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Tra guerra e dazi | ISPI


I primi 100 giorni del secondo mandato di Donald Trump hanno scosso l’ordine internazionale, portando ad un deterioramento delle storiche alleanze statunitensi – con l’Europa in primis – a favore di un maggiore protezionismo. Già durante la campagna elettorale, Trump aveva delineato con chiarezza la sua linea politica, ispirata dal motto Make America Great Again: riequilibrare le relazioni commerciali, ridurre i flussi migratori verso il Paese e porre fine ai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Sebbene l’intento di Trump sia quello di riportare gli Stati Uniti alla loro Golden Age rimangono molti interrogativi circa l’efficacia delle misure adottate fino ad ora. Dal punto di vista della politica estera, Donald Trump si è concentrato soprattutto su tre fronti: lo squilibrio commerciale e le guerre in Ucraina e Medio Oriente. Inoltre, l’approccio di Trump alla politica estera si è rivelato estremamente esplicito, con il presidente che in più occasioni ha dichiarato l’intenzione di voler difendere gli interessi statunitensi in territori come la Groenlandia e Panama. Il paradigma tradizionale basato sulle alleanze, che ha caratterizzato la strategia statunitense dal secondo dopoguerra, è stato messo in discussione a favore di una politica fortemente negoziale. La stessa Europa, storico alleato degli Stati Uniti, è stata oggetto di dure critiche da parte di Trump e del vicepresidente JD Vance, accusata di aver approfittato del sostegno americano negli ultimi decenni mentre verso il Canada questa amministrazione si è rivolta provocatoriamente come se fosse il 51° Stato americano.

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L’offensiva di Trump sul commercio

Sul piano commerciale, questi primi 100 giorni sono stati segnati dal ritorno di una politica protezionista statunitense. La strategia trumpiana, volta ad eliminare gli squilibri commerciali di cui – a sua detta – i vari attori internazionali si sono approfittati per anni a discapito degli Stati Uniti, è stata dunque caratterizzata dall’imposizione di dazi. Inizialmente previsti solo per acciaio e alluminio (25%), Trump ha poi esteso i dazi al settore automotive e ha imposto dazi generalizzati del 10% e reciproci, sulla base dello squilibrio commerciale con i vari Paesi.  Tuttavia, agli annunci del Liberation Day è conseguito un crollo delle borse mondiali che ha spinto il presidente a fare un passo indietro, sospendendo la loro efficacia per 90 giorni. Al contempo, Trump sembra aver raggiunto il suo obiettivo principale: convincere gli altri Stati a negoziare accordi commerciali bilaterali al fine di ottenere condizioni più favorevoli per gli Stati Uniti.

L’unica eccezione è stata però la Cina, il principale rivale commerciale per gli Stati Uniti, che ha risposto colpo su colpo agli annunci di Trump, arrivando alla situazione attuale in cui i dazi si attestano al 145%. L’intento di Pechino in tal senso è chiaro: non cedere alle pressioni statunitensi e far leva sulla politica commerciale protezionistica degli Stati Uniti per cercare di estendere i partenariati con gli altri Paesi al fine di isolare ulteriormente gli Stati Uniti. A Washington, la guerra commerciale con la Cina sembrerebbe, come affermato da diversi esponenti vicini a Trump, una strategia mirata al raggiungimento di un accordo bilaterale con la Cina, come avvenuto anche nel corso del primo mandato, anche se al momento il presidente Xi Jinping ha escluso di aver intrapreso negoziati con la Casa Bianca.

La fine delle guerre “in un giorno”: Ucraina e Medio Oriente

Nel tentativo di mantenere la promessa elettorale di “terminare la guerra in Ucraina in un giorno”, la Casa Bianca ha riavviato i contatti con il Cremlino, con il duplice obiettivo di porre fine al conflitto e frenare un’eccessiva vicinanza tra Russia e Cina. Il ruolo assunto da Washington nei negoziati, tuttavia, non ha finora prodotto risultati concreti e ha contribuito a un deterioramento delle relazioni con l’Ucraina e l’Unione Europea. Quest’ultima, consapevole del possibile disimpegno statunitense dalla NATO, ha avviato un percorso di riarmo e rafforzamento della propria autonomia strategica.

