confronti è stato presentato il ricorso”.  Dunque il decreto mostra di ritenere implicitamente, ma chiaramente, che ricorrente può essere solo l’assicurato, e resistente può essere solo l’assicuratore o l’intermediario.

Questi ultimi, pertanto, secondo il Ministro non potrebbero mai assumere la veste di ricorrenti, né l’assicurato potrebbe assumere la veste di resistente. Siamo sicuri che le cose stiano davvero così? Partiamo dalla normativa sovranazionale: l’art. 15 della Direttiva 2016/97 imponeva agli Stati membri di prevedere sistemi di ADR per la risoluzione delle controversie “insorte fra i clienti e i distributori di prodotti assicurativi aventi come oggetto i diritti e gli obblighi”.

Questa espressione è ancipite: è vero infatti che la direttiva pone obblighi solo a carico degli intermediari e non anche dei clienti, ma non è men vero che una controversia può avere ad oggetto sia la pretesa del cliente che lamenti una condotta scorretta dell’intermediario; sia la pretesa dell’intermediario che intenda in prevenzione far accertare l’infondatezza delle contestazioni rivoltegli da un cliente.

Ancora più generico è l’art. 187.1, comma 1, cod. ass., il quale assegna all’arbitro assicurativo il compito di risoluzione stragiudiziale delle “controversie con la clientela relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti da tutti i contratti di assicurazione, senza alcuna esclusione”.

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Insomma, quali che fossero le intenzioni del legislatore, la lettera della legge non sembra impeditiva della facoltà di intermediari e assicuratori di assumere la veste di ricorrenti al cospetto dell’arbitro. E se si avverasse questa ipotesi, si verificherebbe il paradosso per cui non si saprebbe a chi competa la nomina di due dei cinque arbitri: non al consiglio Nazionale dei consumatori, perché il consumatore qui sarebbe convenuto; né all’ANIA, perché l’assicuratore sarebbe il ricorrente.

È comunque prevedibile, e auspicabile, che l’IVASS provveda a colmare tali lacune col Regolamento attuativo che l’art. 13, comma 1, lettera (b), del d.m. 215/24 gli ha delegato di emanare, per l’appunto, al fine di regolare in dettaglio la procedura di selezione e nomina dei componenti del collegio2.

4. Cosa fa l’arbitro
L’arbitro assicurativo decide le controversie tra assicurati da un lato, assicuratori o intermediari dall’altro. Chiediamoci dunque: a) se il ricorso all’arbitro sia facoltativo od obbligatorio; b) quali controversie può decidere l’arbitro; c) quali decisioni può adottare l’arbitro, e con quali effetti.

4.1. Il primo quesito già ci pone un problema. L’art. 187.1, comma terzo, cod. ass., stabilisce che il ricorso all’arbitro “non pregiudica il ricorso ad ogni altro strumento di tutela previsto dall’ordinamento”.

Subito prima, però, nella stessa disposizione di legge che il ricorso all’arbitro “è alternativo” rispetto alla mediazione (d. lgs. 28/10) ed alla negoziazione assistita (d.l. 132/14).

In materia assicurativa la mediazione e la negoziazione assistita sono condizioni di procedibilità dell’azione giudiziaria: la mediazione è condizione di procedibilità rispetto alle “controversie in materia di contratti assicurativi” (art. 5, comma 1, d. lgs. 28/10); la negoziazione assistita è condizione di procedibilità delle controversie in tema di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e di qualunque controversia di valore non superiore a 50.000 euro (art. 3 d.l. 132/14).

Pertanto, dire che il ricorso all’arbitro “è alternativo” alla mediazione ed alla negoziazione lascerebbe intendere che esso vale come assolvimento della condizione di procedibilità. Ma nello stesso tempo dire che il ricorso all’arbitro “non pregiudica il ricorso ad ogni altro strumento di tutela” lascerebbe intendere che non costituisce una condizione di procedibilità.

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Il nostro legislatore non è nuovo a cortocircuiti logico-giuridici di questo tipo. Dovrà quindi sovvenire l’interprete a sciogliere l’ambiguità, ed a me pare che la soluzione corretta sia ritenere che chi si è rivolto senza successo all’arbitro, ed intenda proporre una domanda giudiziale, non ha l’onere di assolvere la condizione di procedibilità della mediazione o della negoziazione. Mediazione e negoziazione hanno infatti lo scopo di favorire le transazioni stragiudiziali ed alleggerire il carico degli uffici giudiziari.

Ma se due persone si sono già vanamente confrontate dinanzi all’arbitro (composto da cinque persone!), sarebbe contrario ad ogni logica costringerle a tornare davanti al mediatore o far negoziare i loro avvocati. Questa interpretazione appesantirebbe gli oneri gravanti sulle parti proprio per quelle controversie di modesto valore economico che dovrebbero essere risolte più speditamente.

Credo dunque che l’art. 187,1, comma terzo, cod. ass., debba interpretarsi nel senso che chi si sia ricolto all’arbitro infruttuosamente può adire l’autorità giudiziaria senza necessità di ricorrere alla mediazione od alla negoziazione assistita.

