Dall’istruzione alla riqualificazione della forza lavoro, i programmi nazionali possono attrarre investimenti e supportare lo sviluppo delle aree meno sviluppate. Un’intervista a Zornitsa Roussinova, presidente del Consiglio economico e sociale della Bulgaria
È nei Paesi europei più periferici che si può vedere con maggiore evidenza l’impatto trasformativo dei fondi della politica di coesione dell’UE. Qualificazione e riqualificazione della forza lavoro, riforma del sistema educativo, sanitario e sociale, formazione professionale per i giovani.
Le opportunità offerte dai programmi nazionali che mettono a terra i finanziamenti di Bruxelles riescono a farsi sentire laddove c’è più bisogno del sostegno europeo.
“La politica di coesione costituisce uno strumento chiave in Paesi come la Bulgaria per attrarre investimenti e rivitalizzare la vita economica soprattutto nelle zone rurali”, ha spiegato Zornitsa Roussinova, presidente del Consiglio economico e sociale della Bulgaria dal 2020, in un’intervista per OBCT.
Dopo 15 anni a gestire programmi del Fondo sociale europeo (FSE) in Bulgaria, l’ex-ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali tra il 2016 e il 2017 è stata chiamata a far parte del gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea per fornire indicazioni su possibili riforme da apportare alla politica di coesione dell’UE.
Un’esperienza personale e professionale tra Sofia e Bruxelles che ha fornito a Roussinova una visione d’insieme del potenziale dei fondi europei sul territorio.
Quali dovrebbero essere le priorità per il prossimo ciclo della politica di coesione dell’UE?
La politica di coesione rimane uno degli strumenti più importanti per realizzare riforme fondamentali e promuovere l’equilibrio economico. L’obiettivo principale è rafforzare la competitività nazionale, consolidando così l’Unione europea nel suo complesso. La necessità di una convergenza economica non può essere sottovalutata.
In Bulgaria, la politica di coesione ha avuto un impatto tangibile in molti settori, in particolare in quello sociale. Per anni è stato lo strumento principale per gli interventi sul mercato del lavoro, sostenendo varie riforme e offrendo opportunità di formazione e riqualificazione.
Ha inoltre svolto un ruolo cruciale nell’istruzione, sostenendo le riforme non solo attraverso le misure ‘morbide’ del Fondo sociale europeo, ma con investimenti in progetti infrastrutturali.
Qual è la sua opinione sulla possibile centralizzazione della politica di coesione?
Non comprendo appieno l’idea di centralizzazione. Il rapporto che abbiamo scritto è molto equilibrato e fornisce raccomandazioni fondate basate su ricerche accademiche e sull’esperienza sul campo negli Stati membri.
In primo luogo, la politica di coesione dovrebbe avere un obiettivo più ampio, ovvero migliorare lo sviluppo regionale e la cooperazione interregionale, sostenendo i talenti anche nelle zone a sviluppo economico limitato.
In secondo luogo andrebbe posta maggiore enfasi sul coordinamento con altri strumenti e sulla creazione di sinergie più forti con le altre politiche. Ciò contribuirebbe a promuovere un approccio di gestione coordinato e condiviso, semplificando al contempo la politica di coesione per renderla più accessibile ai beneficiari.
Infine, sarebbe utile sviluppare una nuova serie di criteri che riflettono le caratteristiche specifiche e i progressi delle diverse regioni. Lo sviluppo regionale in Europa è disomogeneo e questo crea disparità anche all’interno dei singoli Paesi. È quindi necessario un approccio equilibrato.
E cosa ne pensa della proposta di riassegnare fondi della politica di coesione al settore della difesa e per la sicurezza delle regioni del confine orientale dell’UE?
A mio avviso si tratta di una misura molto simile agli emendamenti introdotti durante la crisi COVID-19. Ancora una volta la politica di coesione ha dimostrato di essere uno degli strumenti più flessibili, proprio per questo motivo dovrebbe continuare a essere gestita in questo modo.
Prendiamo ad esempio il dispositivo per la ripresa e la resilienza nazionale, dove tale flessibilità non esiste: è molto più difficile riassegnare i fondi.
Credo che il punto fondamentale sia non perdere di vista gli obiettivi dei programmi, perché molto dipenderà dalla quantità di fondi non impegnati disponibili per i diversi progetti.
Inoltre, la difesa è un settore piuttosto ampio, e sono necessarie linee guida chiare sui tipi di interventi che la politica di coesione dovrebbe privilegiare. L’obiettivo principale di questa deve rimanere il sostegno a un equilibrato sviluppo regionale.
Quali esempi di successo può citare a proposito dei finanziamenti della politica di coesione in Bulgaria?
L’intero processo di denazionalizzazione è un buon esempio, in quanto una delle principali riforme nel settore sociale. In precedenza, questi servizi sociali seguivano un modello socialista, con un accesso limitato o nullo all’istruzione per i bambini e all’assistenza sanitaria per gli anziani e le persone con disabilità, in particolare nei piccoli villaggi e nelle zone remote.
La riforma ha richiesto molti anni, ma è stata un successo significativo, poiché ha trasformato scuole e strutture di assistenza in moderni centri di servizi sociali, medici ed educativi integrati. Ha inoltre dimostrato un forte coordinamento tra gli strumenti di finanziamento: il Fondo sociale europeo ha sostenuto le misure non strutturali, mentre gli investimenti infrastrutturali sono stati sostenuti grazie alla cooperazione tra il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
Un altro esempio di successo è stato il programma di qualificazione o riqualificazione su larga scala, accessibile sia ai disoccupati sia ai lavoratori occupati. L’intero programma è stato gestito direttamente dall’agenzia nazionale per l’occupazione.
Sono stati inoltre realizzati diversi programmi mirati e innovativi finanziati dal Fondo sociale europeo, come il sostegno alle imprese sociali. Uno strumento efficace per promuovere lo sviluppo rurale e aiutare le persone appartenenti a minoranze o con disabilità a trovare un’occupazione.
La politica di coesione ha anche sostenuto i giovani attraverso programmi di imprenditorialità, opportunità di formazione e tirocini in aziende. Queste iniziative costituiscono un prezioso ponte tra l’istruzione e il mercato del lavoro, consentendo ai giovani di acquisire competenze pratiche.
Quali aspetti della politica di coesione potrebbero ancora essere migliorati?
Certamente il coordinamento con altri strumenti, anche se con la nuova priorità attribuita alla difesa, questa sfida diventerà ancora più ardua, in particolare per quanto riguarda le competenze.
È inoltre necessario che siano ridotte le condizioni quando queste non sono direttamente collegate al conseguimento degli obiettivi della politica di coesione. Alcune questioni che richiedono riforme legate allo Stato di diritto non dovrebbero essere affrontate nell’ambito della politica di coesione. A tal fine esistono altri meccanismi che possono e devono essere ulteriormente sviluppati.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Cohesion4Climate” cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
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