Nel frattempo, Putin, irremovibile nelle sue rivendicazioni territoriali e forte di una posizione di vantaggio militare, continua a colpire le città ucraine, alimentando forti critiche internazionali. Il colloquio tra Trump e Zelensky, avvenuto durante i funerali di Papa Francesco, lascia intravedere un possibile allentamento della tensione tra le parti, anche se appare improbabile che Kyiv accetti un cessate il fuoco a condizioni che non ritenga giuste.

Inoltre, il tentavo di allontanare Mosca da Pechino non sembra aver ottenuto alcun risultato, tanto che il Presidente cinese Xi Jinping parteciperà alla grande parata del 9 maggio organizzata da Putin nella capitale russa per celebrare gli 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. In Medio Oriente, la situazione rimane complessa dopo la ripresa delle operazioni militari a Gaza. Al termine del suo mandato, Biden aveva negoziato e ottenuto un cessate il fuoco tra Israele e Hamas al fine di permettere gli interventi umanitari nella Striscia di Gaza in cambio del rilascio degli ostaggi. Tuttavia, dopo due mesi, Israele ha ripreso i bombardamenti conscia del sostegno incondizionato proveniente dall’amministrazione Trump. La situazione in Medio Oriente rimane dunque estremamente delicata, considerando anche le insidie provenienti dall’altro grande attore della regione, l’Iran. Al momento, dopo l’uscita dagli accordi sul nucleare con l’Iran voluta proprio da Trump, gli Stati Uniti hanno ripreso, a Roma, i negoziati con la repubblica islamica al fine di limitare che il programma militare iraniano diventi una minaccia ulteriore in una regione già instabile.

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La politica interna: DOGE e gli ordini esecutivi

Sul piano della sicurezza interna, la Casa Bianca ha intrapreso una politica di contrasto all’immigrazione illegale e alla diffusione del fentanyl, utilizzando spesso i dazi come strumento di pressione nei confronti dei paesi confinanti. Gli ordini esecutivi di deportazione di migranti illegali sono stati nella maggior parte dei casi bloccati dalle corti supreme americane con Trump che ha deciso di prevaricare il potere giudiziario per portare avanti la sua politica.

Oltre a questi elementi, è stato di particolare interesse l’impatto di questi primi mesi della nuova presidenza sull’apparato statale statunitense. Trump, infatti, ha disposto fin dal primo giorno un processo di snellimento della macchina burocratica statale attraverso la creazione del Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE) affidato a Elon Musk. L’incarico, di durata di 130 giorni, era mirato all’eliminazione degli esuberi dell’apparato governativo. Tuttavia, sebbene moltissimi impiegati pubblici siano “caduti” sotto le scure del patron di Tesla, l’effettivo beneficio per la spesa pubblica è stato minimo. Si è infatti passati da una previsione iniziale di risparmio di un trilione di dollari all’anno alla stima attuale pari circa a 150 miliardi. Oltre ai dubbi che rimangono sulla veridicità di queste cifre, lo stesso Musk ha pagato il prezzo del suo avvicinamento a Trump, visto il crollo delle azioni di Tesla da inizio mandato.

L’altro elemento caratterizzante di questo inizio mandato è stato l’utilizzo degli ordini esecutivi come strumento per velocizzare l’attuazione delle promesse elettorali. Fino a questo momento, infatti, Trump ha firmato 142 ordini esecutivi, più del triplo del suo predecessore nello stesso periodo (42), affermandosi come il presidente moderno degli Stati Uniti che più ha fatto ricorso a questo tipo di strumento. Questa scelta, portata avanti con l’intento di centralizzare maggiormente nelle mani del presidente il potere dell’esecutivo, prevaricando gli altri poteri statali, è stata spesso accolta con sfavore dalle Corti Supreme statunitensi che hanno bloccato temporaneamente l’esecuzione di molteplici misure.

L’impatto di questi primi 100 giorni sull’ordine internazionale è stato considerevole e l’opinione pubblica statunitense non sta apprezzando la politica condotta dal suo presidente. Attualmente l’indice di gradimento di Trump si attesta intorno al 44%, risultando l’unico presidente dal dopoguerra a risultare al di sotto del 50%. Molte sfide si delineano all’orizzonte, prima tra tutte quella sul piano commerciale. Dopo l’incontro con Giorgia Meloni alla Casa Bianca Trump ha promesso che lavorerà a un accordo commerciale con l’Unione Europea, anche se la distanza tra le parti rimane considerevole. L’altra grande incognita resta l’approccio con la Cina, con Trump che dovrà confrontarsi con un Paese che è sempre più determinato ad affermarsi come nuovo perno dell’economia mondiale.



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