Per la Cassazione (ord. 10362/2025) è valida la clausola che esonera il costruttore dalle spese per l’invenduto, se prevista nel regolamento contrattuale.
La questione delle spese condominiali relative alle unità immobiliari rimaste invendute o non locate all’interno di un edificio è fonte frequente di dibattito e, talvolta, di contenzioso. Spesso, i regolamenti condominiali predisposti dal costruttore originario contengono clausole che prevedono un esonero, totale o parziale, dal pagamento di tali oneri a favore del costruttore stesso, fino a quando le unità non vengano vendute o locate. Ma una clausola di questo tipo è sempre valida? O cela profili di illegittimità? La domanda che molti si pongono, specialmente gli acquirenti di nuove unità, è se la clausola di esonero del costruttore dalle spese condominiali è vessatoria.
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (la numero 10362 del 19 aprile 2025) è tornata sull’argomento, fornendo importanti chiarimenti sulla validità di tali pattuizioni, specialmente quando inserite in un regolamento condominiale di natura contrattuale e nei rapporti tra imprese. Analizziamo nel dettaglio la decisione e le sue implicazioni.
È valida la clausola che esonera il costruttore dalle spese?
Secondo la Corte di Cassazione (ordinanza n. 10362 del 19 aprile 2025), una clausola inserita in un regolamento condominiale contrattuale (ossia approvato all’unanimità o allegato ai singoli atti di compravendita) che preveda un esonero (totale o parziale) del costruttore/venditore dalle spese condominiali, fino all’avvenuta vendita o locazione di tutte le unità immobiliari di sua proprietà, può essere considerata valida a determinate condizioni.
La Suprema Corte ha specificato che, nel caso esaminato, la clausola in questione:
- non costituiva una condizione meramente potestativa (cioè una condizione il cui avveramento dipende dal mero arbitrio di una delle parti, che renderebbe nullo l’atto ai sensi dell’articolo 1355 del Codice Civile);
- non era soggetta alla disciplina delle clausole vessatorie prevista dalla Direttiva Europea 93/13/CEE (e dal successivo Codice del Consumo italiano), principalmente perché la compravendita era avvenuta nel luglio del 1992 (quindi in un periodo antecedente o comunque iniziale rispetto alla piena applicazione di tale normativa consumeristica per alcuni aspetti) e, soprattutto, perché il rapporto intercorreva tra due società, escludendo così la figura del consumatore.
Quale caso ha deciso la Cassazione con l’ord. 10362/2025?
La pronuncia della Cassazione trae origine da una controversia legale avviata da una società condòmina contro il costruttore/venditore dell’edificio, anch’esso rimasto condòmino per alcune unità immobiliari ancora invendute o non locate. La società attrice chiedeva di dichiarare inapplicabile (e quindi nulla o inefficace) una specifica clausola, l’articolo 19, del regolamento condominiale. Tale regolamento era di natura contrattuale, essendo stato predisposto dal costruttore e poi espressamente richiamato e accettato nell’atto di acquisto della stessa società che ora lo contestava.
La clausola in questione prevedeva uno sgravio del 90% delle spese condominiali che sarebbero spettate al costruttore/venditore per le unità immobiliari rimaste invendute o non locate. Secondo la società ricorrente, questa clausola, non prevedendo un termine finale per l’esonero, integrava una condizione meramente potestativa, vietata dall’articolo 1355 del Codice Civile, e doveva pertanto considerarsi nulla.
Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello avevano dato ragione al costruttore/venditore, ritenendo la clausola valida. La Corte di Cassazione ha confermato queste decisioni, rigettando il ricorso della società condòmina.
Perché tale clausola non è una condizione “meramente potestativa”?
La Cassazione ha chiarito che la previsione dell’esenzione dal pagamento di una quota degli oneri condominiali, ricollegata all’evento futuro e incerto della vendita (o locazione a terzi) delle unità immobiliari ancora di proprietà del costruttore/venditore, non configura una condizione meramente potestativa, ma al più una condizione “semplicemente potestativa” (o potestativa semplice), che è invece perfettamente lecita.
La differenza è fondamentale:
- una condizione meramente potestativa (art. 1355 c.c.) è quella il cui avveramento dipende dal puro e semplice arbitrio di una delle parti (“pagherò se vorrò”). Tale condizione, se sospensiva, rende nullo il negozio;
- una condizione semplicemente potestativa (o mista) è quella il cui avveramento dipende sì dalla volontà di una parte, ma questa volontà è legata a motivi seri, apprezzabili e spesso connessi a un interesse meritevole di tutela, o a fattori esterni.
