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L’Oms ha perso credibilità | Oms


L’Organizzazione mondiale della sanità ha comunicato una riduzione significativa della propria squadra dirigenziale: passerà da 14 a 7 membri, accompagnata da un taglio del bilancio del 25%. Questa decisione si inserisce in un contesto di difficoltà finanziarie, innescato dal ritiro del sostegno economico degli Stati Uniti. Per colmare il vuoto, l’Oms punterà su donazioni filantropiche private e contributi aziendali.

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Si tratta di un aggiustamento che, per imprese e famiglie, rappresenta una prassi comune. I tagli riportano l’organizzazione ai livelli pre-Covid, ma per l’Oms, abituata a una crescita costante di risorse e influenza, questa misura ha suscitato reazioni drammatiche, con lamentele e timori apocalittici. Finora, il dibattito si è concentrato su questioni gestionali e di bilancio, ma il problema reale è ben più profondo e affonda le radici in una dimensione filosofica, emersa con chiarezza durante la crisi degli ultimi cinque anni. Al centro di tutto, un nodo cruciale: la gestione della pandemia.

All’inizio dei lockdown mondiali, l’Oms ha svolto un ruolo determinante nel legittimare la coercizione di massa come strategia per affrontare un nuovo virus. La sua concezione di “salute” ha finito per devastare il funzionamento sociale ed economico in tutto il mondo. Oggi molti dirigenti dell’organizzazione negano di aver orchestrato i lockdown, ma i documenti parlano chiaro. L’Oms ha organizzato una missione a Wuhan, in Cina, coinvolgendo funzionari sanitari internazionali, tra cui rappresentanti degli Istituti nazionali di sanità degli Stati Uniti. La missione si è svolta dal 16 al 24 febbraio 2020, culminando in un rapporto pubblicato il 28 febbraio 2020, ancora disponibile sui server dell’Oms, intitolato “Rapporto della missione congiunta Oms-Cina sulla malattia da coronavirus 2019”.

Il team ha visitato diverse città cinesi, ascoltando le indicazioni del Partito comunista cinese sul controllo delle malattie infettive attraverso misure totalitarie senza precedenti. Nel rapporto, l’Oms ha espresso un giudizio netto, destinato a influenzare il mondo intero: «Di fronte a un virus fino ad allora sconosciuto, la Cina ha messo in campo uno sforzo di contenimento forse tra i più ambiziosi, agili e aggressivi della Storia. La strategia alla base di questo contenimento si è inizialmente fondata su un approccio nazionale che promuoveva il monitoraggio universale della temperatura, l’uso delle mascherine e il lavaggio delle mani. Con l’evolversi dell’epidemia e l’acquisizione di nuove conoscenze, è stato adottato un approccio scientifico e basato sul rischio per adattare le misure».

Difficile credere che l’Oms abbia potuto avallare pratiche come il rastrellamento di persone per strada o la segregazione forzata nelle abitazioni. Eppure, il rapporto elogia così l’approccio cinese: «Il raggiungimento di un’adesione così straordinaria a queste misure di contenimento è stato possibile solo grazie al profondo impegno del popolo cinese verso un’azione collettiva di fronte a una minaccia comune — E ancora — A livello individuale, i cinesi hanno reagito all’epidemia con coraggio e determinazione. Hanno accettato e rispettato le misure di contenimento più severe, dalla sospensione degli assembramenti pubblici agli avvisi di restare a casa per un mese, fino ai divieti di viaggio. Durante i nove giorni di visite in Cina, in discussioni franche con comunità locali, operatori sanitari in prima linea, scienziati di alto livello, governatori e sindaci, la missione congiunta è rimasta colpita dalla sincerità e dalla dedizione di ciascuno nella risposta al Covid-19».

Rileggere queste parole lascia ancora sbalorditi. Il documento, firmato anche dagli Stati Uniti e redatto da un laureato della Stanford University — tuttora impiegato all’Oms — è stato diffuso in tutto il mondo. I principali mezzi di informazione lo hanno accolto con entusiasmo, esortando i governi a conformarsi. Questo documento ha segnato un punto di svolta nella storia contemporanea: l’Oms ha benedetto il totalitarismo come via maestra per la salute pubblica. Quasi tutti i Paesi, con poche eccezioni come Svezia, Nicaragua e Tanzania, hanno seguito questa linea. Le agenzie sanitarie hanno spinto i governi ad adeguarsi, e quando i cittadini si chiedevano perché scuole, chiese e attività commerciali fossero chiuse, la risposta era sempre la stessa: lo imponevano le autorità, che a loro volta citavano l’Oms.

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Persino i social media si sono allineati. YouTube, di proprietà di Google, ha dichiarato che non avrebbe permesso contenuti in contrasto con le raccomandazioni dell’Oms, mentre Google ha manipolato i suoi algoritmi di ricerca per favorire le priorità dell’organizzazione.

A un eminente scienziato, critico dichiarato del modello di controllo delle malattie basato su lockdown e vaccinazioni di massa, è stato chiesto quale fosse stato il ruolo dell’Oms. In particolare, gli è stato domandato dell’influenza del rapporto del 28 febbraio 2020. La sua risposta è stata netta: quel documento è stato il punto di svolta, il fattore determinante nella risposta dei governi.

Le politiche che ne sono derivate hanno avuto conseguenze devastanti: hanno compromesso la salute a livello mondiale, condannato molti giovani all’analfabetismo, alimentato l’abuso di sostanze, favorito la dipendenza digitale e demoralizzato miliardi di persone, convinte di godere di libertà che si sono rivelate illusorie. Diritti e libertà, si è scoperto, possono essere revocati in un istante. E l’Oms è stata la forza trainante di questa catastrofe, in piena collaborazione con il Partito comunista cinese, per quanto sembri incredibile.

Non sorprende, dunque, che l’Oms abbia perso credibilità. Di fronte alla reazione mondiale contro quanto accaduto, è naturale che le nazioni stiano riconsiderando il proprio rapporto con l’organizzazione. A peggiorare la situazione, l’attuale dirigenza dell’Oms include ancora alcune figure chiave della risposta pandemica, che non solo non si sono scusate, ma continuano a difendere le loro scelte. Una condotta che appare sfrontata.

La vera questione è cosa possano fare le nazioni al di fuori dell’Oms. A livello nazionale e locale, resta molto da fare: serve un nuovo modello per il monitoraggio e il trattamento delle malattie, con un’attenzione maggiore alle patologie croniche e senza un’ossessione per le soluzioni farmacologiche.

Questo aspetto cruciale manca ancora: cosa possono fare i Paesi se decidono di abbandonare l’Oms? La risposta non è ancora chiara. Ma l’Oms non scomparirà a breve, per quanto la sua autorevolezza come voce credibile in materia di salute sia ormai compromessa. Ha speranze di sopravvivenza a lungo termine? È lecito dubitarne. L’Oms condivide il destino di molte istituzioni un tempo rispettate, travolte dalla gestione della pandemia. La resa dei conti, però, deve ancora arrivare.

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