In una recente intervista rilasciata a Silvio Mellara per Beemagazine, ho avuto l’occasione di raccontare la storia e il presente del Distretto Aerospaziale della Campania (DAC), una realtà che oggi rappresenta un modello avanzato di integrazione tra industria, ricerca e innovazione.
La storia del Dac
Fondato nel 2012, il DAC ha costruito negli anni un ecosistema unico in Italia: con oltre 300 soggetti coinvolti – tra cui 32 grandi imprese, 123 PMI, 15 università e centri di ricerca come CIRA, CNR ed ENEA, e più di 170 partner tecnologici – siamo riusciti a dar vita a una piattaforma che genera valore scientifico, industriale e sociale. La nostra forza risiede nella sinergia virtuosa tra attori pubblici e privati, e nella capacità di affrontare sfide complesse con un approccio collaborativo e sistemico. Ogni progetto che sviluppiamo nasce già con una visione applicativa concreta: non lavoriamo per compartimenti stagni, ma integriamo competenze e prospettive.
Il distretto della Campania e la filiera regionale
Il DAC è inserito in una filiera regionale storica e completa che va dall’aeronautica commerciale alla business aviation, dallo spazio ai vettori, dalla manutenzione alla logistica avanzata. In parallelo, ci impegniamo fortemente nel rafforzamento del capitale umano e nella formazione dei giovani talenti, perché riteniamo che sia proprio questa la chiave per costruire un’industria aerospaziale resiliente e proiettata al futuro.
I progetti del DAC
Stiamo lavorando su progetti di grande rilevanza sociale, come la sicurezza idrogeologica, l’agricoltura di precisione e il monitoraggio dell’inquinamento marino tramite tecnologie spaziali. Nel settore aeronautico, ci focalizziamo su digitalizzazione, sostenibilità e innovazione dei processi produttivi per raggiungere gli obiettivi Esg.
Un’area strategica per noi è l’Advanced Air Mobility: il nostro progetto di punta si chiama DIVA, un eVTOL (velivolo elettrico a decollo e atterraggio verticale), privo di eliche esterne, pensato per la mobilità urbana e il soccorso civile. È un progetto 100% campano, frutto del lavoro di ingegneri, startup e centri di ricerca del nostro distretto.
La Small Mission to Mars
In campo spaziale abbiamo voluto osare di più: e oggi siamo protagonisti della Small Mission to MarS, una straordinaria iniziativa che vede uniti per la prima volta tre distretti aerospaziali italiani – Campania, Sardegna ed Emilia-Romagna – nella costruzione di una missione interplanetaria interamente nazionale. Il nostro contributo passa attraverso ALI – Aerospace Laboratory for Innovative components, che ha sviluppato un innovativo sistema di ammartaggio, basato su aerobrake dispiegabile e parafoil, per consentire un atterraggio controllato su Marte. È una tecnologia mai testata prima, alla cui realizzazione stanno dando il loro contributo scientifico Federico II e CIRA.
Questa missione rappresenta una svolta: unisce ricerca, industria e visione. E sono convinto – come ho avuto modo di ribadire nell’intervista – che potrà rappresentare un progetto guida nella futura collaborazione tra Italia e Stati Uniti per l’esplorazione del pianeta rosso, come auspicato anche dalla Premier Meloni nel recente incontro con il presidente Donald Trump.
L’importanza del Ddl Spazio
Come tutti i Distretti Aerospaziali, siamo molto interessati alle politiche nazionali per lo Spazio. In questo settore il governo ha compiuto passi avanti significativi, come il DDL Spazio, che colma un vuoto normativo importante. Tuttavia, è necessario fare di più per semplificare gli iter autorizzativi e sostenere concretamente Pmi e startup, che rappresentano oltre due terzi delle aziende italiane del settore. In Campania, la Regione ha mostrato sensibilità, attivando bandi e strumenti per rafforzare la capacità competitiva della nostra filiera industriale e scientifica.
L’Italia protagonista su Marte
Il mio desiderio più grande è vedere l’Italia guidare una missione scientifica completamente autonoma su Marte, dalla progettazione al lancio. Un progetto dove i nostri giovani possano esprimere le proprie potenzialità e le nostre imprese possano dimostrare il loro know-how tecnologico. Ma il mio sogno più grande è trasformare lo spazio in una scuola a cielo aperto, dove le nuove generazioni possano formarsi, ispirarsi e sentirsi parte di un futuro possibile. Perché lo spazio non è solo una meta da raggiungere. È, prima di tutto, una visione collettiva del domani.
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