Koyo Kouoh è nata in Camerun nel 1967. Ha vissuto Douala fino ai tredici anni, quando la famiglia ha deciso di trasferirsi a Zurigo, in Svizzera, dove è rimasta per i successivi quindici anni. É qui che Kouoh ha studiato economia aziendale, prima di trasferirsi in Francia dove ha completato gli studi virando sull’ambito culturale. Nonostante gli anni passati in Europa e il notevole bagaglio di conoscenze (a meno di trent’anni parlava correntemente francese, tedesco, inglese e italiano), per avviare la sua carriera professionale nel 1995 sceglie di tornare in Africa, in Senegal. La spinta le arriva da un viaggio che aveva compiuto nel Paese l’anno precedente, intrapreso per intervistare il regista Ousmane Sembène. Un’esperienza breve ma intensa, lontano dai continui problemi di razzismo vissuti in Europa, che la convince a trasferirsi.
Qui lavora inizialmente come funzionaria culturale per il Consolato degli Stati Uniti e come curatrice indipendente. Nel 2000 l’incontro con l’artista sudafricana Tracey Rose e l’artista nigeriano-belga Otobong Nkanga è lo spunto per una serie di mostre condivise, che supporteranno la crescita dei tre. Il suo nome ormai circola con costanza nel sistema artistico internazionale. Nel 2001 e nel 2003, Kouoh ricopre il ruolo co-curatrice, insieme allo scrittore Simon Njami, di «Les Rencontres de la Photographie Africaine» a Bamako, una biennale di fotografia che si tiene in Mali.
La svolta definitiva arriva però nel 2008, quando fonda RAW Material Company, una residenza per artisti, spazio espositivo e accademia a Dakar, di cui rimane direttrice artistica fino al 2019. Qui mette in scena una serie di importanti mostre e progetti che la consolidano come una figura di riferimento nel Paese. E forse anche scomoda. Nel 2014, RAW è stata costretta a chiudere una mostra dopo gli anni di violenza mossi dai leader musulmani locali. L’esposizione, intitolata «Personal Liberties», aveva la colpa di rappresentare e raccontare la comunità LGBT.
L’incidente, per così dire, non rallenta la crescita di Kouoh. Viene nominata consulente curatoriale per Documenta 12 (2007) e 13 (2012), mentre nel 2017 sarà poi nella commissione che sceglierà il curatore polacco Adam Szymczyk come direttore artistico di documenta 14. Nel 2014 Kouoh è curatrice del programma educativo della 1:54 Contemporary African Art Fair di Londra. Nel 2016 arriva l’incarico di curatrice per l’EVA International (biennale d’arte contemporanea della Repubblica d’Irlanda) nel 2016. Qui si mette in luce con una mostra che approfondisce alcuni temi postcoloniali, facendo riferimento a poema «Waiting for the Barbarians» dell’autore greco Constantine P. Cavafy e coinvolgendo artisti quali Kader Attia, Liam Gillick, Abdoulaye Konaté, Alice Maher e Tracey Rose.
Nel 2019 un’altra importante svolta arriva con la nomina a direttrice e curatrice capo dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa di Città del Capo, in Sudafrica. Qui amplia il team curatoriale e il consiglio di amministrazione, puntando su una serie di retrospettive personali che raccontano, attraverso la storia degli artisti, anche la storia dell’intero continente. Tra le mostre più celebri ricordiamo quelle dedicate a Mary Evans, Tracey Rose e Johannes Phokela. Nel 2024 viene poi selezionata come direttrice artistica della Biennale di Venezia del 2026. Evento che ne avrebbe consacrato il ruolo di figura di primissimo piano nel panorama artistico internazionale.
Del progetto che aveva in mente rimangono le sue parole, la sua visione, l’ispirazione che lascia in eredità a chi ne prenderà il posto: «L’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia è da oltre un secolo il centro di gravità dell’arte. Artisti, professionisti dell’arte e dei musei, collezionisti, galleristi, filantropi e un pubblico in continua crescita si riuniscono in questo luogo mitico ogni due anni per cogliere il battito dello Zeitgeist. È un onore e un privilegio unici seguire le orme degli illustri predecessori nel ruolo di direttore artistico e creare una mostra che spero possa avere un significato per il mondo in cui viviamo attualmente e, cosa più importante, per il mondo che vogliamo costruire. Gli artisti sono i visionari e gli scienziati sociali che ci permettono di riflettere e proiettare in modi che solo questa professione consente».
Insieme a Kouoh abbiamo così perso l’occasione non solo di assistere a una Biennale inclusiva, come già sono state le ultime due edizioni, ma che probabilmente si sarebbe concentrata maggiormente su artisti contemporanei, attuali, vivente, capaci di allargare in modo concreto e attivo gli orizzonti del mondo dell’arte.
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