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più un 4.0 + 1 che una reale rivoluzione


Il piano Transizione 5.0, erede o nelle speranze evoluzione del precedente Transizione 4.0, finanziato con ingenti risorse del PNRR e fondi nazionali, mira a traghettare il sistema produttivo italiano verso una doppia transizione: digitale e green. L’obiettivo è nobile e necessario: incentivare gli investimenti delle imprese in beni strumentali materiali e immateriali che favoriscano l’efficienza energetica, l’utilizzo di fonti rinnovabili e una più spinta digitalizzazione dei processi. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, l’attuazione del piano ha sollevato perplessità e criticità che rischiano di minarne l’efficacia.

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Una delle principali problematiche emerse riguarda la complessità burocratica e la tempistica della fruibilità. L’architettura del piano, che prevede un meccanismo di credito d’imposta utilizzabile in compensazione tramite F24, ha visto non pochi ritardi a causa di decreti attuativi usciti “a rate”. La necessità di certificazioni ex ante ed ex post da parte di soggetti terzi, sebbene cruciale per garantire la conformità degli investimenti ai requisiti di risparmio energetico, aggiunge un ulteriore strato di complessità e costi, che possono risultare proibitivi o disincentivanti per le realtà più piccole e meno strutturate. Anche l’iniziale incertezza circa il divieto di cumulo con alcune agevolazioni (vedi la ZES) ha raffreddato molti entusiasmi. Questa indeterminatezza normativa ha tenuto molte imprese, soprattutto le Piccole e Medie (PMI), in una sorta di limbo, incapaci di programmare con sicurezza i propri investimenti. Peraltro, l’annuncio dell’introduzione della nuova agevolazione Transizione 5.0 e il ritardo della sua concreta operatività, ha generato anche altri effetti collaterali. Ad esempio, si è registrato un rallentamento nel 2024 degli investimenti aziendali in alcuni beni strumentali come i macchinari avanzati e la robotica, in quanto molte imprese hanno posticipato le spese in attesa della pubblicazione dei nuovi incentivi.

Un altro aspetto critico è legato all’effettiva capacità del piano di stimolare investimenti addizionali e non semplicemente di sovvenzionare decisioni già prese o inevitabili. Il rischio è che una parte significativa delle risorse vada a beneficio di imprese che avrebbero comunque intrapreso un percorso di ammodernamento, limitando così l’impatto moltiplicativo della misura. Inoltre, risulta molto limitante avere riproposto i famosi allegati A e B di beni materiali ed immateriali presenti sin dai tempi dell’iper-ammortamento, facendo apparire appunto il 5.0 più un 4.0+1. Sarebbe stato decisamente meglio concentrarsi sul supportare componenti che incidono direttamente e pesantemente sul consumo di energia elettrica in fabbrica (come i motori elettrici). A ben riflettere, anche l’iniziativa di far “trainare”, ad esempio, l’istallazione di pannelli fotovoltaici dagli investimenti nei beni previsti negli allegati A e B appare non proprio così lineare, considerando che le energie rinnovabili hanno da anni dei capitoli di incentivazione ad hoc.

La definizione dei criteri di accesso e delle soglie di risparmio energetico richieste ha generato dibattito. Se, da un lato, è fondamentale garantire che gli incentivi premino interventi realmente significativi dal punto di vista ambientale, dall’altro lato requisiti troppo stringenti o di difficile interpretazione potrebbero scoraggiare l’accesso. La “doppia transizione” impone che i progetti siano ammissibili solo qualora conseguano un risparmio energetico a livello di processo produttivo o di unità produttiva. La quantificazione e la certificazione di tale risparmio, specialmente per le PMI, possono rivelarsi un onere non indifferente. In altre parole, si ipotizza l’applicazione di KPI complessi in un ecosistema dove le PMI hanno difficoltà a reperire ed organizzare dati ben più elementari di questi.

Vi è poi la questione della disponibilità delle competenze necessarie non solo per implementare le nuove tecnologie, ma anche per maneggiare il complesso iter burocratico del piano. Molte imprese, pur volendo innovare, potrebbero scontrarsi con la carenza di figure professionali specializzate – sia al proprio interno, sia sul mercato della consulenza – capaci di guidarle nella scelta degli investimenti e nella gestione delle pratiche. La stessa formazione, limitata al 10 per cento degli investimenti del Piano 5.0, appare un’agevolazione ancillare anziché un motore al cambiamento.

Un ulteriore elemento di preoccupazione è la gestione dei flussi di cassa per le imprese. Sebbene il credito d’imposta sia una misura apprezzata, la sua fruizione posticipata (seppur anche in unica soluzione) rispetto all’esborso finanziario per l’investimento può rappresentare una tensione finanziaria, specialmente in un contesto economico caratterizzato da inflazione e alti tassi di interesse. La prevedibilità e la celerità nell’ottenimento effettivo del beneficio diventano quindi cruciali. La ratio del legislatore, scottato dalla voragine Superbonus, è stata quella di tenere monitorato finanziariamente l’impegno delle risorse attraverso i sistemi di prenotazione, ma va detto che, ad esempio, lo stesso sistema del credito (anche esso su passate agevolazioni colpito da cambi normativi in corsa) non ha di certo mostrato entusiasmo.

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Infine, la comunicazione e l’informazione sul piano non sempre sono state percepite come chiare e tempestive. La sovrapposizione con altre misure incentivanti e la continua evoluzione del quadro normativo possono aver generato confusione tra gli operatori, rendendo difficile una piena comprensione delle opportunità e dei requisiti.

In conclusione, il piano Transizione 5.0 rappresenta un’opportunità strategica per l’Italia, ma il fatto che, da quanto si apprende dalle ultime rilevazioni, dei 6,3 miliardi stanziati sono stati utilizzati solo 500 milioni, risulta molto significativo. A quanto pare, anche incalzato dalle ravvicinate scadenze del PNRR, il Governo ha già deciso di decapitare l’iniziativa, dimezzandone lo stanziamento per riversare circa 3 miliardi su altri capitoli. Un’altra occasione perduta?



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