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l’Italia contro le restrizioni per gli acquisti fuori dal blocco


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L’Italia è tra i Paesi contrari a ulteriori restrizioni all’acquisto di armi non europee con i soldi che arriveranno in prestito dalla Commissione. I Ventisette stanno cercando di superare lo stallo sullo strumento Safe (Security Action for Europe), che dovrebbe fornire 150 miliardi di prestiti agli Stati membri per le spese per la Difesa.

All’Ecofin di ieri (martedì 13 maggio) c’è stato “un sostegno molto forte per una rapida conclusione dei negoziati”, ha detto Andrzej Domański, il ministro delle Finanze della Polonia, il Paese che detiene la presidenza di turno dell’Ue e che quindi guida le trattative. Sbloccare i 150 miliardi di prestiti è una “priorità”, ma ci sono ancora “un paio di problemi” da risolvere, che richiederanno alcuni aggiustamenti.

I limiti proposti da Bruxelles

Secondo la proposta dell’esecutivo comunitario, solo il 35 per cento dei soldi del Safe potrebbero essere utilizzati per acquisti in Paesi non Ue o che non hanno firmato Patti per la Difesa con il blocco. E tra questi ultimi non ci sono né gli Stati Uniti, né il Regno Unito, anche se con Londra un patto sulla difesa è in corso di negoziazione.

Ma, come riporta il Financial Times citando fonti diplomatiche, oltre a questo la Francia sostiene un’ulteriore restrizione che limiterebbe la partecipazione di qualsiasi subappaltatore di un Paese terzo al 15 per cento del valore del contratto. Questo requisito è ritenuto troppo restrittivo dall’Italia, ma anche da Germania e Polonia, le cui aziende di difesa hanno partnership significative con appaltatori britannici, turchi, americani e coreani.

Sul punto in Europa ci sono due linee. Da una parte Parigi insiste da tempo sulla necessità per l’Ue di raggiungere un’autosufficienza o “autonomia strategica” nel campo della difesa, mentre altre grandi economie del blocco, con forti legami con appaltatori della difesa di Paesi terzi, sostengono la necessità di concentrarsi sui mezzi più economici e veloci di riarmo, indipendentemente dalla nazionalità delle aziende che li producono.

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L’opposizione americana

E non stupisce che anche gli Stati Uniti di Donald Trump siano contrari all’introduzione di una clausola “buy european” nel piano di riarmo presentato da Ursula von der Leyen. “Nel momento in cui lavoriamo insieme per rafforzare la cooperazione transatlantica sulla base industriale della difesa, le capacità dell’industria della difesa devono includere anche il trattamento equo per le imprese tecnologiche di difesa americane”, ha detto ieri l’ambasciatore americano alla Nato, Matthew Whitaker.

“Escludere industrie di membri non Ue dalle iniziative di difesa dell’Ue minerebbe l’interoperabilità della Nato, rallenterebbe il riarmo dell’Europa, aumenterebbe i costi e soffocherebbe l’innovazione”, ha aggiunto Whitaker, nonostante abbia poi ribadito l’intenzione degli Usa di concentrarsi su altre minacce rispetto a quelle che pesano sull’Europa.

Varsavia spinge per l’accordo

La Polonia resta comunque fiduciosa nella possibilità di raggiungere un accordo a breve. “Siamo molto ottimisti e riusciremo ad ottenere un consenso su questo dossier durante la presidenza polacca, speriamo a maggio”, ha detto Domański, secondo cui “dobbiamo sbloccare in via prioritaria 150 miliardi di euro di prestiti per gli investimenti nella difesa”.



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