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Meloni, la soave illusionista e i soliloqui senza ostacoli


Una bugia ripetuta all’infinito si fa realtà, specie con Internet; di bugie fiorisce il fantastico mondo della premier che, al riparo su Facebook da domande scomode, entra in trance e ci narra le sue visioni; in Italia però l’economia declina, e sui diritti civili si corre indietro

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Una bugia ripetuta all’infinito si fa realtà, specie con internet; di bugie fiorisce il fantastico mondo di Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio, al riparo su Facebook da domande scomode, entra in trance e ci narra le sue visioni; in Italia però l’economia declina, e sui diritti civili si corre indietro.

Una causa comune lega fenomeni in apparenza slegati: il calo dei salari reali, degli investimenti privati e pubblici, i pochi laureati, l’evasione fiscale e dell’obbligo scolastico, l’emigrazione di troppi giovani per la cui istruzione tanto s’è speso, il fermo di Pil e produttività, anche lo scandaloso aumento dei morti al lavoro.

Nulla vede la soave illusionista, lei è per l’individuo contro la comunità, per la palude contro l’innovazione; magari fosse conservatrice, è reazionaria. In economia celebra la microimpresa, la cui diffusione cementa quei mali. Uscita di scena la grande impresa, il nostro potere forte è la miriade di piccolissime; balneari e tassisti sono solo i più visibili.

Le nostre imprese con meno di dieci dipendenti occupano oltre il 40% del totale, contro il 20-30% di Francia e Germania, rispetto alle quali la produttività è inferiore del 20-30%; siamo al livello delle turche, rivali non esaltanti. Di qui la nostra bassa, stagnante produttività; il fenomeno dura da tempo, ma la destra lo amplifica. Il 10% degli italiani vive in povertà assoluta, milioni di dipendenti a tempo pieno non guadagnano più abbastanza per mantenere due persone. È il lavoro povero, non era mai successo, calano i salari reali, ma Meloni, avendo stoppato il parlamento sul salario minimo, non se ne cura.

Fra le possibili cause del fenomeno spiccano la scarsa qualità dei prodotti, la crescita o la difesa del saggio di profitto, infine il “nero”; certo non l’eccesso di concorrenza, ora sparita dall’orizzonte di un governo che non la ritiene condizione necessaria a una grande economia avanzata, ma ubbia da liberisti.

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La flat tax colpisce diversamente redditi uguali, spinge gli autonomi sotto la soglia di ricavi per poterne fruire, quindi al nero, colore caro a Meloni; ella protegge benevola l’evasione delle microimprese, parla di pizzo di stato, rifiuta modifiche al Catasto, offre il concordato biennale agli autonomi che evadono (dati Mef) due terzi delle tasse. Una sproporzionata fetta delle imposte dirette grava intanto sui dipendenti, derubati dal fiscal drag e beffati con mancette che essi stessi pagano.

L’impresa minima nel Dopoguerra trainò il “miracolo economico”, ma ora è una palla al piede, avvinta alle alterne vicende delle famiglie proprietarie. Così numerose, esse sono difficili da controllare per i pochissimi ispettori del lavoro; ciò non le incentiva a rigare diritto sulla sicurezza.

Fra queste gli incidenti gravi sono in proporzione più frequenti, pur in carenza di dati si può starne certi. L’impresa troppo piccola non ha i mezzi per grandi investimenti, non le serve personale qualificato o non lo trova perché il vertice spetta a chi ha vinto la lotteria delle ovaie (Copyright Warren Buffett). S’erge così una barriera contro le aggregazioni, spesso indispensabili anche solo per il trapasso generazionale. I dati sul valore aggiunto per dipendenti e classi dimensionali confermano che soprattutto nelle microimprese calano i salari reali. È ben migliore la realtà delle medie imprese, vitali ma troppo poche per trainare l’Italia tutta.

Chi possiede mini e microimprese ha ogni diritto di mantenerle piccole, anche contro il loro interesse, spesso opposto a quello della famiglia. Se proprio non vuol parlare di salario minimo, un governo con un barlume di pensiero economico e civile dovrebbe invertire la sua rotta retrograda, spingere le imprese a crescere su dimensioni che stimolino investimenti, produttività, redditi, consumi, e Pil, che solo può assorbire i maxi debiti pubblici. Diamo per scontato che non lo farà; saprà il Pd ribaltare l’agenda dei soliloqui di Meloni, per vincere la prossima volta? Purché non sia tardi.

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