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«Faremo sentire forte la nostra voce fino a Roma»


Certezze che si sgretolano sempre di più, giorno dopo giorno sullo stabilimento Stellantis di Termoli. Per questo, tra reparti in chiusura, dipendenti in uscita, progetti stagnanti, le sigle sindacali metalmeccaniche, quelle firmatarie del Ccsl, con Fim-Cisl, Uilm, Fismic e UglM, rappresentate dai segretari Marco Laviano, Francesco Guida, Giovanni Mercogliano e Domenico Guida, hanno fatto la voce grossa, ieri mattina, alla Cala Sveva Beach club. Incontro che ha radunato decine e decine di sindacalisti e dipendenti, ma anche i consiglieri dem Manuela Vigilante e Oscar Scurti, nonché il vicesindaco Michele Barile.
Per Francesco Guida (Uilm) «Siamo qui oggi, come organizzazioni sindacali, per lanciare un grido d’allarme. Perché quello che sta vivendo lo stabilimento Stellantis di Termoli non è semplicemente un momento di difficoltà, ma forse uno dei passaggi più complicati e delicati della sua storia. Un passaggio che, se non gestito con lucidità e coraggio, rischia di compromettere definitivamente il presente e il futuro industriale non solo di Termoli, ma dell’intero basso Molise. Negli anni passati abbiamo affrontato crisi, periodi di rallentamento e anche ristrutturazioni complesse, ma ciò che accade oggi ha una portata diversa: siamo di fronte a un cambiamento strutturale globale che investe tutto il settore automobilistico europeo. Le regole imposte a livello comunitario, e l’incapacità di prendere decisioni politiche chiare, stanno mettendo in seria discussione la sopravvivenza stessa del comparto automotive nel nostro continente. Ogni giorno leggiamo analisi contrastanti su ciò che l’Europa intenda davvero fare. Il problema è semplice ma cruciale: l’auto in Europa deve continuare a esistere oppure no? Perché con le attuali regole stringenti sulle emissioni e le quote obbligatorie di auto elettriche da immettere sul mercato, il rischio concreto è la scomparsa di intere filiere produttive. E non si tratta di un’esagerazione. A febbraio siamo stati tutti a Bruxelles – sindacati uniti – e abbiamo chiesto a gran voce una modifica delle norme, in particolare delle sanzioni che le case automobilistiche saranno costrette a pagare se non rispetteranno la quota di auto elettriche vendute. Sanzioni autoimposte. Vendere a un mercato che non è pronto ad assorbire quei prodotti è una follia. Non esiste nessun altro continente che abbia deciso di imporsi multe simili da solo. E mentre accade questo, l’Europa lascia la porta spalancata all’ingresso massiccio della concorrenza cinese. Solo pochi giorni fa, i vertici di Stellantis e Renault hanno nuovamente lanciato l’allarme: così si rischia di mandare tutto all’aria. E il primo a pagarne il prezzo è il territorio. Tra qualche giorno chiuderà definitivamente la linea del motore Fire. Parliamo di un motore storico, prodotto in oltre 30 milioni di esemplari, che ha rappresentato un pilastro dell’economia locale e nazionale. Un primato mondiale, che si conclude non per mancanza di domanda, ma per scelte imposte dalle normative europee, in contrasto con le reali esigenze del mercato. I clienti, ancora oggi, chiedono motori Gpl e a metano. Ma quei motori non li possiamo più produrre. Perché l’Europa ha deciso che dal 2035 si produrranno solo veicoli elettrici. Una transizione imposta senza un piano. Siamo un Paese che non ha le infrastrutture necessarie a sostenere questa svolta: le colonnine sono poche, l’energia è costosa, la rete non è adeguata. Il costo dell’energia in Italia è fuori controllo. E nel frattempo si perdono posti di lavoro. Con la chiusura del Fire, altri 500-600 posti andranno persi. Lo stabilimento di Termoli scenderà sotto la soglia dei 2.000 dipendenti, e il rischio è di precipitare ancora più in basso, fino a livelli non più sostenibili. Non possiamo andare avanti con cassa integrazione, trasferte o incentivi all’uscita. Questo non è un piano industriale. È una lenta agonia». Per Mercogliano (Fismic): «Tre anni fa, l’annuncio della costruzione di una Gigafactory di batterie a Termoli era stato accolto con speranza. In un contesto di transizione verso l’elettrico, era sembrata una decisione lungimirante: lo stabilimento Stellantis, da sempre vocato alla meccanica (motori e cambi), non poteva restare fermo. Ma oggi, a distanza di anni, quel progetto è sospeso, bloccato. Perché? I costi sono altissimi. L’energia necessaria per produrre batterie è tanta e troppo cara. L’Italia, con queste condizioni, non è competitiva. E così il progetto è fermo da oltre un anno. Siamo ancora in attesa di sapere cosa si intende fare. Come organizzazioni sindacali, diciamo con forza: la Gigafactory deve andare avanti. Se le regole europee non cambieranno – e per ora non lo stanno facendo – quell’investimento è l’unico futuro possibile per Termoli. Se salta quel progetto, non perdiamo solo una fabbrica. Perdiamo l’intero indotto: aziende collegate, servizi, fornitori, decine e decine di imprese che garantiscono lavoro a centinaia di famiglie. Chiediamo con forza la convocazione urgente