Quindi:
-) ricorrere all’arbitro è una facoltà, non un obbligo;
-) ricorrere all’arbitro diventa però un onere, alternativo alla mediazione ed alla negoziazione, richiesto a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.

Quindi, chi non volesse spendere soldi per il mediatore o remunerare l’avvocato anche per la fase di negoziazione, avrà la strada segnata: prima il reclamo alla compagnia, poi il ricorso all’arbitro, infine l’azione giudiziale.

4.2. Veniamo al secondo quesito: quali controversie può decidere l’arbitro? L’arbitro assicurativo decide le controversie che abbiano le seguenti caratteristiche:

a) debbono essere controversie “derivanti da un contratto di assicurazione”;

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b) debbono essere controversie per la cui decisione non occorrano altre prove che quelle documentali (e dunque né testimoni, né ispezioni, né consulenze tecniche);

c) debbono avere per oggetto l’accertamento di diritti, anche risarcitori, obblighi e facoltà inerenti alle prestazioni e ai servizi assicurativi o l’inosservanza delle regole di comportamento gravanti sugli intermediari.

La formula della legge è così ampia che deve ritenersi comprensiva di ogni tipo di domanda: di esecuzione del contratto; di risoluzione o rescissione del contratto; di accertamento della nullità o pronuncia dell’annullamento; di condanna.

La conclusione è corroborata dall’art. 3, comma quarto, d.m. 215/24, ove si legge che il ricorso all’arbitro può avere ad oggetto “anche” il risarcimento del danno; e la congiunzione “anche” non lascia dubbi sul fatto che il risarcimento è solo una delle possibili richieste da sottoporre all’arbitro.

Ma la nullità o l’annullamento del contratto possono in teoria essere invocati non solo dall’assicurato, ma anche dall’assicuratore: si pensi all’ipotesi in cui l’assicuratore, prima dell’avverarsi del rischio, scopra che l’assicurato è stato mendace al momento della conclusione della polizza, ed intenda chiedere l’annullamento ex art. 183 c.p.c.; oppure all’ipotesi in cui l’assicuratore appuri che l’assicurato non gli ha comunicato l’aggravamento del rischio ex art. 1898 c.c..

Sia la legge (art. 187.1 cod. ass.), sia la normativa secondaria (d.m. 215/24); sia la normativa di ultimo livello (il Regolamento IVASS in fase di emanazione), senza mai affermarlo espressamente, sembrano dare per scontato che il ricorrente all’arbitro debba essere necessariamente l’assicurato, ed il resistente debba essere necessariamente l’assicuratore o l’intermediario.

Ma come già detto supra (§ 3.3), la norma primaria (Direttiva e legge nazionale) non esclude affatto la possibilità che possa essere l’assicuratore a ricorrere all’arbitro, e del resto se l’arbitro ha lo scopo di favorire le conciliazioni e ridurre i costi, la legge dovrebbe essere interpretata nel senso di favorire al massimo tale finalità.

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4.2.1. Il legislatore ha posto anche un limite di valore alle controversie sottoponibili all’arbitro assicurativo.

Se il ricorso ha ad oggetto una domanda di condanna al pagamento d’una somma di denaro, questa non può eccedere:
a) 300.000 euro, se la controversia ha ad oggetto una polizza vita per il caso morte;
b) 150.000 euro, se la controversia ha ad oggetto una polizza del ramo vita diversa dall’assicurazione sulla vita per il caso di morte (e quindi l’assicurazione vita per il caso di sopravvivenza e l’assicurazione vita mista);
c) 2.500 euro, se la controversia ha ad oggetto il risarcimento del danno ed è proposta dal dan neggiato nei confronti dell’assicuratore della r.c. del danneggiante, quando ciò sia consentito dalla legge;
d) 25.000 euro, per tutte le altre controversie. I dubbi che questa singolare e scombiccherata previsione suscitano sono talmente tanti e tali che in questa sede sarebbe impossibil cosa esaminarli tutti.

Mi limiterò dunque ai più evidenti:

1) le controversie assicurative possono essere necessariamente litisconsortili: in materia di r.c.a., nel caso di coassicurazione quando il contraente chieda l’indennizzo pro quota a tutti i coassicuratori; nelle ipotesi in cui la polizza preveda una clausola di vincolo, la cessione del credito indennitario o la costituzione in pegno della stesso; nel caso di surrogazione del creditore ipotecario dell’immobile assicurato e distrutto; né la legge, né il regolamento prevedono che dinanzi all’arbitro il resistente possa chiedere che partecipi alla procedura un terzo soggetto;

2) le ipotesi di “azione diretta” concessa all’assicurato nei confronti dell’assicuratore del responsabile sono soltanto tre: r.c.a., caccia e danni da centrali nucleari. Ve ne sarebbe una quarta (r.c. medica, ma le relative norme saranno applicabili solo dal 20263). Ebbene, in materia di r.c.a. il terzo danneggiato può rivolgersi stragiudizialmente all’assicuratore proprio, ex art. 149 cod. ass.; potrà “convenire” anche quest’ultimo dinanzi all’arbitro assicurativo, chiedendone la condanna? Stando alla lettera della legge si direbbe di no, perché la domanda di condanna rivolta all’arbitro è consentita “nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile”. Quindi, l’effetto paradossale è che il ricorso all’arbitro è impedito proprio quando i danni sono più modesti e la gestione della pratica potrebbe essere più spedita;

