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Speranza di vita, scuola, reddito: la grande frenata nello sviluppo umano, il grafico che spiega tutto

DiAdessonews

Mag 17, 2025 #acemoglu, #alimentato, #Artificiale, #aspettativa, #aspettativa istruzione, #aspettativa istruzione reddito, #attuali, #autonomia, #avvertimenti, #aziende, #bambini, #basso, #Big, #BIG TECH, #capacità, #che, #CINQUE, #ciò, #classifiche, #colossali, #compiti, #concorrenza, #Corsa, #COVID, #creare, #dati, #decenni, #Decisioni, #deterministiche, #differenze, #disuguaglianza, #disuguaglianze, #divario, #divisioni, #dollari, #dominio, #economie, #Economist, #esseri, #esseri umani, #Frenata, #Grafico, #grande, #hdi, #hdi traccia, #hdi traccia progressi, #ia, #indice, #indice sviluppo, #indice sviluppo umano, #individui, #inferiore, #iniziale, #Intelligenza, #Intelligenza Artificiale, #interno, #inventori, #Istruzione, #istruzione reddito, #lavoratori, #lenti, #lento, #lento registrato, #Limiti, #macchine, #maggiore, #marmot, #media, #miglioramento, #miglioramento lento, #miglioramento lento registrato, #misure, #modelli, #molte, #Mostra, #mostra ritmo, #mostra ritmo miglioramento, #nascita, #nazioni, #né, #nello, #obiettivo, #OMS, #Paesi, #paesi basso, #paesi poveri, #paesi ricchi, #pandemia, #potenziale, #poveri, #priorità, #prive, #progressi, #progressi termini, #progressi termini aspettativa, #proposito, #pubblicato, #quadro, #raggiungere, #raggiunto, #rapporto, #rapporto indice, #rapporto indice sviluppo, #reddito, #registrato, #Scuola, #sembrano, #speranza, #spiega, #Steiner, #sviluppo, #sviluppo umano, #sviluppo umano hdi, #tech, #tutto, #umani, #umanità, #umano, #umano hdi, #Visione, #vita
Speranza di vita, scuola, reddito: la grande frenata nello sviluppo umano, il grafico che spiega tutto


di
Luca Angelini

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L’Indice di sviluppo umano (Hdi) traccia i progressi in termini di aspettativa di vita, istruzione e reddito. L’ultimo rapporo mostra che il ritmo di miglioramento nel 2023 è stato il più lento mai registrato»

Statistiche e classifiche, lo sappiamo, vanno prese con le molle. Si ripete spesso che i numeri non mentono, ma in realtà spesso non dicono la verità. Perlomeno non tutta. Le classifiche di lungo corso, però, possono indicare almeno una tendenza. E quella che si ricava dall’ultimo rapporto sull’Indice di sviluppo umano (Hdi) dell’Onu, pubblicato questa settimana, non è confortante, come sottolinea l’Economist. «In piena pandemia di Covid 19 – quando gli ospedali si sono riempiti, le scuole e gli uffici hanno chiuso e le economie si sono bloccate – molti si chiesero quando mai il mondo si sarebbe ripreso. Cinque anni dopo, i dati mostrano che la battuta d’arresto del tenore di vita potrebbe continuare. L’Indice di sviluppo umano (Hdi) traccia i progressi in termini di aspettativa di vita, istruzione e reddito. Dopo il Pil, è una delle misure di sviluppo più utilizzate. Il punteggio globale era diminuito nel 2020 e nel 2021, il primo calo dalla nascita dell’indice nel 1990. Ha recuperato un po’ nel 2022. Ma l’ultimo rapporto, pubblicato il 6 maggio, mostra che il ritmo di miglioramento nel 2023 è stato il più lento mai registrato».

L’appiattimento

Il grafico che mostra l’appiattirsi della curva dell’Indice di sviluppo umano dopo il Covid
L’indice Hdi non tiene in considerazione le differenze all’interno dei singoli Paesi, che spesso sono molto grandi. Ma, in ogni caso, l’inclinarsi verso il basso di una linea che, fino alla pandemia, appariva in robusto rialzo, non è una buona notizia. Tanto più che, guardando ai dati, la forbice tra chi sta peggio e chi sta meglio si sta allargando. Il 97% dei Paesi ricchi ha recuperato completamente o superato i risultati ottenuti prima della pandemia, dice Achim Steiner del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, curatore del Rapporto. Questo vale per meno del 60% dei Paesi poveri. La parte inferiore dell’indice è dominata dall’Africa subsahariana (fra i 26 Paesi a «basso sviluppo umano» gli unici non africani sono Pakistan, Yemen e Afghanistan). L’aspettativa di vita alla nascita in Sud Sudan, il Paese più basso in classifica, è inferiore a 58 anni, la scolarizzazione media è inferiore a sei anni e il reddito nazionale lordo pro capite è di soli 688 dollari (per l’Italia, al 29° posto, i dati sono 83,7 anni di vita attesa, 16,7 anni di scuola e oltre 52 mila dollari di reddito). Dopo decenni di riduzione, il divario tra i Paesi in cima e in fondo all’indice è aumentato per quattro anni consecutivi. I Paesi più poveri del mondo si sono fermati anche su altri indicatori. La povertà estrema è diminuita a malapena dal 2015. Le misure di salute pubblica sono diminuite dal 2015. E dalla metà degli anni 2010 i tassi di crescita economica delle economie povere sono stati in media più lenti di quelli delle economie più ricche. I Paesi del mondo arabo e dell’America Latina e Caraibi hanno registrato la ripresa più lenta del tenore di vita dopo la pandemia. I piani di riarmo e i tagli al capitolo aiuti e cooperazione internazionale da parte dei governi americani ed europei fanno oltretutto temere che la situazione, per i Paesi poveri, peggiorerà.




















































