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Cessione del credito a garanzia di finanziamento: il trattamento fiscale


Approfondimento sulla cessione del credito come garanzia di finanziamento e il trattamento fiscale ai fini delle imposte indirette

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La Cassazione, nella recentissima sentenza numero 11839/2025, ha riscontrato l’autonomia del contratto di cessione dei crediti rispetto a quello di finanziamento.

La mancanza di natura finanziaria o creditizia della cessione rende inapplicabile l’imposta sostitutiva sui finanziamenti.

Cessione del credito e trattamento fiscale ai fini delle imposte indirette: i chiarimenti della Cassazione

Nella fattispecie in esame, una società cedeva ad una banca un credito derivante da un contratto di appalto a titolo di garanzia per una linea di credito concessa, in precedenza, dalla banca.

In particolare, la società e la banca hanno stipulato l’atto di cessione, che è stato registrato dal notaio con il pagamento dell’imposta di registro nella misura fissa, pari a 200 euro.

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L’Agenzia delle entrate, ritenendo che l’operazione non rientrasse nel campo di applicazione dell’IVA, ha applicato l’imposta di registro, nella misura proporzionale dello 0,50 per cento sul valore del credito.

La società e il notaio rogante contestavano la tassazione proporzionale, sostenendo che la cessione del credito e l’apertura di credito bancario costituissero un’operazione unitaria soggetta a imposta di registro in misura fissa.

La competente Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, confermando la correttezza della applicazione dell’imposta proporzionale.

La Commissione Tributaria Regionale, invece, accoglieva l’appello dei contribuenti, ritenendo che i due atti (vale a dire la cessione del credito e l’apertura di credito) fossero inscindibilmente connessi e quindi tassabili unitariamente.

L’Agenzia delle entrate ha quindi presentato un ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

Cessioni di credito a scopo di garanzia: non hanno finalità di finanziamento

Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è stato accolto sulla base delle seguenti motivazioni.

In sostanza, come affermato dall’Agenzia delle Entrate, il beneficio fiscale opera esclusivamente per quelle operazioni di finanziamento finalizzate ad immettere nuova ricchezza nel mercato, estendendosi a tutte quelle ipotesi che implicano la possibilità di attingere denaro, al fine di incrementare gli investimenti produttivi.

Ciò appare coerente con i chiarimenti resi dalla Cassazione, che ha individuato le operazioni di finanziamento in quelle che si traducono nella provvista di disponibilità finanziaria.

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Invece, la società aveva ceduto crediti personali derivanti dal contratto di appalto per garantire l’apertura di credito, e tale contratto non rientrerebbe nella tipologia degli atti che hanno come elemento causale il finanziamento, esprimendo, invece, una funzione di mera garanzia, avendo voluto la contribuente tutelare la propria posizione debitoria verso l’azienda creditrice.

Secondo la competente CTR, l’esame del contratto di cessione dei crediti pro solvendo all’istituto di credito evidenzia il nesso funzionale ed il collegamento negoziale che avvince tale atto alla precedente apertura della linea di credito, tale da configurare una causa reale unitaria.

In generale, il discrimine tra tassazione unica e tassazione separata è ancorato alla distinzione fra negozio complesso e negozi collegati, posta dall’articolo 21 del dPR n. 131 del 1986 (cd. TUR), in base al quale il primo è contraddistinto da una causa unica mentre, in caso di collegamento, distinti ed autonomi negozi si riannodano ad una fattispecie pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identificabili: da ciò deriva la tassazione separata di ciascuno di essi.

Tale soluzione interpretativa ha trovato ulteriore conferma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha ribadito la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro.

In particolare, con riguardo a una fattispecie in cui l’atto sottoposto a tassazione è una cessione di crediti a garanzia di un finanziamento contestualmente erogato dalla banca, il criterio da utilizzare nell’interpretazione è quello diretto alla verifica degli effetti che i negozi sono destinati a produrre: le disposizioni soggette a tassazione unica sono soltanto quelle fra le quali intercorre, in base alla legge o per esigenza obiettiva del negozio giuridico, e non per volontà delle parti, un vincolo di connessione, o compenetrazione, immediata e necessaria.

