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Marco Mizzau: AI, debito e geopolitica. L’Europa è a un bivio tra declino e rinascita.


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In foto Marco Mizzau

Viviamo in un’epoca di trasformazioni profonde, in cui vecchie certezze economiche crollano e nuovi paradigmi emergono con una rapidità disarmante. 



Al centro di questo cambiamento c’è una tecnologia tanto temuta quanto fraintesa: l’intelligenza artificiale.

Per l’Europa e, in particolare, per l’Italia, l’intelligenza artificiale rappresenta una leva storica, forse irripetibile, per riconquistare una posizione di centralità in un mondo sempre più polarizzato tra potenze tecnologiche e sistemi economici fragili. 

Ma per farlo, serve una nuova visione dell’economia, del debito, del lavoro e soprattutto del potere.

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Inflazione come alcolismo: la trappola delle politiche monetarie

La famosa analogia di Milton Friedman tra inflazione e alcolismo risuona come un monito per l’Europa. 

Le banche centrali, nella crisi post-pandemica, hanno “stampato” denaro con la stessa facilità con cui si versa un bicchiere di vino: un sollievo immediato, ma con un conto salato in arrivo. 

Oggi, mentre la BCE alza i tassi per combattere l’inflazione, l’Italia e altri Paesi ad alto debito rischiano la sbornia da austerity: disintossicazione dolorosa, recessione e tensioni sociali.
L’Europa è pronta a pagare il prezzo della sobrietà monetaria, o continuerà a bere a credito, spostando il problema alle prossime generazioni?

L’economia secondo Ray Dalio: produttività, debito e cicli sistemici

Come ha ben spiegato Ray Dalio, l’economia non è un’entità astratta, ma un sistema di transazioni alimentate da credito e produttività. Il cuore del sistema è il comportamento umano — l’inclinazione a spendere più di quanto si guadagni, alimentata dal credito e regolata dai cicli di espansione e contrazione.

Nel breve termine, il credito stimola crescita e occupazione. Ma nel lungo termine, quando il debito cresce più rapidamente del reddito, il sistema si incrina. Ed è esattamente la condizione in cui si trova oggi gran parte dell’Europa — Italia in testa — dove i vincoli fiscali e l’alto debito pubblico limitano la capacità di investimento e mancano strumenti reali per stimolare la produttività.

Nel frattempo, i tassi di interesse in aumento, decisi per contenere un’inflazione che ricorda gli anni ’70, stanno schiacciando le economie più fragili. Il rischio? Un ritorno alla stagflazione: crescita anemica, inflazione elevata e tensioni sociali crescenti.

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Ray Dalio elenca quattro strumenti per le crisi del debito: austerità, ristrutturazioni, stampa di moneta e redistribuzione. L’Europa ha scelto un mix ambiguo: austerity smussata da PNRR, debiti “congelati” nel bilancio UE (vedi Mes), e una timida redistribuzione (Next Generation EU). 

Ma il vero tabù rimane la ristrutturazione del debito. Perché non trasformare il debito italiano in “eurobond perpetui”, garantiti dalla BCE?

Italia: una potenza indebitata, un’occasione irripetibile

L’Italia, con un debito pubblico che supera il 150% del PIL e una produttività stagnante da oltre vent’anni, rappresenta il caso emblematico di questo dilemma europeo. Tuttavia, proprio in questo scenario di apparente vulnerabilità si cela un’opportunità: sfruttare l’AI non solo per modernizzare l’economia, ma per ridefinire il modello di sviluppo.

L’intelligenza artificiale offre strumenti inediti per migliorare la pubblica amministrazione, ottimizzare la spesa pubblica, personalizzare l’istruzione, ridurre l’evasione fiscale e promuovere l’efficienza del sistema sanitario. Ma soprattutto, può diventare la chiave per liberare il potenziale umano in un Paese con enormi competenze latenti, oggi sprecate o sottoutilizzate.

