Sono più di 157mila i lavoratori bergamaschi che da tempi più o meno lunghi stanno attendendo il rinnovo del contratto. A questi se ne aggiungeranno presto altre migliaia, che hanno il Ccnl in scadenza entro fine anno. I pochi che possono tirare un sospiro di sollievo sono gli addetti di cemento, lapidei e somministrazione (poco più di 18mila lavoratori),che hanno visto da poco tempo rinnovare il proprio contratto.
Istat ha diffuso il report riguardante contratti collettivi e retribuzioni. Alla fine di marzo 2025, i 40 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 52,7% dei dipendenti – circa 6,9 milioni – e corrispondono al 50,7% del monte retributivo complessivo. Nel corso del primo trimestre 2025 sono stati recepiti nove contratti, ma troppi ancora rimangono «inevasi».
I contratti non rinnovati
A fine marzo 2025, i contratti in attesa di rinnovo sono 35 e coinvolgono circa 6,2 milioni di dipendenti, il 47,3% del totale. A Bergamo, per i 157mila «orfani», l’attesa, nella peggiore delle ipotesi, ha già toccato i 13 anni, come nel caso del contratto Aris per le Rsa, i 12 anni del contratto regionale degli artigiani e i 7 per Aris Aiop della Sanità Privata. In quasi tutti i casi, comunque, la vigenza contrattuale può arrivare tranquillamente a due anni e più.
Con i rinnovi di questi ultimi mesi, la retribuzione oraria media è cresciuta del 3,9% rispetto al 2024. I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono: alimentari (+7,8%), settore metalmeccanico (+6,3%) e commercio (+6,1%). L’incremento è invece nullo per farmacie private, telecomunicazioni, regioni e autonomie locali e servizio sanitario nazionale.
L’incremento di retribuzioni
Nel primo trimestre del 2025, la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali rimane sostenuta nel settore privato ed è decisamente più contenuta nel settore pubblico. In termini reali si osserva un ulteriore recupero rispetto alla perdita di potere d’acquisto che si è verificata nel biennio 2022-2023, che tuttavia rimane ancora ampia: per il totale economia, le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’otto per cento rispetto a quelle di gennaio 2021. Perdite inferiori alla media si osservano in agricoltura e nell’industria, mentre situazioni più sfavorevoli si registrano nei settori dei servizi privati e della pubblica amministrazione. Grazie ai rinnovi registrati nei primi tre mesi dell’anno, alla fine di marzo, solo tre dipendenti su dieci nel settore privato sono ancora in attesa del rinnovo del Ccnl.
Gli accorsi scaduti
Nel primo trimestre del 2025 sono scaduti gli accordi relativi a: estrazione minerali energetici e petrolifere, carta e cartotecnica, cemento, cale e gesso, Fiat, energia elettrica, gas e acqua, servizio smaltimento rifiuti aziende private e municipalizzate, trasporti aerei-vettori, autorimesse e autonoleggio, radio e televisioni private, assicurazioni e pulizia locali; per la pubblica amministrazione risulta scaduto il triennio 2022-2024.
Nel mese di marzo 2025, la quota di dipendenti in attesa di rinnovo è in aumento rispetto a marzo 2024 (34,9%). Mediamente, i mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono 23,1, in diminuzione rispetto allo stesso mese del 2024 (29,0). L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 10,9 mesi, in aumento rispetto a quella registrata un anno prima (10,1). Con riferimento al solo settore privato, la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 32,6%, in diminuzione rispetto al mese precedente (34,2%) e in aumento rispetto a marzo 2024 (16,7%). I mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 11,5, attesa media che scende a 3,8 mesi se calcolata sul totale dei dipendenti privati.
«Il potere d’acquisto delle retribuzioni va tutelato con aumenti adeguati e in tempi brevi, evitando tensioni contrattuali – dice Luca Nieri, segretario provinciale della Cisl. I rinnovi contrattuali, oltre che dare risposte economiche, costruiscono risposte normative a cambiamenti in corso verso le nuove esigenze delle persone e delle imprese, e sono un volano per il rilancio della nostra economia e dei consumi interni. Avere contratti non rinnovati da oltre 10 anni comporta il rischio di perdere per strada la possibilità di adeguare la vita dei lavoratori e delle aziende ai i cambiamenti tecnologici, organizzativi e della società stessa. Rinnovi senza ritardi finiscono invece di calzare come un vestito ai cambiamenti in corso. Inoltre, trattative troppo lunghe spesso sono immagini di relazioni industriali poco costruttive e moderne e portano a conflitti, scioperi e tensioni».
«La competitività delle nostre imprese – continua il sindacalista – si costruisce sul riconoscimento economico e sulla professionalità delle competenze dei lavoratori, con investimenti in formazione e tecnologia, su modelli organizzativi condivisi e non sulla riduzione del costo del lavoro per il mancato rinnovo. Per il tessuto economico orobico, i lavoratori dipendenti sono un numero importante e significativo, che va oltre le 400mila unità (407.500 il numero effettivo), e anche i loro rinnovi contribuiscono alla sostenibilità del nostro territorio».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link