Nel caso in esame, dunque, non emergono elementi, in base ai quali affermare che la cessione del credito si sia andata ad inserire come elemento qualificante nella struttura del contratto bancario, la cui causa consiste nell’affidamento: ciò, in quanto la banca che pone in essere l’accredito s’impegna a tenere a disposizione del cliente accreditato una determinata somma di danaro, per un dato tempo o a tempo indeterminato.

Invece, si ricavano elementi contrari, dato che emerge che l’apertura di credito e la cessione di crediti scaturiscono da due contratti distinti, stipulati a distanza di un mese.

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Ciò, in relazione alla natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, è ostativo alla ricerca di una causa reale ed unitaria di un complessivo regolamento negoziale, al fine della riqualificazione dei due distinti atti, in base all’articolo 20 del TUR.

Pertanto, la cessione del credito, per la sua finalità di garanzia risulta alla stregua di una vicenda accidentale rispetto all’operazione di finanziamento, sia pure ad essa collegata. La previa apertura di credito resta un atto diverso rispetto alla successiva cessione dei crediti.

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Cessioni di credito a scopo di garanzia: è determinante la ratio legis delle norme agevolative

La Corte ha risolto quindi la questione sulla base della ‘ratio legis’ sottesa alla disciplina agevolativa di cui all’articolo 15 del D.P.R. n. 601 del 1973, da ricercare nel favore che il legislatore intende accordare agli investimenti produttivi, nella previsione che essi possono creare nuova ricchezza, sulla quale potrà applicarsi il prelievo fiscale.

Pertanto, in una situazione che presuppone già erogato il credito ed investita la somma corrispondente e nella quale oggetto di regolamento negoziale è la successiva cessione del credito con finalità di garanzia, il negozio in questione non ha per oggetto un finanziamento ma, appunto, la garanzia di recupero del credito.

In tal caso, dunque, lo scopo per il quale il legislatore accorda un trattamento agevolato non ricorre perché, per effetto del negozio di cessione, il cessionario non dispone di nuovo denaro, suscettibile di impieghi produttivi.

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La Corte ritiene che, data l’assenza di natura creditizia o finanziaria, alle cessioni di crediti a scopo di garanzia delle obbligazioni derivanti da contratti di leasing non può applicarsi l’imposta sostitutiva, ai sensi degli articoli 15 e 17 del dPR n. 601 del 1973, ma dovrà applicarsi l’imposta di registro nella misura proporzionale dello 0,50 per cento ai sensi dell’articolo 6 della tariffa, parte prima, allegata al TUR, nel quale espressamente rientrano:

“Cessioni di crediti, compensazioni e remissioni di debiti, quietanze, tranne quelle rilasciate mediante scrittura privata non autenticata; garanzie reali e personali a favore di terzi, se non richieste dalla legge”

trattandosi di contratti caratterizzati da autonomia funzionale – seppur nel contesto di un collegamento negoziale – rispetto ai contratti da cui originano le obbligazioni garantite.

Pertanto, nell’ipotesi in esame (avente ad oggetto la cessione di credito pro solvendo a garanzia del pagamento di una linea di credito), non opera la previsione di cui all’articolo 15 del dPR n. 601 del 1973, che esonera dal versamento delle imposte di registro le operazioni di finanziamento a medio e lungo termine, tutti i provvedimenti ed atti ad esse inerenti, le garanzie a qualunque titolo prestate, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione ai finanziamenti.

In tema di agevolazioni tributarie per il settore del credito, le operazioni di finanziamento, alle quali l’art. 15 del D.P.R. n. 601 del 1973 accorda un trattamento fiscale di favore, vanno individuate – in base alla ‘ratio legis’ ed al principio secondo cui le norme agevolative sono di stretta interpretazione – in quelle che si traducono nella provvista di disponibilità finanziarie, cioè nella possibilità di attingere denaro, da impiegare in investimenti produttivi.

Nel caso in esame, il contratto di cessione dei crediti è un contratto autonomo e distinto rispetto a quello di finanziamento, pur se ad esso collegato, e pertanto deve essere sottoposto a tassazione separata.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che la sentenza di secondo grado ha errato nel ritenere sufficiente la sussistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e la cessione di crediti in garanzia e nell’affermare che fossero integrati i presupposti per l’applicazione dell’imposta in misura fissa.

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