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Acquisti pubblici, in Italia valgono 283 miliardi di euro l’anno ma solo 93 sono Gpp


Una transizione ecologica che non lasci indietro nessuno – né lavoratori, né piccole imprese – e che trasformi la sfida ambientale in un’opportunità di rilancio per l’industria nazionale quanto quella europea passa (anche) da un nuovo approccio agli acquisti pubblici, che rappresentano un bacino enorme di risorse in grado di indirizzare l’evoluzione del mercato.

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È questo il cuore della riflessione che si snoda a partire da oggi a Roma con la due giorni del Forum Compraverde Buygreen, con la consueta regia della Fondazione ecosistemi anche per quest’edizione 2025.

«Nel 2024 su complessivi 283 miliardi di acquisti pubblici italiani sono 93 miliardi a rispondere a criteri ambientali – spiega a greenreport Silvano Falocco, direttore della Fondazione – Il dato è in crescita ma è anche aumentata la domanda pubblici di beni, servizi e lavori per via del Pnrr. Continuano a restare fuori dal perimetro dei Cam (Criteri ambientali minimi, ndr) gli acquisti in servizi ambientali che, in questa fase, andrebbero orientati nella direzione della sostenibilità. Il fattore più preoccupante, in prospettiva, è quello relativo al contesto globale, nel quale gli Usa potrebbero richiedere all’Europa di rimuovere gli ostacoli all’accesso delle imprese statunitensi al mercato unico europeo, in particolare di quello relativo agli appalti pubblici, ben rappresentati dalla “clausole ambientali e sociali” previste in Europa (con la normativa sull’ecodesign), e in Italia in particolare con la normativa relativa ai contratti pubblici. È fondamentale che la contesa relativa ai dazi non tocchi anche il perimetro della concorrenza, stabilito ormai nell’alta qualità ambientale e sociale».

Si tratta di un quadro che vale, a maggior ragione, anche a livello continentale, dato che gli appalti pubblici rappresentano circa il 15% del Pil europeo. Integrare criteri ambientali vincolanti nei bandi pubblici – il cosiddetto Green public procurement (Gpp) – significa influenzare in modo determinante le scelte del mercato, orientando la produzione verso beni e servizi più sostenibili, locali e innovativi. Da qui la proposta di Fondazione Ecosistemi con il Buy European and Sustainable Act (Besa), che dà il via al Forum Compraverde: un’iniziativa concreta, pragmatica e fondata sui dati, che mira a trasformare la spesa pubblica europea in un motore di decarbonizzazione, innovazione industriale e occupazione verde.

Secondo uno studio di una rete di organizzazioni internazionali sostenute da European climate foundation, tra cui Fondazione Ecosistemi, l’adozione su larga scala del Besa in Italia potrebbe infatti: tagliare ogni anno 2,2 milioni di tonnellate di CO₂, rilocalizzare 8 miliardi di euro verso attività industriali virtuose, creare oltre 31.000 nuovi posti di lavoro a basso impatto ambientale. Si tratta di un impatto concreto, non solo auspicabile: il Gpp è riconosciuto da anni dalla Commissione europea come uno degli strumenti più efficaci per decarbonizzare settori ad alta intensità di emissioni – come edilizia, trasporti, agroalimentare – e accelerare la transizione.

Per sostenere il Besa e rafforzare la posizione italiana nel negoziato europeo, Fondazione Ecosistemi lancia la rete delle pubbliche amministrazioni per gli acquisti pubblici europei e sostenibili. L’obiettivo è costruire una banca dati solida e condivisa sugli effetti concreti del Green Public Procurement in Italia: emissioni evitate, occupazione creata, innovazione attivata. Oggi, infatti, i dati sono raccolti in modo frammentato, rendendo difficile dimostrare con numeri alla mano il valore della strategia italiana.

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L’Italia è stato il primo Paese in Europa a rendere obbligatori i Cam negli appalti pubblici (dal 2016). Oggi, oltre il 60% delle stazioni appaltanti li applica e la conoscenza del Besa è quasi universale. Ma, come sottolinea Fondazione Ecosistemi, serve passare dai principi generali ai numeri: soglie emissive misurabili, contenuto europeo minimo nei beni acquistati, criteri geografici e ambientali chiari. L’analisi condotta su oltre 100 Dichiarazioni ambientali di prodotto (Epd) in settori chiave offre un quadro dettagliato della situazione: Acciaio: L’Italia produce acciaio prevalentemente con forni elettrici, spesso alimentati da fonti rinnovabili, con intensità emissive comprese tra 0,57 e 3,5 tCO₂/t. Tuttavia, nessuna produzione nazionale rispetta ancora la soglia di eccellenza climatica di 0,5 tCO₂/t indicata dallo studio Carbone 4. Alluminio: La produzione nazionale, tutta da riciclo, mostra valori generalmente sotto i 4 tCO₂/t. È un settore già competitivo dal punto di vista ambientale.

Cemento: Le emissioni vanno da 0,48 a 1,35 tCO₂/t, con poche produzioni vicine alla soglia di 0,45 tCO₂/t. Serve innovazione urgente, soprattutto per ridurre il contenuto di clinker.

Veicoli: Il contenuto europeo è superiore all’85%, ma manca un sistema di tracciabilità affidabile e l’utilizzo di materiali a bassa emissione di carbonio è ancora marginale. Fonti rinnovabili: I moduli fotovoltaici installati in Italia provengono per l’85–90% da Paesi extra-Ue; per l’eolico il contenuto europeo è tra il 40% e il 50%.

Ristorazione collettiva: Settore virtuoso. Il 69% delle stazioni appaltanti applica già il CAM, e molti enti locali hanno introdotto pasti vegetali, con una riduzione delle emissioni superiore al 30%.

Per rafforzare il ruolo dell’Italia in Europa e costruire una base solida di evidenze, Fondazione Ecosistemi lancia la Rete delle pubbliche amministrazioni per il Besa che avrà due obiettivi fondamentali: Condividere esperienze e buone pratiche tra enti pubblici italiani ed europei, Raccogliere dati misurabili sull’impatto del Gpp in termini economici, ambientali e occupazionali, oggi ancora raccolti in modo frammentario e non confrontabile.

«Solo se possiamo misurare il cambiamento, possiamo difenderlo e ampliarlo – conclude Falocco – Servono numeri per incidere nel negoziato europeo e dimostrare che una transizione equa è già possibile. Il Buy european and sustainable act non è un esercizio teorico. È uno strumento operativo, pensato per affrontare le debolezze del sistema europeo di rendicontazione – oggi composto da oltre 1.100 voci, spesso troppo complesse per Pmia e Pa – e per dare risposte tangibili a cittadini, imprese e territori. L’Italia ha già mostrato di poter essere un laboratorio avanzato di transizione. Ora deve diventare voce guida in Europa, superando la retorica e offrendo soluzioni che siano realistiche, eque e ambiziose».



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