Il rapporto Oms

Per quanto riguarda la speranza di vita, un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), conferma le tinte cupe del quadro, come riporta il Financial Times: «Il divario, pari a 33 anni, tra il migliore e il peggior risultato – Giappone e Lesotho – si è ridotto di nove anni rispetto al rapporto iniziale del 2008. Quel rapporto chiedeva però che il divario tra il terzo superiore e il terzo inferiore dei Paesi, che nel 2000 era di 18,2 anni, si riducesse a 8,2 anni entro il 2040. Secondo il professor Sir Michael Marmot, che ha diretto il rapporto iniziale e ha fornito consulenza per l’ultima pubblicazione, è improbabile che l’obiettivo venga raggiunto agli attuali ritmi di progresso. L’Oms ha inoltre richiamato l’attenzione sulle forti e crescenti differenze di longevità all’interno dei Paesi. “È un triste atto d’accusa nei confronti dei leader di governo il fatto che l’ingiustizia sociale continui a uccidere su così vasta scala”, dice Marmot. Gli obiettivi che abbiamo fissato per colmare il divario di salute in una generazione non saranno centrati». I bambini nati nei Paesi più poveri hanno 13 volte più probabilità di morire prima dei cinque anni rispetto ai Paesi più ricchi. Eliminare questa disuguaglianza legata alla ricchezza «potrebbe aiutare a salvare la vita di 1,8 milioni di bambini nei Paesi a basso e medio reddito», si legge nel rapporto.

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I progressi

La conclusione dell’Economist è amara: «Per decenni è sembrato che, in media, il mondo avrebbe raggiunto livelli di sviluppo molto elevati prima del 2030. Se i progressi odierni continueranno a essere lenti, potrebbero volerci decenni in più per raggiungere quel traguardo».
Il rapporto appena pubblicato, però, ha per titolo: «Una questione di scelta. Persone e possibilità nell’età dell’AI», perché l’intelligenza artificiale può cambiare tutto il quadro. Sia in meglio che in peggio, purtroppo. Sul punto, il già citato Steiner è molto chiaro: «Siamo a un bivio: se da un lato l’AI promette di ridefinire il nostro futuro, dall’altro rischia di approfondire le divisioni di un mondo già fuori equilibrio. Siamo sull’orlo di un rinascimento alimentato dall’AI o stiamo invece camminando come sonnambuli verso un futuro governato dalla disuguaglianza e dall’erosione delle libertà?».

Gli avvertimenti

Sembra di sentir echeggiare gli avvertimenti del premio Nobel per l’Economia Daron Acemoglu, il quale non si stanca di ripetere (qui un’intervista a Federico Fubini e qui un intervento su Le Grand Continent) che «ci sono due modi sostanzialmente diversi di guardare agli sviluppi dell’Intelligenza artificiale: il primo è la corsa senza fine verso l’intelligenza artificiale generale e poi la superintelligenza, in cui le macchine superano gli esseri umani in quasi tutte le attività. Se questa visione può suscitare timori di un dominio delle macchine, la minaccia principale, in questo scenario, proviene in realtà dal potere incontrollato di chi sviluppa e gestisce questi sistemi. Un simile futuro aggraverebbe enormemente le disuguaglianze e, privandoci della nostra capacità di azione, ridurrebbe e svuoterebbe il significato stesso dell’essere umano. La seconda via è quella che io e i miei colleghi chiamiamo un’”AI a favore dei lavoratori” o “a favore dell’umanità”. In questa visione, l’IA diventa uno strumento per responsabilizzare gli individui e rendere i lavoratori più produttivi, fornendo loro informazioni contestuali e affidabili in supporto alla loro competenza. La priorità è garantire agli individui il controllo sui propri dati e consentire di svolgere un più ampio ventaglio di compiti con maggiore sicurezza e autonomia. A differenza della prima, questa seconda prospettiva non è un’utopia. L’IA può già oggi creare sistemi che aiutano concretamente lavoratori e cittadini. Tuttavia, questo potenziale sarà vanificato se l’architettura su cui si basa è progettata per imitare e superare gli esseri umani anziché per sostenerli e aiutarli. Invece di sviluppare strumenti per migliorare il processo decisionale, molte aziende sembrano più preoccupate di creare modelli che producono mere imitazioni prive di sostanza o altre riproduzioni superficiali e prive di vita. Per preservare ciò che ci rende umani — e lasciare la creatività al suo giusto posto — l’IA deve liberarsi dall’obiettivo della semplice imitazione. Dovrebbe fornire indicazioni chiare e interpretabili ai decisori umani, aiutandoli a fare scelte più informate».