La regola d’oro di Dalio — non far crescere il debito più del reddito — è già violata in Italia. Senza un balzo di produttività, ogni riforma fiscale sarà un palliativo. L’AI non è solo uno strumento: è un moltiplicatore di efficienza. Automatizzare la PA, ottimizzare le supply chain, formare lavoratori in tempo reale: sono queste le leve per raddoppiare la produttività entro un decennio.

AI e geopolitica: potere cognitivo come nuova egemonia

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Nel mondo globale post-pandemico, l’AI è molto più di una tecnologia: è uno strumento di potere geopolitico. Gli Stati Uniti e la Cina lo hanno capito da tempo. L’America, attraverso Big Tech, ha costruito un ecosistema dove i dati sono la nuova valuta e gli algoritmi i nuovi arbitri della verità. La Cina, invece, ne ha fatto un’arma strategica per il controllo sociale e l’espansione internazionale (si pensi all’export di tecnologie AI nei Paesi emergenti).

E l’Europa? Rischia di restare una colonia tecnologica, dipendente da piattaforme esterne, incapace di sviluppare una propria autonomia digitale e cognitiva. Le normative (come il recente AI Act) sono necessarie, ma insufficienti. Occorre una visione industriale ambiziosa, che unisca sovranità tecnologica, istruzione pubblica di nuova generazione e investimenti strategici in AI open-source, cloud, e infrastrutture dati.

Perché non creare un “CERN dell’AI”, con sede a Roma o Varsavia, per sviluppare modelli open-source in competizione con GPT-4?

Un nuovo contratto sociale per l’era dell’AI

L’intelligenza artificiale sta riscrivendo il concetto stesso di lavoro e formazione. Siamo prossimi a un mondo dove un adolescente in un villaggio rurale potrà apprendere più velocemente di un laureato di Harvard. Il sapere si democratizza. 

La meritocrazia si allarga. L’ascensore sociale, bloccato da decenni, può ripartire.

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Ma per evitare che l’AI diventi un amplificatore delle disuguaglianze, servono nuove politiche pubbliche:

  • Educazione gratuita e personalizzata tramite AI;
  • Accesso universale ai dati pubblici per favorire l’innovazione dal basso;
  • Reddito di formazione per garantire continuità nei percorsi professionali interrotti;
  • Stati imprenditori dell’AI, capaci di finanziare startup, laboratori di ricerca e progetti open.

Questa non è fantascienza. È realpolitik per il XXI secolo.

L’AI non distrugge posti di lavoro: distrugge lavori inutili. In Italia, il 40% del tempo lavorativo è speso in adempimenti burocratici. Automatizzare questi processi libererebbe milioni di ore per creatività, ricerca e innovazione.

Anche la transizione ecologica europea rischia di fallire senza AI. 

Ottimizzare le reti energetiche, prevedere i disastri climatici, ridurre gli sprechi: sono sfide impossibili con gli strumenti attuali. L’Europa vuole essere leader nel Green Deal, ma investe 10 volte meno della Cina in AI per le rinnovabili.
Si potrebbero usare i fondi del PNRR per finanziare digital twin delle città italiane, simulando impatto ambientale e soluzioni in tempo reale.

Il futuro non aspetta, si costruisce

La grande lezione di Ray Dalio è che non si può crescere indebitandosi senza aumentare la produttività. E la grande promessa dell’AI è che la produttività umana può esplodere — se liberata dai vincoli burocratici, cognitivi e politici.

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L’Europa ha una sola possibilità: abbracciare questa rivoluzione, non come spettatrice ma come protagonista. E l’Italia, paradossalmente, ha tutte le caratteristiche per guidarla: un capitale umano straordinario, una tradizione culturale millenaria, e ora, finalmente, una leva tecnologica capace di colmare i divari.

Non servono più piani triennali o decreti tampone. Serve una visione da costruttori, non da critici. Perché la storia, come ricordava qualcuno, la scrivono solo quelli che hanno il coraggio di costruirla.

Marco Mizzau, dirigente d’azienda ed advisor finanziario nella sua carriera ha ricoperto importanti incarichi in Società pubbliche e Holding private. 



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