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Ricerca, per trasformare il mondo, servono finanziamenti ai progetti più audaci. Il caso dei vaccini e del Gps di Einstein


di
Christoph Carnehl*

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Una ricerca finanziata in base ai risultati spinge gli scienziati a cercare risultati sicuri, troppo «vicini» a quello che già sappiamo. Ma non sempre procedere per gradi è una buona soluzione


*Assistant Professor, Dipartimento di Economia, Università Bocconi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.




















































Le recenti controversie sotto l’amministrazione Trump (attacchi pubblici a importanti università e tagli improvvisi ai finanziamenti per la ricerca scientifica) hanno trasformato gli investimenti in ricerca e la libertà accademica in questioni da prima pagina. In questo contesto, vale la pena ricordare perché questi temi sono importanti: l’accumulo costante di conoscenze è un motore del progresso sociale, dai vaccini salvavita alle innovazioni tecnologiche essenziali.
La libertà accademica permette ai ricercatori di scegliere i temi a cui dedicarsi. Questa libertà è fondamentale: proteggendo l’attività di ricerca da pressioni politiche o ideologiche, essa è alla base della possibilità stessa di arrivare a scoperte che portano benefici alla società in modi che nessuno potrebbe prevedere.
Tuttavia, questa autonomia può spingere i ricercatori verso un lavoro sicuro e di puro incremento marginale, se associata alla pressione a pubblicare insita negli ambienti accademici. In collaborazione con Johannes Schneider (Universidad Carlos III de Madrid), abbiamo costruito un modello in cui la ricerca procede per scelte nel paesaggio della conoscenza: gli studiosi possono avventurarsi in un terreno inesplorato o rimanere in prossimità del terreno conosciuto. La nostra analisi evidenzia che i ricercatori tendono a rimanere troppo vicini alle conoscenze esistenti. Di conseguenza, le scoperte sono affidabili ma di scarso valore trasformativo, e ciò rallenta il ritmo complessivo del progresso della conoscenza.
Le società devono quindi introdurre incentivi che spingano gli studiosi verso le frontiere più lontane, i cosiddetti «moonshot». Questi incentivi possono assumere la forma di sovvenzioni specificamente destinate a lavori ad alto contenuto di novità, di premi importanti che riconoscano le scoperte più rischiose o di strutture istituzionali che tollerino una maggiore possibilità di fallimento a breve termine in nome di un guadagno nel lungo termine.

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Un monito severo viene dal lavoro pionieristico di Katalin Karikó sull’mRNA. All’inizio degli anni 2000, i suoi esperimenti promettevano bene, ma la cronica mancanza di fondi l’ha quasi estromessa dal mondo accademico, minacciando di far fallire proprio la scoperta che sarebbe diventata il vaccino COVID-19. La straordinaria perseveranza di Karikó ha evitato questa perdita, ma possiamo solo chiederci quante potenziali Karikó siano state allontanate molto prima che le loro idee potessero maturare. Un ecosistema di finanziamento ben congegnato salvaguarderebbe la ricerca visionaria dall’essere sacrificata a favore di progetti meno rischiosi ma più derivativi.
Nonostante l’importanza di finanziare questi tentativi di «moonshot», la nostra analisi mette in guardia da una strategia a senso unico: far confluire risorse in modo eccessivo verso progetti radicali può lasciare la «scienza normale» all’asciutto. Una volta che un «moonshot» ha successo, è necessario condurre una sequenza di studi successivi che colmino il divario tra le nuove scoperte e le conoscenze precedenti. Se questi sforzi successivi non ricevono finanziamenti adeguati, il potenziale del «moonshot» rimane irrealizzato, confinato in un’isola di conoscenza.

Un esempio è il salto del 1915 compiuto da Einstein nella comprensione della gravità attraverso la sua teoria della relatività generale: senza decenni di esperimenti mirati e di ingegneria per tradurre le sue equazioni di campo nelle correzioni che oggi incorporiamo in ogni ricevitore GPS, la relatività avrebbe potuto rimanere una bella teoria con scarso impatto sul mondo reale.

Nel loro insieme, queste osservazioni implicano che il portafoglio ottimale di finanziamenti alla ricerca è costituito da due componenti: fornire incentivi per le scoperte più audaci e di frontiera e garantire risorse sufficienti agli studiosi che, basandosi su queste scoperte, ne realizzano il valore. In pratica, ciò significa che la società dovrebbe mantenere flussi di finanziamento della ricerca distinti: uno con una generosa tolleranza al rischio e un altro che sostenga una ricerca più costante e meno drastica che consolidi e applichi le grandi scoperte. In sintesi, le imprese di ricerca più audaci e lo studio sistematico devono andare di pari passo. Un ecosistema di ricerca sano, che incoraggi l’assunzione di rischi scientifici e che salvaguardi la libertà accademica, richiede finanziamenti pubblici, perché raramente gli enti privati possono permettersi le ricerche rischiose e non dirette che guidano la scienza verso nuove direzioni. Solo quando i ricercatori sono liberi di perseguire idee audaci si possono raccogliere i frutti del progresso scientifico cumulativo. Alla fine, nessuno sa in anticipo quale idea trasformerà il nostro mondo. Nel momento in cui si riaccende il dibattito pubblico sui finanziamenti alla ricerca, ricordiamoci che la libertà di indagine, guidata da incentivi intelligenti, rimane uno dei nostri beni collettivi più preziosi.

19 maggio 2025

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