Le visioni deterministiche

Steiner avverte che la campana sta già suonando, anche se molti non sembrano sentirla. «Troppo spesso i titoli dei giornali, le politiche e i dibattiti pubblici si concentrano su ciò che l’AI potrebbe realizzare in un futuro lontano, utopico o distopico che sia. Queste visioni deterministiche non ci fanno soltanto sentire più deboli, sono anche profondamente fuorvianti. Oscurano il fatto che il futuro viene plasmato ora, dalle scelte che facciamo oggi. Il Rapporto sullo sviluppo umano 2025 ci ricorda che sono le persone – non le macchine – a determinare quali tecnologie prosperano, come vengono utilizzate e a chi servono. L’impatto dell’IA non sarà definito da ciò che è in grado di fare, ma dalle decisioni che prenderemo nella sua progettazione, sviluppo e implementazione». In proposito, sulla scia di Acemoglu, chiarisce: «La capacità dell’AI di automatizzare compiti non routinari ha alimentato il timore di una sostituzione degli esseri umani, ma questo avverrà solo se riduciamo le persone a semplici esecutori di compiti. Questo Rapporto sfida una visione del genere. Sostiene che noi esseri umani, “la vera ricchezza delle nazioni”, siamo molto più della somma dei compiti che svolgiamo. Piuttosto che misurare l’AI in base a quanto ci imita, il Rapporto sottolinea come le differenze tra gli esseri umani e le macchine possano creare potenti complementarità che espandono il potenziale umano».

I limiti sociologici

In proposito, Steiner ricorda che il precedente rapporto sull’Indice di sviluppo umano, Breaking the Gridlock, aveva chiarito che i nostri limiti su questo fronte sono sociologici, non tecnologici: «Molte delle crisi e delle disuguaglianze che affrontiamo persistono non perché manchino le soluzioni, ma perché non abbiamo agito. Dovremmo resistere alla tentazione di antropomorfizzare l’AI, ma per molti versi essa è come uno specchio, riflette e amplifica i valori, le strutture e le disuguaglianze delle società che la plasmano. L’AI non agisce indipendentemente da noi; si evolve attraverso le nostre decisioni e le nostre priorità. Se non riusciamo ad affrontare le ingiustizie e le divisioni attuali, l’AI non farà che consolidarle ancora di più. Ma se investiamo nelle capacità umane e ci impegniamo per una maggiore equità, l’AI può amplificare il meglio di ciò che l’umanità può raggiungere».

Gli inventori dell’Ai

Il grosso ostacolo, per un’AI amica dell’umanità sono, inutile nasconderlo, gli inventori e attuali potentissimi e ricchissimi «padroni» dell’AI medesima. Big Tech ha prosperato, denuncia Acemoglu, grazie a modelli di business che «generano profitti colossali automatizzando compiti, abbattendo i costi del lavoro e monopolizzando la pubblicità digitale, senza alcun interesse per l’autonomia dei lavoratori o il rafforzamento delle democrazie. Purtroppo, le attuali condizioni di mercato consentono alle aziende dominanti di rafforzare la propria posizione egemonica: le Big Tech dispongono di immense risorse finanziarie — per acquistare o soffocare la concorrenza —, di enormi quantità di dati, di basi di clienti colossali e del favore di legislatori che sembrano aver rinunciato a qualsiasi politica di concorrenza. (…) Protette e sostenute dalla nuova amministrazione americana, le Big Tech hanno una strategia chiara nella loro incessante corsa all’AI: intendono usare questa tecnologia come strumento per consolidare il proprio dominio e rimodellare i mercati globali a proprio vantaggio».
Né Acemoglu né Steiner pensano che il finale sia già scritto. Ma entrambi sono convinti che il momento per scriverne uno diverso sia adesso (anche per l’Europa: ne avevamo parlato qui). Prima che le prossime statistiche e classifiche ci dicano che è troppo tardi.

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17 maggio 2025 ( modifica il 17 maggio 2025 | 12:24)

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