3) la decisione di condanna pronunciata dall’arbitro sarà un titolo esecutivo? Si potrà eseguire il pignoramento o iscrivere l’ipoteca giudiziale in virtù di essa? Si potrebbe rispondere “sì”, assumendo che la decisione dell’arbitro assicurativo è pur sempre un lodo irrituale, ed il lodo dell’ arbi tro irrituale ex art. 808 ter c.p.c. è titolo esecutivo, se dichiarato esecutivo dal giudice ex art. 825 c.p.c..
In senso contrario tuttavia sembra deporre l’art. 12 d.m. 215/24, il quale nel caso di inottemperanza al provvedimento dell’arbitro non prevede altra “sanzione” che una forma di “pubblicità notizia” della renitenza dell’assicuratore; se si condivide questa seconda soluzione, tuttavia resterebbe ferma la possibilità per il contraente di richiedere un decreto ingiuntivo invocando quale prova scritta la pronuncia dell’arbitro;

4) le decisioni dell’arbitro possono contenere un accertamento o una decisione costitutiva (ad es., annullamento o risoluzione del contratto)? Come s’è detto più sopra, la legge adotta una formula assai ampia: all’arbitro sono devolute tutte le controversie scaturenti dai contratti assicurativi. L’ampia lettera della legge però contrasta col “sistema” della legge stessa.

La pronuncia dell’arbitro infatti non passa in giudicato, non è impugnabile e non vincola l’autorità giudiziaria: indice di ciò è la prevista possibilità che dopo il ricorso all’arbitro possa essere pronunciata una sentenza contrastante con la decisione arbitrale [art. 12, comma terzo, lettera (a), d.m. 215/24].

Ma una decisione arbitrale costitutiva (ad es., risoluzione del contratto) o dichiarativa (ad es., nullità del contratto) insuscettibile di divenire inoppugnabile è inconcepibile. Un contratto non potrebbe essere nello stesso tempo nullo davanti all’arbitro e valido davanti al giudice.

Deve pertanto concludersi che una eventuale sentenza dell’arbitro dichiarativa di nullità, annullamento o risoluzione del contratto debba intendersi alla stregua d’una proposta conciliativa, che in tanto vincola le parti, in quanto esse concordino nel darle spontanea esecuzione.

4.2.2. Alle regole sin qui esposte sono sottratte, e quindi non proponibili dinanzi all’arbitro, le controversie riguardanti i sinistri gestiti dal Fondo di garanzia delle vittime della caccia e della strada; quelle relative a fattispecie rimesse alla competenza della CONSAP, e quelle concernenti i grandi rischi.

4.3. Il terzo quesito (quali decisioni può adottare l’arbitro) trova una parziale risposta già in quanto esposto al § che precede. L’arbitro può pronuncia- re decisioni di condanna nei limiti di valore sopra indicati; può pronunciare decisioni dichiarative o costitutive insuscettibili di divenire inoppugnabili.

Quando pronuncia condanna l’arbitro decide secondo equità (art. 11, comma 4, d.m. 215/24) e può formulare alle parti proposte conciliative. Anche questa previsione è assai poco perspicua. Una pronuncia di condanna esige un accertamento dei fatti. L’arbitro tuttavia non può svolgere altra istruttoria che quella cartolare: non può ascoltare testimoni e non può disporre consulenze tecniche.

Certo, non può negarsi che la liquidazione dell’indennizzo dovuto in virtù d’un sinistro possa dimostrarsi solo coi documenti (si pensi all’assicurazione del credito). Ma in materia assicurativa, al contrario di quella bancaria, domina sovrano il rischio come descritto nel contratto, e il rischio è un fatto, non una annotazione contabile.

L’arbitro dunque nasce già monco, perché gli si affida il compito di dirimere controversie che naturaliter richiedono l’accertamento di fatti, ma gli si preclude il ricorso alle prove critiche e gli si consente solo il ricorso alle prove storiche.

5. Conclusioni
Al netto dei problemi interpretativi sopra delineati, che spetterà all’arbitro stesso risolvere, l’attuazione dell’art. 187.1 cod. ass. costituisce comunque un nuovo strumento a disposizione degli assicurati, degli assicuratori e degli intermediari; potrà servire ad evitare il ricorso all’autorità giudiziaria; potrà fare risparmiare tempo e denaro.

Il suo successo non dipenderà dalla farragine o dall’esattezza delle regole di procedura, né dai limiti più o meno ampi dei suoi poteri. Il suo successo dipenderà dalla caratura professionale, intellettuale e morale delle persone che lo incarneranno. Sarà un banco di prova per la serietà, l’imparzialità e l’affidabilità etica dell’IVASS, del Consiglio Nazionale dei consumatori, dell’ANIA, dello SNA e di tutte le altre associazioni di categoria interessate.

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