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Einstein Telescope, l’ennesimo specchietto per le allodole: tra retorica dell’innovazione e realtà negata.


Al RegionTalk del Festival delle Regioni di Venezia, la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde ha pronunciato parole che suonano come l’ennesima promessa. Il nuovo (ma non troppo) tormentone: “L’Einstein Telescope ci farà superare l’insularità e aprirà l’isola a nuovi segmenti come i nomadi digitali e le imprese hi-tech”. Una dichiarazione che, letta con un minimo di senso critico e radicamento nella realtà sarda, sfiora il surreale.

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Perché mentre da un palco patinato si evoca un futuro tecnologico fatto di scienziati internazionali, banda ultralarga e imprese innovative, la Sardegna vera – quella fatta di giovani con idee e talento – resta impantanata in una quotidianità dove fare impresa è un percorso a ostacoli. Dove l’accesso al credito è un miraggio, i capitali privati per startup semplicemente non esistono e i bandi regionali sono spesso pensati per escludere più che per includere. Una giungla burocratica, opaca, dominata dalle solite logiche di filiera politica.

Si parla di “superare l’insularità” ma per chi? Forse per i ricercatori americani o giapponesi che – se il progetto andrà in porto – vivranno a Lula il tempo necessario a raccogliere dati. Di certo non per i giovani sardi costretti a emigrare per studiare o lavorare, che di quella presunta rivoluzione tecnologica non vedranno nemmeno l’ombra. E non certo per chi prova a fare impresa innovativa e si scontra (pur in presenza di importanti stanziamenti annuali) con una rete formativa regionale costruita su percorsi inutili, autoreferenziali, utili più a tenere in vita agenzie di formazione e cooperative vicine al sistema partitocratico sardo che a formare figure realmente pronte per il mondo dell’innovazione.

Todde, però, dal “suo palco”, parla di “ecosistema di ricerca e impresa” e di “valorizzazione dei talenti locali”, ma si dimentica che l’innovazione, quella vera, nasce solo dove c’è un terreno fertile fatto di opportunità concrete, di finanziamenti accessibili, di trasparenza e meritocrazia. E questo terreno, in Sardegna, è ancora desertificato da decenni di gestione clientelare e incapacità politica. E gli ultimi assestamenti di bilancio e manovra finanziaria (che hanno portato fuori dal perimetro del servizio pubblico oltre 200 milioni di euro tra affidamenti diretti a parrocchie, associazioni e comuni amici), lo confermano.

L’Einstein Telescope – che resta un’opera imponente e scientificamente affascinante – viene così trasformato in un oggetto simbolico utile più alla propaganda che alla trasformazione reale del territorio. Un gigantesco spot da miliardi di euro, presentato come panacea per tutte le fragilità strutturali dell’isola, quando invece sembra destinato a ripetere il copione di tante altre “grandi opere”: slegato dalla realtà, calato dall’alto, e incapace di generare cambiamento dove ce ne sarebbe più bisogno.

Se davvero si volesse “superare l’insularità”, bisognerebbe partire dalla quotidianità di chi la Sardegna la vive, non da un tunnel sotterraneo per captare onde gravitazionali. E se si vuole “attrarre nomadi digitali e imprese hi-tech”, allora prima bisogna rendere accessibile l’innovazione ai sardi stessi. Altrimenti, l’Einstein Telescope sarà solo l’ennesima passerella istituzionale travestita da rivoluzione.

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