Le difficoltà di “tiraggio” mostrate dal Piano Transizione 5.0 stanno alimentando un aspro dibattito politico che campeggia, in questi giorni, su tutti i giornali.
Come spesso succede, però, le ondate di interesse sugli organi di stampa rispondono a condizionamenti politici e ad obiettivi di parte.
Pertanto, piuttosto che prevedere ipotetici scenari nel breve termine, vorrei approfittare del momento di “riflessione” per una breve disamina circa le esperienze maturate in questo decennio contraddistinto da politiche industriali fortemente incentrate sulla leva fiscale.
Proviamo quindi ad analizzare, strumento per strumento, le principali agevolazioni di natura fiscale succedutesi dal 2015 in poi. Nessuna pretesa scientifica, nessuna analisi econometrica quanto piuttosto un “sentiment” percepito da un vecchio (io) operatore del settore, in trincea da oltre un ventennio.
Credito d’imposta Transizione 4.0, un’occasione persa
Il più ricco. Una montagna di risorse a servizio di una nuova (?) idea di politica industriale: automazione industriale e digitalizzazione per ridurre il gap di produttività della manifattura italiana rispetto agli altri paesi europei.
Un’idea nobile, per niente nuova ma certamente in linea con le necessità di un sistema industriale, quello italico, flessibile ma con evidenti deficit di produttività in parte legati al noto gap dimensionale del manifatturiero.
“Fu vera gloria?” Spoiler: No o almeno non completamente.
I condivisibili principi ispiratori sono stati disattesi da una procedura che, nei fatti, affida i controlli ad autocertificazioni e perizie di parte.
Quello che è concretamente successo può sintetizzarsi in un aiuto orizzontale per il rinnovo parco macchine. Come emerge da una recente analisi di Intesa Sanpaolo e Bi-Rex, le aziende più strutturate, medio grandi, hanno utilizzato l’incentivo in maniera corretta mentre tra le piccole imprese è prevalso l’acquisto di macchinari 4.0 ready con modesto o nullo interesse nell’adozione di concreti strumenti di automazione machine to machine.
La trasversalità geografica dello strumento ha, inoltre, determinato un parziale effetto di spiazzamento verso gli obiettivi della convergenza. A parità di intensità d’aiuto, l’incentivo si è prevalentemente concentrato verso le zone più ricche del paese.
Alla fine, qualche risultato è certamente arrivato. Nel triennio 2020-2022 sono stati concessi crediti di imposta per 29 miliardi di euro, che hanno sicuramente contribuito al rinnovo del parco macchine italiano. Ma a un costo non sostenibile per le delicate finanze dello Stato. Probabilmente una maggiore focalizzazione della spesa avrebbe potuto evitare l’emorragia offrendo risultati qualitativamente migliori
Una grande occasione mancata.
Credito d’Imposta Ricerca e Sviluppo, un disastro epocale
La tempesta perfetta. Per le imprese e per una parte dello Stato.
Unico beneficiario: l’Erario.
Anche in questo caso l’idea di fondo è condivisibile: un importante incentivo per lo stimolo degli investimenti in R&S.
Chi, come il sottoscritto, ha a che fare con gli strumenti valutativi di stimolo alla Ricerca ne conosce le insidie. Affidare al contribuente l’onere di determinare la conformità del suo operato ai perimetri di ammissibilità imposti dalla Legge è stato (ed è) un grave errore.
Anche in questo caso, le procedure integralmente automatiche hanno favorito l’errore e l’abuso ma non solo: hanno determinato la nascita di un imponente sistema di intermediazioni commerciali talmente pervasivo da comprimere lo spazio per consulenze ed intermediazioni professionali.
La sensazione che ne ricavo, da operatore del settore, è che la norma, l’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 ed il conseguente Decreto Attuativo 27 maggio 2015, siano stati scritti senza specifica esperienza nel settore.
Lasciare, ad esempio, nelle mani del beneficiario la valutazione e la rendicontazione del personale coinvolto nelle attività di R&S è stato un gravissimo errore, figlio, probabilmente, dell’inesperienza.
Gli interventi normativi succedutisi hanno, se possibile, peggiorato un contesto già complesso e sono stati determinati dall’urgenza di porre freno a quelle che già si palesavano come compensazioni selvagge. L’effetto collaterale è stato quello di affidare agli organi preposti alle attività di “recupero” una sorta di arma di distruzione di massa.
Insomma, un inestricabile pasticcio che, complice la logica perversa delle norme tributarie, ha incrementato esponenzialmente il Contenzioso tra contribuente e Agenzia delle Entrate con chiari effetti disincentivanti alla spesa.
L’effetto disincentivante, a mio avviso, non si ferma solo alle attività di R&S ma rischia di travolgere la propensione agli investimenti delle aziende sottoposte a controlli ed in genere, la disponibilità delle imprese ad utilizzare crediti d’imposta, visti gli elevatissimi rischi di liti tributarie che tale utilizzo comporta.
