(Intervista pubblicata su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Sostenibilità, sicurezza, competitività globale. L’accelerazione registrata dalla Space Economy negli ultimi anni, con l’ingresso di numerosi player privati, ha aperto lo spazio a nuove frontiere, sfide e prospettive. In Italia è l’Agenzia Spaziale Italiana, agenzia governativa vigilata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con indirizzi strategici definiti dal COMINT e dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, a svolgere un ruolo cruciale nel nuovo ecosistema spaziale, forte di una presenza consolidata in ambito europeo e internazionale e con una filiera tutta italiana che si pone tra le eccellenze della catena del valore delle attività spaziali. Un lavoro di ricerca che guarda allo spazio per aiutare e supportare le filiere produttive sulla terra, a partire dall’agricoltura.
«Siamo tra i principali attori di quella che è chiamata diplomazia spaziale» – spiega il Direttore Generale dell’ASI Luca Salamone – «collaboriamo con oltre 40 Paesi e organizzazioni tramite accordi bilaterali e multilaterali e siamo tra le agenzie più ambite come partner per molti paesi internazionali. Operiamo a livello nazionale, europeo e internazionale su programmi di accesso allo spazio, navigazione, comunicazioni ma anche osservazione della Terra come il progetto COSMO-SkyMed, realizzato in collaborazione con il Ministero della Difesa e giunto alla sua seconda generazione. COSMO-SkyMed rappresenta in questo senso un’eccellenza che utilizza tecnologie all’avanguardia con radar ad apertura sintetica capaci di fornire immagini in qualsiasi condizione meteo o di luce».
La New Space Economy sta coinvolgendo sempre più attori internazionali. In Italia a che punto siamo?
«Secondo il World Economic Forum, la spesa spaziale globale supererà i 1.800 miliardi di dollari entro il 2035. Parliamo di un settore in grandissima crescita con i privati entrati a pieno titolo nelle attività spaziali. L’Italia è tra i primi Paesi in Europa e nel mondo, promuovendo un forte legame tra pubblico e privato. La costellazione Iride, finanziata con fondi del PNRR e composta da oltre 60 satelliti, rappresenta in questo senso un’infrastruttura chiave per la space economy, con applicazioni in 8 settori diversi che spaziano dall’agricoltura alla protezione civile, dall’inquinamento marino all’urbanistica».
Come si pone il nostro paese nel panorama internazionale?
«60 anni fa, grazie anche al lavoro del Professore Luigi Broglio, l’Italia è stata la terza nazione al mondo a lanciare un satellite in autonomia e ancora oggi gestiamo la base di Malindi in Kenya. Grazie all’esperienza che ci siamo costruiti nel corso degli anni il nostro ruolo è di grande rilievo. ASI è tra i primi 8 Paesi firmatari degli Artemis Accords, che coinvolgono ora oltre 60 nazioni, per il ritorno dell’uomo sulla Luna e siamo un partner strategico di agenzie come la NASA, ma anche di Giappone, India e Paesi africani (grazie anche all’inserimento della base di Malindi nel Piano Mattei per l’Africa)».
Vi siete posti obiettivi prioritari da raggiungere nel breve-medio termine?
«La priorità è completare innanzitutto la costellazione Iride, con sensori, radar ottici e iperspettrali, in grado di garantire un tempo di rivisita tra i 15 e i 20 minuti, permettendo un’osservazione quasi in tempo reale della Terra. Sarà fondamentale per emergenze, prevenzione e gestione del territorio. Ma non solo: l’ASI, attraverso l’industria italiana, è responsabile della gestione completa della realizzazione dei moduli abitativi della futura stazione lunare e della stazione lunare orbitale (Gateway) del programma Artemis».
In che modo i dati ricevuti dallo spazio vengono poi utilizzati sulla Terra?
«Circa il 25% dei dati satellitari è utilizzato per l’agricoltura, il 30% per il monitoraggio ambientale e il 20% per le emergenze. In questo senso il satellite PRISMA dell’ASI utilizza sensori iperspettrali per analizzare la composizione del suolo e delle colture. Anche Iride supporterà lo sviluppo dell’agricoltura di precisione, migliorando resa e sostenibilità. Nel frattempo a Malindi l’ASI sta realizzando un centro per l’osservazione della Terra, che supporterà le agenzie africane, anche qui soprattutto per scopi agricoli».
Quali sono gli scogli maggiori da superare?
«La principale sfida futura è quella di trasformare i dati spaziali in servizi concreti per cittadini e imprese. Per fare questo occorre che la tecnologia vada avanti, che ci sia anche una massa critica tra l’ASI e gli enti in generale governativi che lavorano nel settore in questione, ma anche attraverso il supporto delle imprese e delle PMI nello sviluppare servizi che consentono di mettere a terra dati che possono essere utilizzati per attività di tutti i giorni. Oggi la tecnologia c’è, ma serve un ecosistema in grado di sviluppare servizi downstream, sfruttando la collaborazione tra enti pubblici, imprese e università. Iride, grazie al suo tempo di rivisita basso, renderà possibile una gestione più efficiente delle risorse naturali e delle coltivazioni, con previsioni di raccolto e risposte rapide a eventi critici».
Quanto è importante in questo processo continuare a coinvolgere i giovani?
«Con una space economy in forte crescita, per continuare a giocare un ruolo da protagonista, è importante che le giovani generazioni si avvicinino e possano supportare questo settore attraverso le proprie competenze. L’ASI sta investendo nelle nuove generazioni promuovendo tirocini, concorsi ed eventi per sostenere lo sviluppo delle competenze STEM e rafforzare la futura forza lavoro nel settore aerospaziale. Ma il settore spaziale richiede non solo ingegneri, ma anche profili economici, giuridici e comunicativi. Nel campo didattico abbiamo all’attivo progetti come ESERO Italia, che fornisce risorse e supporto continuo a studenti e docenti».
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