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Il grande equivoco della logistica, «È il futuro, ma i giovani non lo sanno»


La digitalizzazione sta imponendo un salto culturale, il sistema formativo però resta indietro. Frosi (Politecnico Milano): «Servono analisti, tecnologi e soft skill: oggi li formano le aziende, non le scuole»

Negli ultimi anni la logistica è cambiata profondamente: più digitale, più tecnologica, più sostenibile. Ma è anche più attrattiva per le nuove generazioni? Al momento le narrazioni che arrivano dai magazzini distribuiti in tutta la Lombardia ci dicono il contrario o quanto meno segnalano una difficoltà generalizzata a presentarsi come un settore appetibile. In particolare, sappiamo che la Generazione Z cerca un lavoro che abbia senso, non solo un salario, quindi la logistica attualmente non è in cima alla classifica dei desiderata lavorativi degli under 27.

La conferma arriva anche da un numero complessivo a livello nazionale: le stime parlano della mancanza di 60mila lavoratori nella logistica. Una cifra destinata ad aumentare per via della differenza tra futuri pensionati e calo demografico. Ne parliamo con il bergamasco Damiano Frosi, direttore dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, esperto nazionale per Confindustria e tra le voci del settore più autorevoli in Italia.

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Partiamo dal quadro generale: cosa è cambiato nella logistica negli ultimi dieci anni?

«La trasformazione è stata enorme. Oggi la logistica è un settore altamente tecnologico: robotica, intelligenza artificiale, automazione, Internet of things… tutto questo è entrato nei magazzini e negli uffici in modo massiccio. Il 64% delle aziende sta investendo in innovazione anche con l’obiettivo preciso di attirare nuovi talenti, in particolare i più giovani. Questo è importante, perché la Gen Z è molto attenta alla presenza di tecnologia nei luoghi di lavoro. Eppure, il settore sconta ancora un’immagine troppo tradizionale».

Solo un problema di percezione?

«Sì, e anche pesante. In una nostra ricerca tra studenti delle scuole superiori, la logistica risultava ultima tra i settori preferiti per lavorare. Dopo moda, turismo, media, banche… Il problema è che quando si parla di logistica nei media si parla quasi sempre di scioperi, traffico, emissioni, cementificazione. Ma la logistica è anche valore: parliamo di un settore che vale il 9% del Pil italiano e occupa quasi 1,4 milioni di per sone. È un attore chiave dello sviluppo economico, ambientale e sociale del Paese. Va raccontata meglio, anche per rompere stereotipi radicati».

Parliamo di lavoro. I giovani della Gen Z chiedono equilibrio vita-lavoro, flessibilità e un contesto di valori. La logistica può offrirglieli?

«La questione è complessa. Sul piano retributivo, oggi la logistica è più competitiva di quanto si pensi. Gli stipendi sono cresciuti anche per effetto della carenza di personale. Un autista può arrivare a guadagnare oltre 3.000 euro al mese. L’ultimo rinnovo del contratto collettivo ha previsto aumenti tra il 12 e il 14% nei prossimi tre anni. Le vere difficoltà riguardano i turni, le notti, i weekend. Però il settore sta evolvendo. Si parla sempre più di logistica human-centric: i software di pianificazione iniziano a considerare le preferenze individuali. L’obiettivo è costruire turni sostenibili e personalizzati, senza perdere efficienza».

E dal punto di vista delle competenze, cosa serve sapere oggi per entrare in questo mondo?

«La digitalizzazione ha cambiato le carte in tavola. Servono data analyst, esperti di automazione, cybersecurity, sostenibilità ambientale, ma anche figure capaci di leggere dati, pianificare, prendere decisioni veloci. Le soft skill restano fondamentali: leadership, gestione dei team, capacità di lavorare in ambienti multiculturali. Il problema è che le istituzioni educative non sempre riescono a stare al passo, quindi molte aziende formano da sé i propri talenti. Stanno nascendo scuole professionali specializzate in logistica, ma sono ancora poche rispetto alla domanda».

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Molti giovani cercano ambienti inclusivi e attenti alla sostenibilità. La logistica come sta rispondendo a queste esigenze?

«Con un cambio di passo notevole. Il 73% delle aziende sta portando avanti progetti di diversity & inclusion, per attrarre più donne (oggi solo il 20% della forza lavoro), per favorire l’integrazione culturale e religiosa nei magazzini (con spazi per la preghiera, turni flessibili durante il Ramadan, ecc.). Il 70% delle imprese sta ripensando attività e mansioni per ridurre lo stress fisico, anche grazie a tecnologie come gli esoscheletri. E poi c’è grande attenzione alla qualità degli ambienti: aree relax, spazi verdi, zone di socialità nei magazzini, anche progettate con la comunità locale. Alcuni hub sono diventati veri e propri centri di aggregazione».

E dal punto di vista ambientale?

La logistica può essere sostenibile? «La sostenibilità è uno degli assi strategici del settore. Si lavora per ridurre i chilometri a vuoto, aumentare la saturazione dei mezzi, rendere i magazzini più efficienti sul piano energetico. Ma non solo: nascono progetti di rigenerazione urbana intorno ai poli logistici – parchi giochi, arredi costruiti con pallet riciclati, eventi con le comunità locali. La Gen Z vuole lavorare in realtà che migliorano il mondo, e qui può davvero fare la differenza».

Parliamo di opportunità di crescita. La logistica può offrire un percorso interessante a chi entra oggi? «Sì, e sempre di più. Molte aziende hanno attivato percorsi di onboarding strutturati, mentorship, job rotation, per aiutare i giovani a capire dove vogliono stare e in cosa vogliono crescere. La logistica è un ecosistema vasto, con ruoli operativi, analitici, gestionali, strategici. E le aziende stanno investendo non solo sulla formazione tecnica, ma anche sulle soft skill, sulla comunicazione, sulla leadership».

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Cosa ostacola ancora il recruiting?

«Il problema è l’immagine pubblica. Per questo molte aziende stanno cambiando strategia: oggi a raccontare l’azienda non sono più solo i dirigenti, ma anche i giovani dipendenti, spesso coetanei dei candidati. Su TikTok, su Instagram, nei video aziendali. E si dà spazio anche alla dimensione personale: un magazziniere ha scritto una canzone rap diventata l’inno aziendale, altri organizzano corsi di yoga, o eventi creativi. La logistica sta imparando a valorizzare le passioni, non solo le mansioni».

Guardando al futuro, quali saranno i fattori chiave per attrarre i giovani nella logistica?

«Tecnologia e sostenibilità saranno centrali, ma non basteranno. La Gen Z vuole sapere che sta costruendo qualcosa che conta. E la logistica, nel contesto geopolitico attuale, è sempre più strategica. Se saremo capaci di raccontarla in modo autentico, mostrando il suo impatto positivo su ambiente, economia e società, diventerà uno dei settori più interessanti per le nuove generazioni. E chi meglio di loro può guidarne l’evoluzione?».

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Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics «Gino Marchet» del Politecnico di Milano, Damiano Frosi è uno dei massimi esperti italiani di logistica e supply chain. Da anni studia l’evoluzione del settore, con un focus su innovazione, sostenibilità e dinamiche occupazionali. È referente tecnico nazionale per la logistica di Confindustria e lavora a stretto contatto con aziende, istituzioni e scuole per promuovere una logistica più moderna, efficiente e attrattiva, soprattutto per le nuove generazioni. La sua attività combina ricerca accademica, analisi dei trend e divulgazione, con l’obiettivo di migliorare la percezione pubblica del settore e costruire ponti tra industria e formazione.

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