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Assemblea Confindustria, Orsini al governo: situazione insostenibile, subito un piano per l’industria o le imprese scappano e non garantiamo l’occupazione. Ma Meloni: bisogna ‘’pensare in grande, io lo farò’’


La minaccia arriva a pagina 21, è esposta con voce piana, ma c’è tutta, nelle parole che il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, scandisce nella sua relazione all’Assemblea annuale, davanti a Giorgia Meloni e a mezzo governo che lo ascoltano dalla platea. In estrema sintesi, il concetto è questo: servono interventi urgenti per rendere nuovamente il paese un ambiente accogliente per chi fa impresa, altrimenti ai nostri imprenditori converrà andare a investire altrove, magari negli Usa. Dice Orsini, testualmente: “tra le grandi imprese industriali associate a Confindustria, due su tre stanno trattenendo i propri dipendenti nonostante il calo dell’attività. Di queste, oltre un terzo lo fa per mantenere le competenze in azienda, consapevole delle difficoltà nel reperire nuovo personale qualificato. Ma per quanto potremo ancora farlo? Tutto questo oggi è a rischio. E se anche solo 300 medie imprese decidessero, in questa tempesta, di spostare la produzione in Paesi con minori costi e maggiori incentivi, le ricadute negative riguarderebbero almeno 100 mila occupati”.

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Dunque, malgrado la narrazione corrente del governo, Confindustria chiarisce che non va affatto tutto bene, in Italia. E quello che va bene, nel caso, è merito delle sole imprese: “Troppo spesso in Italia vengono scambiati i successi delle imprese come effetto di grandi strategie di sviluppo che, invece, non ci sono state”, accusa Orsini, ricordando che l’industria è in pessime condizioni, da 25 mesi non cresce più, e gli investimenti non arrivano perché’ ‘’chiedere oggi a un imprenditore di investire sarebbe come chiedere a un cassaintegrato di comprarsi una auto nuova’’. Pesano i costi spaventosi dell’energia, pesa la mancanza di una strategia per le politiche industriali, pesano il fisco e perfino i rigori della legge 231 che penalizza le aziende. E ancora, l’Irpef premiale va bene ma ha limiti troppo risicati, e pesa l’assenza della assai rimpianta Ace, per non dire di Industria 4.0, sostituita da quel pastrocchio inutilizzabile che è Transizione 5.0. Come se non bastasse, ora rischiamo di restare intrappolati nella guerra commerciale fra gli Stati Uniti e il resto del mondo e fra Stati Uniti ed Europa.

E a proposito di Europa, fioccano le critiche confindustriali al green deal, strumento ‘’ideologico’’ e senza senso, con vincoli che nessun altro paese si sarebbe mai sognato di imporre alle proprie industrie, che sta affossando la manifattura europea, a partire dall’auto. “L’amara verità è che oggi sia l’Europa che il nostro Paese affrontano un rischio concreto di deindustrializzazione, aggravato dalla guerra dei dazi, ma alimentato da un pregiudizio anti-industriale”, scandisce Orsini. Che, en passant, ne approfitta per citare Mattarella e il suo discorso assai celebrato del 25 aprile: “Abbiamo molto apprezzato l’intervento che il Presidente della Repubblica ha pronunciato il 25 aprile scorso a Genova, in cui ha ricordato che 80 anni fa “la fabbrica, le fabbriche, si manifestarono, una volta di più, luoghi di solidarietà e scuole di democrazia”. È stato così, e continua ad essere ancora così. L’industria italiana non è solo reddito e lavoro. È un pilastro della democrazia del nostro Paese”, sottolinea il presidente degli industriali.

