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Referendum sul Jobs Act, perché votare SÌ al primo quesito


Questo articolo fa parte di un ciclo dedicato al referendum 2025, che ha l’obiettivo di illustrare in modo chiaro e documentato le posizioni a favore e contro i quesiti, nonché gli scenari in caso di raggiungimento del quorum. QuiFinanza mantiene una linea editoriale imparziale e si impegna a fornire un’informazione completa e obiettiva, senza sostenere alcuna posizione politica o ideologica.

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La scheda verde, che riporta il primo quesito del referendum abrogativo, punta a modificare quel pezzo di Jobs Act contenente la disciplina sui licenziamenti nei contratti a tutele crescenti.

L’obiettivo

La disciplina introdotta nel 2015 con il Jobs act del governo Renzi si applica a chi è stato assunto dal 7 marzo 2015 in poi. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, nella maggior parte dei casi di licenziamento illegittimo, non si procede al reintegro nel posto di lavoro (come previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970). Il lavoratore licenziato può contare unicamente su un indennizzo economico fino a un massimo di 36 mesi.

Lo scopo della Cgil, che ha promosso il referendum, è quello di abrogare la norma puntando al reintegro del lavoratore sul posto di lavoro.

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Si parla di “tutele crescenti” perché il lavoratore viene tutelato maggiormente dalla legge con l’aumentare dell’anzianità di servizio. La tutela si traduce nell’aumentare dell’indennità, che parte da un minimo di 6 mesi per arrivare a un massimo di 36.

Oggi non c’è il reintegro ma l’indennizzo in questi casi:

  • licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (vale a dire per motivi economico/organizzativi dell’azienda);
  • licenziamento disciplinare;
  • licenziamenti collettivi in determinati casi;
  • licenziamento durante la malattia prima della scadenza del periodo di comporto.

Oggi c’è il reintegro per:

  • licenziamento discriminatorio (motivi legati a opinioni politiche o religiose o per licenziamento durante la maternità o per altri casi);
  • per specifici casi di licenziamento disciplinare ingiustificato.

Il testo completo del primo quesito

Di seguito il primo quesito del referendum, per come verrà riportato sulla scheda verde:

Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 nella sua interezza?”.

Perché votare SÌ al primo quesito

Chi sostiene il SÌ al primo quesito lo fa per almeno due motivazioni.

SÌ perché il Pd è cambiato

La prima motivazione è di tipo formale e riguarda il principale partito di area progressista. Il Pd era al governo quando venne promulgato il Jobs Act. Allora il capo del governo, e segretario del partito, era Matteo Renzi. Ma fu un segretario “eretico”, secondo il giudizio di alcuni. Tanto che i duri e puri del Pd, a partire da Massimo D’Alema, Roberto Speranza e Pierluigi Bersani, scelsero la scissione e fondarono Articolo Uno. Per il Pd di oggi votare contro una legge del Pd di allora significa rimediare a un errore.

SÌ per garantire il reintegro sul posto di lavoro

Ci sono poi alcune motivazioni di tipo materiale, che riguardano i diritti dei lavoratori in caso di licenziamento. Se passasse il SÌ al primo quesito i lavoratori dipendenti assunti dopo il 2015 vedrebbero ampliata la possibilità di ritornare al proprio posto di lavoro. E potrebbero anche concordare con il datore di lavoro una transazione economica più alta, data la posizione di vantaggio.

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Nei casi in cui non sia disposto il reintegro, l’indennità risarcitoria sarebbe compresa tra 12 e 24 mensilità, mentre per le violazioni formali o procedurali si applicherebbe un’indennità ridotta, tra 6 e 12 mensilità. Si specifica che, con il venire meno del rapporto di fiducia fra lavoratore e datore, sono infatti in molti, tirando le somme, a preferire in ogni caso il risarcimento al reintegro. I promotori del referendum sostengono dunque che la vittoria del SÌ, fungendo da deterrente, ridurrebbe i casi di licenziamenti arbitrari.

Queste erano le motivazioni del SÌ. Qui abbiamo analizzato le ragioni del NO al primo quesito del referendum.

La posizione dei partiti in sintesi

I partiti di governo spingono per l’astensione in modo da far saltare il quorum.

Il Partito democratico di Elly Schlein ha annunciato cinque sì, ma la corrente riformista di Energia popolare non ritirerà la scheda del primo quesito.

Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte vota SÌ. Vota SÌ anche Avs. +Europa dice NO al primo quesito. Italia Viva dice NO; NO anche da Azione.

Partito NO Astensione
Centro-destra X
Pd (maggioranza) X
Pd (corrente Energia popolare) X
M5S X
Avs X
Azione X
Italia Viva X
+Europa X

 

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