A poco sono serviti gli interventi del legislatore in tema di riversamento: rischi penali immutati e termini di pagamento eccessivamente compressi ne hanno limitato l’utilizzo. Aspettiamo ancora la determinazione del contributo al riversamento ad oggi ancora non definito.
La costituzione dell’Albo Certificatori è stato certamente un intervento necessario ed opportuno ma certamente tardivo. Occorreva pensarci prima.
Insomma, un disastro di dimensioni epocali con effetti ancora da valutare a pieno e che si protrarranno a lungo nel tempo.
Credito D’Imposta Mezzogiorno – Zes: bene ma non benissimo
Uno degli strumenti probabilmente più focalizzati e meno problematici.
Destinato ad un obiettivo di policy semplice e misurabile, ovvero contrastare i processi di deindustrializzazione delle aree svantaggiate del paese, non tradisce le intenzioni del legislatore.
Pochi chiari obiettivi, facilmente raggiungibili.
L’oggettività del perimetro eleggibile (macchinari, impianti ed attrezzature varie) lo rende meno rischioso dei precedenti.
Meno rischioso rispetto alle liti tributarie ma non esente: l’impianto normativo deficitario lascia ampio spazio agli atti interpretativi (a volte solo dichiaratamente interpretativi ma palesemente novativi) da parte dell’Agenzia delle Entrate.
La presunta semplicità nasconde invece rischi applicativi legati appunto alla compulsiva attività interpretativa dell’amministrazione finanziaria fatta da risposte ad atti di interpello dei contribuenti a volte anche contraddittorie.
Gli effetti nel lungo termine saranno direttamente correlati alla numerosità dei controlli.
Anche in questo caso, come nei precedenti, la presunta semplicità ha generato un mercato derivato legato all’intermediazione commerciale fatto da operatori non sempre sufficientemente competenti.
In termini di politica economica, l’orizzonte temporale pluriennale del Credito Mezzogiorno garantiva l’effetto incentivante previsto dalle norme comunitarie alla base dello strumento. Il Credito Zes, invece, sortisce effetti diversi. Anch’esso dovrebbe favorire un effetto incrementale sugli investimenti nell’area ma lo stanziamento annuale ed il meccanismo a riparto, nei fatti si traduce in un approccio premiale nei confronti delle aziende non marginali. Una logica non voluta di picking the winner. Probabilmente casuale ma non disprezzabile.
Uno strumento sensato ma certamente migliorabile.
Credito d’Imposta Transizione 5.0
L’agevolazione è nata sulla base di un equivoco di fondo: risparmiare energia con beni pensati per favorire la digitalizzazione e spesso notoriamente energivori, quelli del Piano Transizione 4.0.
A parte questo, l’impianto normativo si è mosso a fatica soffocato da una difficile negoziazione con la Commissione Europea.
Ha un innegabile vantaggio: aver portato alla luce le distorsioni provocate da dieci anni di ipertrofia agevolativa.
Nei fatti, il 5.0 non è un incentivo automatico. Presuppone un approccio progettuale al quale le aziende non sono più abituate ed infatti al Sud l’accoppiata Credito Zes e Credito 4.0 continua ad essere preferita.
Rappresenta però, probabilmente, il futuro dei crediti fiscali.
La completezza delle Faq difende sia il contribuente da potenziali errori che lo Stato da utilizzi impropri e/o da comportamenti elusivi.
Un’eccessiva lentezza nella definizione a pubblicazione dei provvedimenti attuativi ne ha fortemente penalizzato l’utilizzo.
Avrebbe bisogno di un’altra chance ma, temo, non l’avrà.
Lessons learned
In definitiva che cosa ho imparato io in questi anni?
Ho imparato che le norme vanno scritte bene sin dalla loro prima applicazione.
Che le opinioni dell’Agenzia delle Entrate, benché ondivaghe, hanno, nella sostanza, una gerarchia normativa paritetica alle leggi dello stato perché un contenzioso è sempre una sconfitta per il contribuente.
Che le procedure automatiche sono direttamente proporzionali al numero di presunti esperti che si palesano.
E che la prudenza non è mai troppa.
Quello che, invece, ha imparato il sistema paese è che le procedure automatiche devono essere ben perimetrate e che, probabilmente, non sono buone per tutte le occasioni.
Spero anche che la lezione sia servita a comprendere che le pulsioni alla disintermediazione degli strumenti di stimolo economico in realtà finiscono per favorire poderose strutture commerciali non necessariamente orientate su competenza e qualità.
Finita, definitivamente, l’epoca dei buffet per i crediti d’imposta credo sia il momento di ragionare su ciò che può essere concesso sulla base di elementi oggettivi facilmente individuabili e ciò che, invece, deve essere sottoposto a rigide valutazioni preventive.
Nell’interesse di tutti.
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