di un tavolo ministeriale: vogliamo risposte dal Governo, dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, e da Stellantis». Per Domenico Guida: «Non possiamo accontentarci dei contentini. Dopo la chiusura del reparto cambi, ci era stato promesso un rilancio: l’assemblaggio di un nuovo cambio. Ma quella nuova linea occuperà solo circa 300 lavoratori. A fronte di oltre 700 esuberi, è una goccia nel mare. Non si può pensare di gestire questa situazione solo con uscite volontarie o ammortizzatori sociali. Servono nuovi prodotti, anche ibridi, da mettere subito in produzione. Termoli lo merita. È sempre stato uno degli stabilimenti più avanzati d’Italia, un’eccellenza a livello europeo. Oggi, più che mai, chiediamo rispetto per questa comunità, per i suoi lavoratori, per la sua storia industriale». Infine, Marco Laviano (Fim-Cisl): «Stellantis è oggi il quarto gruppo automobilistico al mondo. Ma in Italia non registra i risultati promessi. Il consiglio della Rsa ha lanciato un grido unanime: non possiamo più aspettare. La transizione industriale doveva garantire un futuro. Invece ha generato incertezza. Nel frattempo, a livello europeo, si parla di tecnologia neutrale: forse si tornerà a parlare di motori ibridi anche dopo il 2035. Ma non è abbastanza. Perché le perdite di posti di lavoro stanno avvenendo ora. Il sindacato non può rimanere a guardare. Dove c’è da concertare, concertiamo. Ma dove c’è da alzare la voce, la alziamo. Il mese di giugno sarà decisivo. Attendiamo che Stellantis e ACC confermino le intenzioni sul futuro della Gigafactory. Ma non siamo ottimisti. E proprio per questo non staremo fermi. Oggi siamo qui, non solo per denunciare, ma per chiedere impegni concreti. Servono investimenti. Serve un piano industriale vero. Serve che Termoli venga messa nelle condizioni di produrre, innovare e crescere. Questo territorio non può essere lasciato indietro. I lavoratori e le lavoratrici non possono essere usati come ammortizzatori sociali umani. Non accetteremo un lento smantellamento. Lo stabilimento Stellantis di Termoli ha competenze, know-how, esperienza. Ha ancora tanto da dare. E oggi siamo qui per difendere tutto questo. Insieme. Perché Termoli non merita di essere dimenticata. Metteremo in campo una serie di azioni forti e coordinate a tutela di questo luogo di lavoro, a difesa del Molise e della possibilità concreta di rilanciare l’industria italiana, partendo proprio da Termoli.
Termoli doveva e poteva essere il primo grande esempio di riconversione industriale su scala nazionale. Un simbolo di rivoluzione e di rilancio produttivo. Ecco perché chiediamo che il tavolo ministeriale venga convocato nel più breve tempo possibile. E non solo: chiederemo con determinazione alle nostre segreterie nazionali l’autorizzazione a scendere in mobilitazione davanti al MIMIT, su Via Molise a Roma, proprio lì dove si tengono gli incontri ufficiali e le decisioni che riguardano il futuro di migliaia di lavoratori.
Ogni organizzazione sindacale dovrà portare lì una propria delegazione molisana, rappresentativa, forte, compatta. Non si tratterà di una semplice piazza: sarà una manifestazione determinata lungo quelle vie istituzionali, perché vogliamo che sia chiaro a tutti che Termoli oggi va difesa con forza. Non solo è stanca e preoccupata, ma rivendica il rispetto degli impegni presi.
Quello della gigafactory di batterie era stato indicato come il simbolo della transizione. Ora, se l’Europa dovesse decidere un passo indietro, Termoli non può e non deve pagare il prezzo di scelte calate dall’alto. La produzione delle batterie deve andare avanti, ma anche laddove ciò non fosse più sostenibile, Termoli deve mantenere una continuità produttiva. Gli attuali motori realizzati nello stabilimento sono perfettamente ibridizzabili, ed è proprio questo che chiediamo da tempo: che quei motori siano utilizzati su una gamma più ampia di veicoli del gruppo.
Non è accettabile che una grande fabbrica come quella di Termoli venga limitata alla produzione per pochi modelli, come il “Pandino” o forse la 500 “Mila Fiori”. Così non si raggiunge la saturazione degli oltre 2.000 posti di lavoro. E questo è inaccettabile.
Questa è un’occasione importante di confronto. Un momento in cui tutti insieme vogliamo lanciare un grido d’allarme, che però non nasce oggi: già da tempo abbiamo segnalato le nostre preoccupazioni. Finché c’erano rassicurazioni in sede ministeriale — e ribadiamo, in sedi ufficiali, non al bar sotto casa — abbiamo mantenuto la fiducia.
Ma ora, a pochi giorni da una possibile convocazione del tavolo, chiediamo a gran voce che chi parteciperà porti delle risposte chiare. Termoli ha bisogno di conferme, non di altre promesse generiche.
E laddove queste conferme non dovessero arrivare, noi, come organizzazioni sindacali, insieme al territorio, ai lavoratori, ai cittadini, e — auspichiamo — insieme anche alle istituzioni locali, non resteremo a guardare. Metteremo in campo tutte le azioni necessarie per tutelare il lavoro, la dignità e il futuro di un’intera regione».

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