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“Così Edip appiattito sulle istanze di Parigi”


Elena Donazzan, europarlamentare di FdI, è stata eletta con oltre 63mila preferenze nella circoscrizione Italia Nord-orientale, seconda dietro la capolista Giorgia Meloni. È vicepresidente della commissione per l’Industria, la ricerca e l’energia – Itre – del Parlamento europeo, nonché membro della commissione per la Sicurezza e la difesa – Sede – dove è stato approvato il nuovo regolamento Edip, ovvero il programma per rafforzare la base industriale e tecnologica della Difesa Ue.

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Voi di FdI siete contrari al regolamento Edip appena approvato in commissione. Perché non lo avete votato?

Siamo molto favorevoli ad una azione forte e articolata per costruire l’industria della difesa in Europa e per questa ragione siamo stati molto critici fino al voto contrario per il come si è deciso di articolare questo fondamentale programma europeo. Il testo presenta numerose criticità, alle quali, come relatrice ombra, unica italiana, ho cercato con determinazione di porre rimedio. L’obiettivo della proposta della Commissione era accelerare la produzione di sistemi di difesa in Europa, aumentando quantità ed efficienza, ma la discussione e le modifiche apportate dai relatori delle due commissioni in sede congiunta ITRE (industria) e SEDE (difesa) hanno portato ad una situazione peggiorativa. Se l’obiettivo è condivisibile, ovvero rafforzare l’autonomia dell’industria europea, l’esito è diverso e non tiene conto delle reali condizioni.

Il punto critico sono i criteri troppo rigidi per il 30% di strumentazioni acquistabili fuori dall’Ue che limitano l’approvvigionamento militare effettivo delle imprese italiane?

Una delle maggiori criticità è rappresentata dalle percentuali stabilite sul valore delle produzioni che innalzano la soglia a limiti che oggi non sono realizzabili dalle imprese europee, forse con la sola eccezione delle francesi, ma a mio parere quest’eccezione è tutta da dimostrare. La mia posizione realistica è stata di riconoscere la finanziabilità con fondi europei, delle produzioni in esatta continuità con il precedente programma EDIRPA, che in stato di emergenza per la guerra in Ucraina, aveva fotografato la situazione europea proprio come è oggi. La forte pressione francese dentro le due commissioni ha portato invece ad innalzare tale soglia di valore per cui un progetto di difesa è finanziabile dal programma EDIP escludendo de facto larga parte di produzioni nazionali, in primis le eccellenze industriali di Leonardo che nel tempo ha saputo costruire alleanza industriali con altre realtà amiche o alleate.

C’è, insomma, un tema di competitività della nostra industria della difesa. Ma non è altrettanto importante garantire l’autonomia strategica della nostra difesa da interferenze straniere? 

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Certamente, ma l’autonomia strategica non può essere garantita con l’appiattimento sulle istanze francesi, Made in Europe non deve tradursi in Made in France. Serve un approccio più inclusivo che valorizzi le potenzialità industriali dell’Italia e degli altri Paesi europei. Allo stesso tempo, il governo Meloni, ha ben chiara l’importanza della protezione delle infrastrutture nazionali vitali, come Enel, Eni, Fincantieri e Leonardo, da acquisizioni straniere che potrebbero compromettere la sicurezza nazionale. Non solo: si impegna a garantire il controllo delle catene del valore e a promuovere l’aggregazione delle eccellenze scientifiche, accademiche e industriali nel campo della ricerca tecnologica.

Significa che questa vicenda, secondo lei, chiama in causa il golden power?

Mi sono battuta affinché nel programma EDIP non fosse tolto il riferimento normativo al golden power, esattamente quella possibilità per ciascun Stato membro di attivare delle procedure a protezione di settori o realtà strategicamente rilevanti per l’interesse nazionale. Incredibilmente, o forse nemmeno tanto, questa previsione scritta nel testo della Commissione, è stata espunta dai relatori. Se in tema di difesa e industria della difesa non prevediamo il golden power e la possibilità per uno Stato membro di prevedere una particolare riconoscibilità ad una realtà industriale, anche per manifestare esattamente l’interesse nazionale in campo, a che cosa serve quel procedimento?

