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Vittoria Carli, vice presidente Confindustria servizi innovativi e tecnologici: “L’intelligenza artificiale come leva strategica per il Sistema Paese”


L’intelligenza artificiale sta ridisegnando il panorama economico italiano, offrendo nuove opportunità ma anche sfide complesse. Ne abbiamo parlato con Vittoria Carli, vice presidente di Confindustria servizi innovativi e tecnologici, lo scorso 15 maggio in occasione dell’evento Annual 2025 di Unirec (Unione nazionale imprese a tutela del credito), dedicato ai nuovi equilibri finanziari, all’etica e all’intelligenza artificiale.

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Confindustria servizi innovativi e tecnologici è attivamente impegnata sul fronte AI. Qual è la vostra strategia?
All’evento, insieme al vicepresidente Gianni Dal Pozzo, abbiamo condiviso uno studio realizzato con la Luiss sull’impatto dell’intelligenza artificiale nei servizi innovativi, in particolare per le pmi. È uno dei tanti strumenti che stiamo promuovendo per aiutare le imprese ad adottare strategie efficaci in questo campo. Il nostro obiettivo è fare sistema, offrendo visione, proposte e strumenti di policy a supporto delle imprese

Quanto è strategica l’AI per l’economia italiana?
È cruciale. Non riguarda solo l’industria, ma soprattutto i servizi, che sono il vero motore economico del Paese. L’AI sta trasformando modelli organizzativi, relazioni tra imprese e cittadini, e persino la pubblica amministrazione. È una leva decisiva per migliorare efficienza, reattività e capacità predittiva, anche nel settore del credito.

Ha sottolineato l’importanza dei dati. Perché sono così centrali?
Perché senza dati, l’AI semplicemente non funziona. I dati sono il “carburante” della trasformazione digitale: permettono di anticipare bisogni, valutare rischi e costruire scenari. In ambiti come il credito, la qualità dei dati è determinante per garantire decisioni efficaci, etiche e trasparenti.

A che punto siamo in Italia sull’adozione dell’AI?
Ancora troppo indietro. Solo l’8,2% delle imprese con almeno 10 addetti utilizza tecnologie di AI, secondo Istat 2024. La media Ue è del 13,5%. In Paesi come Danimarca o Svezia si supera il 25%. Serve democratizzare l’accesso all’AI, aiutando anche i settori meno digitalizzati a colmare il gap.

E sul fronte delle competenze digitali?
Il mismatch è allarmante. Il 47% delle imprese fatica a trovare profili con competenze digitali. Il disallineamento tra domanda e offerta formativa, secondo Assoknowledge, è dell’81%. È essenziale attivare percorsi strutturati di reskilling e upskilling, per accompagnare le imprese in questa transizione.

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Quali politiche servono per sostenere questa trasformazione?
Una strategia industriale chiara e coerente. Non possiamo lasciare l’adozione dell’AI al solo mercato. Servono incentivi, norme adeguate, un rilancio del Piano Transizione 5.0, ma anche attenzione alle start up, che sono portatrici di innovazione e agilità.

Qual è la sua visione per il futuro?
L’AI non è un fine, ma uno strumento. Se guidata con visione e inclusività, può rendere i nostri servizi più efficienti e vicini ai bisogni reali, generando valore economico e sociale duraturo.



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