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Tutti sfiduciati, segnali preoccupanti per l’economia italiana


Ad aprile 2025, i dati diffusi dall’Istat segnalano un nuovo peggioramento del clima di fiducia in Italia. Sia i consumatori sia le imprese mostrano un atteggiamento sempre più pessimista, alimentato da un contesto economico fragile e da aspettative poco favorevoli sul breve termine. Questo doppio calo, il secondo consecutivo, rappresenta un campanello d’allarme importante, soprattutto alla luce delle recenti revisioni al ribasso delle previsioni di crescita.

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Le famiglie italiane, già alle prese con il caro vita, l’aumento dei tassi e l’instabilità geopolitica, sembrano sempre meno disposte a spendere. Dall’altra parte, le imprese devono affrontare una domanda interna debole e un futuro incerto, sia sul fronte nazionale che internazionale.

Il risultato è un quadro generale di sfiducia che rischia di alimentare una spirale negativa difficile da invertire.

La dinamica evidenziata a fine aprile appare coerente con un primo trimestre del 2025 ancora stentato, in cui né il mercato del lavoro né i consumi hanno dato segnali significativi di ripresa. Anche le politiche economiche del governo, ancora focalizzate sul contenimento del deficit, non sembrano per ora in grado di stimolare la fiducia.

Consumatori più prudenti: cala la propensione alla spesa

Il clima di fiducia dei consumatori è sceso a quota 92,7, rispetto al 95,0 registrato a marzo. Si tratta del livello più basso dal luglio 2022. Secondo l’Istat, tutte le componenti dell’indice sono in diminuzione: dai giudizi sulla situazione economica personale alle attese per il futuro, fino alla valutazione del contesto generale del Paese.

Il peggioramento si concentra soprattutto tra le famiglie a reddito medio-basso, le più colpite dall’inflazione residua e dal caro prezzi.

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I consumi alimentari restano stagnanti, mentre cresce la tendenza al risparmio precauzionale. Le famiglie scelgono di rinviare le spese non essenziali, in particolare nei settori dell’arredamento, dell’elettronica e dei viaggi.

A livello territoriale, i dati mostrano un calo più accentuato nel Mezzogiorno, dove la disoccupazione giovanile resta elevata e la percezione di insicurezza economica è più diffusa. Anche nei grandi centri urbani, tuttavia, si registra una frenata dell’ottimismo, probabilmente collegata all’aumento dei costi abitativi e dei servizi.

Imprese in difficoltà: giù servizi e commercio

Il clima di fiducia delle imprese è anch’esso in flessione, passando da 93,2 a 91,5. È il livello più basso dal marzo 2021, ovvero dalla fase di uscita dalla pandemia. Il peggioramento è generalizzato, ma riguarda soprattutto i settori dei servizi e del commercio al dettaglio. Nel comparto dei servizi, l’indice è sceso da 96,2 a 93,6. Le aziende segnalano un calo della domanda e crescenti difficoltà a reperire personale qualificato. I rincari energetici e logistici continuano a comprimere i margini operativi, mentre le prospettive per i prossimi mesi restano incerte.

Nel commercio al dettaglio, l’indice è passato da 97,4 a 94,3. La concorrenza dei grandi marketplace online e la riduzione della spesa delle famiglie stanno mettendo in crisi soprattutto le piccole attività. Gli operatori lamentano la mancanza di misure efficaci di sostegno da parte dello Stato e chiedono interventi urgenti su fiscalità, burocrazia e accesso al credito.

In calo, anche se più contenuto, il morale delle imprese manifatturiere e delle costruzioni. Nel primo caso, pesano le difficoltà dell’export, influenzato dalle tensioni commerciali globali. Nel secondo, si avverte la fine della spinta del Superbonus e la necessità di una nuova strategia per il rilancio del settore edilizio.

Uno scenario complesso che pesa sulla ripresa

Il calo della fiducia consumatori e imprese si inserisce in un contesto già complicato. L’economia italiana procede a rilento: il Fondo Monetario Internazionale ha tagliato le stime di crescita del 2025, portandole allo 0,4%. Le previsioni di gennaio erano più ottimistiche (+0,7%), ma i nuovi scenari internazionali, i dazi USA-Cina e il crollo delle borse di inizio aprile hanno cambiato il quadro.

Anche la Commissione europea ha sollevato preoccupazioni: alto debito, crescita debole e riforme troppo lente sono tra i principali fattori di rischio. Le tensioni geopolitiche e l’instabilità dei mercati aggravano la situazione, mentre la politica monetaria della BCE resta restrittiva per contenere l’inflazione.

In assenza di una svolta decisa, il timore è che questa sfiducia diffusa possa rallentare ulteriormente la ripresa. Una minore propensione alla spesa, combinata a investimenti cauti da parte delle imprese, rischia di indebolire anche l’occupazione. La stagnazione della domanda interna potrebbe innescare un effetto domino su produzione, redditi e gettito fiscale. Per invertire la rotta, serviranno misure incisive e tempestive. Il governo è chiamato a predisporre un piano organico di rilancio, in grado di ridare fiducia a famiglie e imprese. Altrimenti, il 2025 rischia di trasformarsi in un anno di stallo per l’economia italiana.

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In sintesi.

  • L’Istat rileva ad aprile 2025 un calo della fiducia sia dei consumatori (92,7) sia delle imprese (91,5), ai minimi da anni.
  • Le famiglie spendono meno per effetto dell’inflazione, mentre le imprese soffrono la domanda debole, soprattutto nei servizi e nel commercio.
  • La situazione rischia di pesare sulla crescita e sull’occupazione, richiedendo interventi urgenti per invertire il clima di sfiducia.



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