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Agromafie in Sicilia. Frodi, violenze e speculazioni. Trapani tra le province più colpite




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 Il business dell’agromafia in Italia ha raggiunto un giro d’affari da 25,2 miliardi di euro, praticamente raddoppiato in poco più di un decennio. Un fenomeno in preoccupante espansione che colpisce in modo massiccio anche la Sicilia, dove sette province risultano tra le top 20 più coinvolte in Italia secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Agromafie, Coldiretti ed Eurispes.

Le infiltrazioni mafiose si estendono a tutta la filiera agroalimentare: dalla produzione alla distribuzione, passando per logistica, controlli, mercati ortofrutticoli e ristorazione. Si va dalla falsificazione dei prodotti, al caporalato, all’appropriazione indebita di fondi pubblici, fino alla speculazione sui mercati e ai reati ambientali. Tra i settori più colpiti ci sono vino, olio, mangimi, formaggi, pistacchi, agrumi e riso. Particolarmente preoccupanti sono le frodi sulle certificazioni bio e le importazioni mascherate da Est Europa.

Caltanissetta è la seconda provincia italiana in cui è forte la presenza delle agromafie. Nella top 5 troviamo anche Messina e Palermo. Tra le prime 20 province italiane in cui la criminalità organizzata è particolarmente attiva nell’agroalimentare c’è anche Trapani, al 13esimo posto. 

 

Le modalità d’azione: frodi, minacce e controllo del mercato

I clan sfruttano le difficoltà economiche delle aziende agricole, impongono prezzi, gestiscono appalti e ricorrono anche a estorsioni e minacce. Vengono alterati i bandi pubblici e truccate le gare, con la complicità di funzionari corrotti. In alcuni casi, si arriva persino alla creazione di consorzi o cooperative fittizie per accaparrarsi finanziamenti pubblici e fondi PNRR.

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Un altro fenomeno diffuso è la manipolazione della catena del valore: in Sicilia molti prodotti agricoli escono dal territorio a prezzi stracciati per poi rientrare come semilavorati o venduti nei mercati all’ingrosso a prezzi gonfiati, alimentando meccanismi illeciti. È il caso del cosiddetto “collo di bottiglia” del mercato del pomodoro nel Ragusano: i produttori locali ricevono appena il 10% del prezzo finale, il resto finisce nelle mani degli intermediari controllati dai clan.

 

La crisi climatica e le agromafie

La crisi climatica e l’aumento dei costi di produzione hanno favorito l’infiltrazione dei clan, come spiegato dalla presidente di Eurispes, Gian Maria Fara: «Molte aziende agricole non ce la fanno più e si affidano a prestiti usurari o vendono le aziende, diventando prede facili delle mafie». Le organizzazioni criminali offrono infatti “soluzioni” rapide a imprenditori in difficoltà, introducendosi con forza nel sistema.

 

Lo sfruttamento dei lavoratori

Preoccupante anche il fenomeno del caporalato transnazionale: secondo l’indagine, i gruppi criminali organizzano l’arrivo in Italia di lavoratori, soprattutto da India e Bangladesh, sfruttati nei campi con salari da fame e condizioni degradanti. «Un’agromafia europea – ha denunciato Coldiretti – con ramificazioni accertate in Austria, Belgio, Germania, Slovacchia e Spagna».

Alla presentazione del rapporto, il presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini ha invocato l’attenzione dell’Unione Europea: «Serve reciprocità negli accordi internazionali, non possiamo combattere la contraffazione se poi l’Europa permette l’importazione di alimenti adulterati o senza etichetta».

Le misure del Governo

Intanto, il governo italiano si prepara a varare nuove misure. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha annunciato che sarà presto presentato in Parlamento un disegno di legge per l’introduzione del reato di agropirateria e un nuovo codice per tutelare il made in Italy, proteggere il patrimonio agricolo e contrastare l’utilizzo criminale di fondi pubblici.

Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ha definito il rapporto “uno strumento prezioso di vigilanza democratica”: «È fondamentale guardare senza ipocrisie la realtà del settore agroalimentare, perché dove ci sono grandi profitti, la mafia trova spazio».

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Un’emergenza sempre più internazionale, che richiede strumenti forti, cooperazione tra Stati e un’alleanza tra istituzioni, forze dell’ordine, imprese e cittadini per difendere il cibo italiano dalla criminalità organizzata.





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