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il Pil pro capite dell’Italia ha raggiunto la Francia e superato Giappone e Uk


Il Rapporto annuale dell’Istat ha riportato alla ribalta il problema demografico del nostro Paese, che rischia di avere importanti ripercussioni negative sull’economia e sulla vita delle imprese. Si calcola, infatti, che per quasi un terzo delle aziende, in particolare quelle più piccole, sarà molto difficile, se non impossibile, sostituire i dipendenti che andranno in pensione con nuovi lavoratori, per di più qualificati.

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Come spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «già oggi le imprese faticano a trovare personale qualificato e la situazione potrebbe peggiorare proprio per effetto dell’andamento demografico. Tuttavia, sono abbastanza ottimista, anche perché negli ultimi anni sono aumentate le iniziative delle aziende, anche in forma associata, per cercare di risolvere il problema relativo alla mancanza di manodopera specializzata tramite, per esempio, Academy realizzate in collaborazione con gli Its. Resta in ogni caso il problema di corsi di studio che non hanno strettamente a che fare con le nostre specializzazioni produttive E che portano spesso i nostri giovani a emigrare per poter sperare in carriere di successo».



Un’emigrazione che poi amplifica gli effetti negativi dell’andamento demografico sui consumi e, di conseguenza, sul Pil.

Chiaramente più si perdono abitanti, meno consumatori ci sono e non sempre il controbilanciamento che può provenire dall’immigrazione è sufficiente, anche perché spesso parte dei redditi dei lavoratori stranieri si trasforma in rimesse verso il Paese d’origine. Occorrerebbe quanto meno che la popolazione immigrata diventasse parte della classe media. In qualche caso, come nelle vicinanze dei distretti industriali, ciò sta avvenendo: ci sono lavoratori stranieri qualificati con un contratto a tempo indeterminato e relativamente ben remunerato. È chiaro comunque che, guardando alle dinamiche di lungo periodo, nemmeno questa trasformazione potrebbe bastare. Bisogna, però, riconoscere una cosa importante.

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Quale?

Che sono ormai dieci anni che l’Italia sperimenta questa tendenza di declino demografico, ma al contempo la crescita del Pil, specie nel post-Covid, è stata talvolta superiore a quella di altri Paesi che registrano un aumento della popolazione. Questo è stato possibile grazie agli investimenti: prima ci sono stati quelli legati a Industria 4.0, poi quelli in edilizia trainati dal Superbonus e ora quelli connessi al Pnrr. La chiave di volta per il futuro sarà cercare di rimanere aggrappati alla curva degli investimenti: bisognerebbe già oggi pensare a quale avviare nel momento in cui, tra due anni, il Pnrr non ci sarà più.

Lei ha già qualche idea in merito?

A mio avviso servirebbe un piano simile a Industria 4.0, centrato sulla digitalizzazione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle aziende. Paradossalmente la nostra struttura di imprese piccole, medie, grandi, ma non grandissime, con l’utilizzo di queste nuove tecnologie può ottenere risultati che magari fino a ieri si ritenevano impossibili. Per esempio, l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella ricerca farmaceutica già oggi sta accorciando i tempi e diminuendo i margini di rischio di insuccesso in un Paese come il nostro che non può certo contare su colossi multinazionali del settore.

Quale misura ritiene più adatta per cercare di incentivare natalità e mitigare, quindi, gli effetti negativi della demografia sull’economia?

Sicuramente sono utili gli investimenti in servizi legati all’infanzia, come la costruzione di nuovi asili nido che aiutino le madri anche a mantenere un’occupazione o a poterla cercare attivamente, così come il potenziamento dell’assegno unico o gli interventi a favore delle famiglie con redditi più bassi. Più che su singole misure, però, credo occorra puntare sul miglioramento complessivo dell’economia.

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Oggi il potere d’acquisto degli italiani è inferiore al periodo pre-crisi del 2008, ma non possiamo dimenticare che dal 2009 al 2014 c’è stata una perdita del potere d’acquisto in termini reali superiore ai 100 miliardi di euro e che dal 2015 a oggi siamo riusciti a recuperarne circa 70, nonostante il Covid e la guerra in Ucraina. Si tratta, a mio avviso, di un successo che va portato avanti attraverso una crescita del Pil e dell’occupazione che consenta migliori condizioni e capacità di spesa per le famiglie. Infatti, l’effetto complessivo della crescita costante, sia pure moderata, degli ultimi dieci anni è che il Pil pro capite dell’Italia a parità di potere d’acquisto ha raggiunto quello della Francia, come avveniva già prima del 2008, e ha superato quello di Giappone e Regno Unito.

Dunque, bisogna cercare di portare avanti questo trend positivo…

Non va perso l’abbrivio che abbiamo trovato. Questo non potrà avvenire tramite un aumento dei consumi o della domanda estera netta, ma per mezzo di un nuovo importante ciclo di investimenti come quello di cui ho parlato poc’anzi. È vero che vanno mantenuti in ordine i conti, ma un minimo di sostegno alla parte più importante dell’economia del Paese, quella produttiva, va realizzato, come fanno del resto tutti gli altri Paesi.

(Lorenzo Torrisi)

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