Molta componentistica proviene dagli Usa. Dopo le minacce di Elon Musk di togliere il sistema Starlink all’Ucraina, un po’ di preoccupazione non le sembra fondata?

Sul sistema Starlink ci vuole prudenza ma al contempo bisogna fare i conti con la realtà, ovvero tempi, modi e quantificazione degli investimenti per avere risposte celeri al fabbisogno attuale. Il governo italiano e Meloni in primis hanno posto la massima attenzione sugli interessi italiani nel dominio dello Spazio: industriale, della difesa, del controllo dei dati e delle informazioni nel campo pubblico come in quello privato e commerciale. È una svolta significativa nel solco dell’interesse nazionale che non può prescindere dalla sicurezza nazionale.

Avrebbe senso puntare sui progetti europei o sono troppo indietro rispetto a Starlink?

Purtroppo, l’Europa è in un ritardo enorme dal punto di vista normativo e regolatorio, infrastrutturale, produttivo. Siamo tutti coinvolti e l’obiettivo è costruire uno spazio europeo, una filiera di ricerca e produzione europea, una infrastruttura di basso, medio e alto controllo, ma dobbiamo essere realisti e mentre costruiamo il nostro sistema, il mondo – e lo spazio – procedono ad una velocità impressionante. I pericoli di un guerra ibrida, la sicurezza dei territori che poggia sui sistemi di informazioni, il controllo e il comando in campo militare hanno bisogno di strumenti immediatamente usabili. Il pericolo è adesso e non attende che l’Europa, che ha poche unità di satelliti in orbita ora, sia pronta.

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Italia, Polonia e Svezia hanno mostrato dubbi sulla formulazione passata in Commissione. La Francia, invece, la sostiene. L’industria della difesa di Parigi è più autosufficiente della nostra?

Il tema non è l’autosufficienza ma il realismo. Il realismo dice che l’Europa non ha politica di difesa, non ha un’industria della difesa e, soprattutto, non ha un’industria della difesa che possa contare su una filiera europea integrata. Questo deve essere certamente il nostro obiettivo, ma se passa il programma così come è stato votato, cioè a trazione francese, sarà l’Europa a non essere pronta. In questo momento non siamo in grado, lo saremo forse nel lungo termine, tra cinque o dieci anni. Invece noi dovremmo guardare all’immediato, a fronte del contesto geopolitico attuale, senza egoismi o speculazioni. L’immediato ci dice di un’industria della difesa ancora fortemente dipendente dall’esterno: se vogliamo aumentare la nostra produzione oggi non possiamo escludere i nostri partner strategici.

I rapporti della premier Meloni con Trump sono nettamente migliori di quelli di Macron. Il ‘’buy European’’ è un passo necessario per la sopravvivenza del nostro continente o si inserisce in una più ampia strategia con cui l’Eliseo insegue una leadership geopolitica nell’Ue? 

Introdurre un principio “buy European” in base al quale l’Edip dovrebbe finanziare solo prodotti in cui il costo dei componenti originari dell’Ue, o dei Paesi associati, rappresenti almeno il 70% del valore stimato del prodotto finale, significa penalizzare non solo l’industria italiana ma anche quella di altri Paesi europei. Ad oggi questo principio non è applicabile perché ci sono delle cose che non stiamo producendo. E allora credo che la stessa Francia stia sbagliando la mira, perché in questo momento non è in grado di dare le risposte di prontezza alle esigenze della difesa europea.

Sul regolamento Edip manca ancora la discussione nel trilogo. Come finirà la partita? 

Ad oggi il voto finale, con 70 favorevoli, 46 contrari e 8 astenuti, riflette una forte divisione in Parlamento, con numerose delegazioni, da diversi Paesi, che non possono sostenere un testo che, così com’è, non rafforza realmente l’industria europea. L’auspicio è che il testo venga migliorato durante il trilogo, con il contributo dei governi nazionali, dal momento che il testo oggi in discussione al Consiglio risulta nettamente migliore – e più realistico – rispetto alla posizione licenziata dal Parlamento.

 

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Federica Fantozzi



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