Venendo al sodo: la situazione, per Confindustria, è ormai ‘’insostenibile’’. Per non soccombere “serve un piano industriale straordinario per rilanciare l’economia europea e nazionale”, una sorta di Next Generation Ue industriale. Servono risorse, e questo richiama la compatibilità coi conti pubblici; ma, ricorda ancora Orsini, “al governo abbiamo presentato 80 proposte a costo zero, ma ne sono state attuate solo 8, e 6 sono allo studio’’. La risorse necessarie per un sostegno agli investimenti le quantifica in 8 miliardi di euro l’anno per i prossimi 3 anni, ma sarebbe “ancora meglio se avessimo un orizzonte temporale di 5 anni”, cioè ben oltre l’attuale legislatura. A proposito della sostenibilità del debito, Orsini inoltre sottolinea: “va bene gli investimenti per la difesa europea, ma possibile che la deroga al patto di stabilità debba valere per il riarmo e non per la crescita, il sociale?”. La crescita, insiste, “deve essere l’obiettivo comune” e per questo serve ‘’un cambio di marcia’’, servono ‘’scelte forti’’, serve, soprattutto, “un patto nuovo tra forze politiche e sociali”, anche per dare risposta ai salari, ‘’problema nazionale’’.

E veniamo a Giorgia Meloni. Quanto tocca a lei salire sul palco, parla di un altro paese rispetto a quello descritto da Orsini: “L’Italia sta diventando un mercato attrattivo per gli investimenti esteri e ci sono ottime ragioni per investire in Italia, che ha un sistema manifatturiero di primo ordine ed è la patria del bello, del ben fatto e della creatività: siamo molto desiderati”, afferma la premier ribadendo che “la nostra economia è solida e resiliente”. E ancora: “la scelta del governo è stata quella di “concentrare le risorse sulle priorità, mettere al centro il lavoro e penso che i risultati record sull’occupazione dimostrano che si trattava della scelta giusta. Ora va stabilizzato il trend, non abbiamo terminato il nostro lavoro ma siamo sulla strada giusta”.  Quanto al piano straordinario chiesto da Confindustria: “Sono d’accordo, tanto che il governo sta lavorando già insieme al settore produttivo e alle parti sociali per una politica industriale di medio e lungo periodo”. Ma poi ammette: “Penso si debba procedere in modo più spedito e mi prendo l’impegno personalmente ad occuparmene. Ci sono cose che si possono fare più velocemente”. Anche sulla gestione pasticciata della spinosissima questione ex Ilva, che proprio ieri Orsini ha stigmatizzato (‘’non possiamo perdere l’acciaio’’), tradisce qualche imbarazzo, ma si limita a ripetere ‘’l’abbiamo ereditata’’.

Poi passa subito a prendersela  anche lei con l’Europa, con la burocrazia ottusa (‘’400 km di gazzette ufficiali, ‘’regolamentano il calibro dei fagioli’’, “tradiscono la patria del diritto romano’’, eccetera), e con il green deal; in questo supportata anche dalle critiche esposte poco prima dalla ‘’ cara amica’’, la presidente del parlamento europeo, Roberta Metsola, a sua volta intervenuta all’Assemblea e perfino più dura di Orsini nel bastonare il piano di transizione ecologica varato a suo tempo da Ursula von Der Leyen. Il Green deal, insomma, come nemico comune, capro espiatorio e responsabile di ogni male, che mette d’accordo Confindustria, Governo, e pure parlamento Ue.

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Meloni comunque conclude il suo intervento con una sorta di appello motivazionale: “Il mio messaggio per voi – dice rivolta agli industriali- è pensate in grande, perché l’Italia è grande. La prima cosa è crederci: pensate in grande perché io farò lo stesso”. Più tardi, Orsini si dirà soddisfatto: è stato ‘’un confronto franco’’, ‘’abbiamo lanciato le nostre proposte per un piano industriale straordinario per l’Italia e per l’Europa e dall’altra parte abbiamo avuto risposte positive”. Il dialogo col governo sul piano straordinario, insomma, è aperto. Se prima o poi si chiuderà con qualcosa di concreto, lo scopriremo solo vivendo.

 

Nunzia Penelope

 



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