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La dolce rivoluzione di Pepe Mujica


“Il corteo funebre del Pepe dev’essere accessibile a tutti, il popolo deve poterlo salutare da ogni angolo dell’Uruguay”. Queste le disposizionI date alle autorità da Lucia Topolansky, la compagna di tutta una vita di José Mujica, fin dai tempi della militanza nel gruppo guerrigliero Tupamaros. Una coppia inseparabile, la politica e l’impegno civile come perno e il rifugio sacro della “chacra”, la piccola casa di campagna fuori Montevideo che non hanno mai lasciato. Nel suo profilo ufficiale da Presidente della Repubblica, alla voce ‘professione’ Mujica mise contadino, in realtà quello che gli piaceva di più erano i fiori e li ha coltivati fino alla fine, nel vivaio che aveva a fianco dell’orto e delle galline.

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La sua vita è un film, e sono diverse le opere cinematografiche a lui dedicate, dal documentario con Emir Kusturica al bellissimo lungometraggio “Una notte di 12 anni” che racconta l’esperienza del carcere, delle torture e dell’isolamento sotto la dittatura. Il regime militare lo incarcerò ma non ebbe il coraggio di ucciderlo, la sua figura ne uscì ingigantita. Col ritorno della democrazia Mujica scelse la via della convivenza pacifica, nella sua mente non esisteva la voglia di vendetta.

In un’intervista che gli feci nel 2016 spiegò che la democrazia era il bene più prezioso e che il tempo è galantuomo e sana le ferite. “Bisogna andare avanti, consolidare le istituzioni, la violenza genera solo violenza”. Lo hanno definito, per questo, il Nelson Mandela del Sudamerica e bisogna dire che è anche grazie a lui se il più piccolo paese della regione è oggi un esempio di convivenza fra e parti. Schiacciato fra il Brasile e l’Argentina, dove la politica si gioca tutte sulle barricate (basta pensare al tentato golpe dei bolsonaristi o alle sciabolate di Milei) in Uruguay un rivale politico non è mai un nemico da schiacciare. Quando un candidato vince le elezioni inizia una transizione dettata dal rispetto, con il presidente uscente che porta il suo successore di opposto colore politico alle riunioni internazionali.

Mujica è stato il presidente più povero del mondo perché ha donato il 90% del suo salario a progetti sociali, in particolare la costruzione di case ad edilizia popolare nella periferia di Montevideo. “Non ho bisogno di tutti quei sodi, io e Lucia stiamo bene nella mia casetta. Come potrei prendere tutti quei soldi quando c’è gente che non ha un tetto e che dorme in strada appena fuori il palazzo presidenziale”. Durante i suoi cinque anni di mandato l’Uruguay legalizza l’aborto e si dota di una legge unica al mondo, dove lo Stato si fa responsabile della produzione e della distribuzione controllata della marijuana. Il 65% della popolazione è contraria, ma il governo ha i numeri in Parlamento e la fa approvare, oggi più della metà della popolazione è favorevole. No ha mai avuto paura di osare il Pepe e così, dopo la presidenza, diventa non solo un punto di riferimento della sinistra, ma un’icona del movimento no global. Amatissimo ai giovani, celebri i suoi discorsi e le sue interviste sul consumismo e sul capitalismo. “La vita non è solo lavorare. Bisogna dedicare un buon tempo per le pazzie che ognuno di noi ha, perché sei vivo quando usi il tuo tempo per correre dietro ad una passione, a qualcosa che ti da davvero soddisfazione”. E poi ancora. “Il vero valore delle cose non sta nel loro prezzo, ma nel tempo di lavoro che impieghiamo per poterle acquistare. La grande forza del lavoratore è il suo tempo, non possiamo vivere correndo dietro ai miti del consumo perché così facendo finiamo per ipotecare la nostra vita a rate infinite da pagare”.

L’eredità di Mujica sta proprio nell’esempio di vita, anche gli avversari riconoscono questo, mai sfiorato da uno scandalo e non è un caso che l’Uruguay sia il paese meno corrotto di un continente dove la polizia va di pari passo sempre con il malaffare. L’anno scorso ha annunciato la malattia ormai incurabile, il tumore che avanzava senza lasciare speranze. “Questo guerriero è arrivato alla fine di un lungo viaggio, sono stanco e malato, lasciatemi andare via in pace”. Da allora c’è stato un pellegrinaggio di leader della sinistra che sono andati a salutarlo. Il presidente colombiano Gustavo Petro, anche lui guerrigliero in gioventù, il socialista Cileno Gabriel Boric, fra i suoi preferiti. L’incontro più commovente con Lula da Silva, che gli diede l’ordine al merito di Rio Branco, la più alta onorificenza del Brasile. “Caro amico, io non sono uomo di premi e riconoscimenti, ma accetto questa medaglia in nome di tanta strada fatta insieme”. Lula lo abbracciò e gli diedo un bacio in testa. ”Sapevo – ha spiegato ieri da Pechino, dove si trova per un vertice con Xi Jinping – che quella era l’ultima volta che l’avrei visto. Di tutti gli uomini politici e i presidenti che ho incontrato Pepe è stato il più grande, il più integro, il più ispiratore. La carne se ne va, ma sono convinto che le sue idee resteranno per molto tempo ancora”. 



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