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fra zucchine e cetrioli, in attesa del pomodoro


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Seconda settimana di maggio e la zona di Fondi (Latina), con tutte le sue produzioni tipiche della primavera inoltrata, si presenta in gran forma, in vista della prova costume per l’estate 2025. La fucina di pomodori laziale, a bacca rossa o di tipo verdone, grazie a un meteo favorevole sin da febbraio, con i primi trapianti effettuati, ci delizia oggi gli occhi presentando serre in ottimo stato vegetativo, apparato fogliare vigoroso e lucido, totale assenza di virosi, primi palchi carichi di prodotto già in pezzatura e buona distribuzione dei frutti anche nei palchi superiori, pur ovviamente con la dovuta proporzione di calibro, come corretto che sia. Il tutto con i bombi che si aggirano tra i filari, vispi e vanesi dopo aver perfettamente adempiuto ai loro compiti di impollinazione.

Se madre natura non riserverà qualche bizza dell’ultimo minuto, tra 10-15 giorni avremo i primi stacchi di ciliegino e pixel, oblungo verde, cuore di bue, mentre sono già in abbondante raccolta invece i cetrioli; esordio a macchia di leopardo per la melanzana tonda; zucchine di tutti i tipi in pista, già da tempo ormai: nera, grizzino con fiore, romanesca costoluta, verde chiara.

Foto d’archivio

La vera sorpresa del mio tour è vedere come tutta questa produzione sia supportata da un grosso sforzo tecnologico in atto a vari livelli da parte delle cooperative e delle OP di appartenenza. Serre “test” con sensori pronti a inviare a PC e app mobili dati di tutti i tipi per garantire un pronto intervento per molte delle problematiche possibili in campo: carenza d’acqua, necessità di aerazione, avvisaglie di malattie fungine, supporto integrativo di fertilizzanti, necessità di interventi fitosanitari (i pochi rimasti…!).

Collaborazioni ben avviate con varie Università per sostenere la biodiversità, selezionare semi e varietà del futuro, effettuare con il supporto di laureandi e stagisti continui carotaggi del terreno al fine di individuare sostanze pericolose derivanti dall’irrigazione. Molte cultivar si avviano spedite verso il residuo zero, grazie alla continua riduzione degli interventi chimici, scongiurati dai programmi gestionali di campo che stilano continuamente statistiche e grafici sullo stato di salute della pianta e del suo microcosmo. Insomma, un connubio ben dosato tra la saggezza agricola storica tipica delle vecchie generazioni, e l’euforia dei nuovi adepti di campagna, colma di innovazione high-tech e voglia di cambiare. A far da catalizzatore al tutto troviamo quella parolina così tanto invocata da tutti gli attori della filiera e urlata a gran voce fino a pochi giorni proprio durante il Macfrut appena concluso: l’aggregazione.

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E sì, perché la realtà agricola sembra qui essere tutta ben convogliata all’interno di OP e AOP che, come maestri d’orchestra, dirigono centinaia di aziende dosando l’intraprendenza del singolo con il coordinamento della centrale, raggiungendo un risultato d’insieme perfettamente sincronizzato e per nulla cacofonico.

Certo, parlare di OP dopo le ultime notizie che circolano in rete su indagini tese a valutare procedure finanziarie scorrette per accaparramento di fondi non spettanti, sembra in questo momento fuori luogo. Però lo spirito di appartenenza che mi è sembrato di cogliere nelle parole di qualche operatore agricolo porta a non fare di tutta l’erba un fascio e a sperare che ancora esistano oasi felici, faticose da far fiorire ma al contempo foriere di soddisfazioni e orgoglio.

Giancarlo Amitrano
responsabile ufficio acquisti ortofrutta
catena Cedigros

(Rubrica num. 66)



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