Nel caso di specie, la volontà del costruttore di vendere o locare le unità è certamente un fattore determinante, ma tale volontà è normalmente guidata da logiche di mercato, da valutazioni imprenditoriali e dall’obiettivo di realizzare un profitto, non da un mero capriccio. L’evento (vendita/locazione) non dipende esclusivamente da un “se vorrò” arbitrario del costruttore, ma da un complesso di fattori che includono la sua attività commerciale e le condizioni del mercato immobiliare.
Inoltre, la Corte ha osservato che la clausola, lungi dal configurarsi come meramente potestativa, potrebbe addirittura rappresentare una “previsione di favore per gli altri condòmini“. Questo perché, sebbene il costruttore possa teoricamente conservare a tempo indeterminato il diritto al parziale esonero (non vendendo né affittando), nel momento in cui l’unità viene venduta o locata, subentra nella titolarità un soggetto terzo (l’acquirente o il conduttore che ne assume gli oneri) al quale il vantaggio dell’esonero non si estende. La cessazione del beneficio è quindi legata a un evento che è nell’interesse commerciale del costruttore stesso realizzare.
Qual è il ruolo del regolamento condominiale contrattuale?
Il fatto che la clausola di esonero fosse inserita in un regolamento condominiale di natura contrattuale è stato determinante per la decisione della Cassazione. I regolamenti contrattuali sono quelli predisposti dall’originario unico proprietario (solitamente il costruttore) e poi accettati da tutti i successivi acquirenti delle singole unità immobiliari al momento del rogito, oppure quelli approvati all’unanimità da tutti i condòmini.
Tali regolamenti possono contenere clausole che limitano i diritti dei singoli condòmini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni, o che derogano ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, come quelli stabiliti dall’articolo 1123 e seguenti del Codice Civile (che prevedono una ripartizione in base ai millesimi di proprietà).
La Cassazione, citando un suo precedente ( Cassazione 21086/2022), ha ribadito che i patti contenuti nel regolamento contrattuale conservano pieno valore vincolante e precettivo per tutti i condòmini che li hanno accettati. Essi non possono essere modificati se non attraverso una “nuova convenzione”, ossia con un nuovo accordo che raccolga il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
Nel caso specifico, la clausola sull’esonero delle spese era una “convenzione” di questo tipo, con cui la società costruttrice si era legittimamente assicurata, per un periodo di tempo condizionato alla vendita o locazione dei suoi locali, un vantaggio economico consistente nella riduzione degli oneri condominiali. La società ricorrente, avendo acquistato la propria unità immobiliare con un atto che richiamava espressamente tale regolamento, ne aveva accettato tutte le clausole, inclusa quella contestata.
La clausola di esonero dalle spese condominiali è vessatoria?
La società ricorrente aveva anche eccepito la natura vessatoria della clausola. Tuttavia, la Cassazione ha escluso l’applicabilità della Direttiva Europea 93/13/CEE sulle clausole abusive (vessatorie) nei contratti stipulati con i consumatori, e delle relative norme di recepimento nell’ordinamento italiano (tra cui il Codice del Consumo, Decreto Legislativo 206/2005). I motivi di tale esclusione sono stati due:
- ragione temporale: la compravendita dell’unità immobiliare da parte della società ricorrente era intervenuta nel luglio del 1992. La Direttiva 93/13/CEE è del 5 aprile 1993 e il suo recepimento in Italia è avvenuto successivamente, quindi la normativa consumeristica invocata non era pienamente applicabile ratione temporis in modo retroattivo a un contratto già perfezionato;
- ragione soggettiva: il rapporto contrattuale in questione intercorreva tra due società commerciali. La tutela contro le clausole vessatorie prevista dalla normativa consumeristica è, per definizione, riservata al “consumatore”, inteso come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Poiché entrambe le parti erano società agenti nell’ambito della loro attività imprenditoriale, non vi era spazio per l’applicazione della tutela del consumatore.
Questa conclusione ha esonerato la Corte, come essa stessa ha specificato, “da ogni ulteriore considerazione sulla vexata quaestio (questione dibattuta) già oggetto di precedenti”, citando a tal proposito la recente Cassazione 20007/2022, che evidentemente ha affrontato aspetti complessi relativi all’applicazione del Codice del Consumo ai regolamenti condominiali o a fattispecie simili.
Attenzione però: questo non significa che la medesima clausola, inserita però in un contratto con un privato, non possa essere considerata vessatoria e pertanto illegittima. Approfondiamo dunque questo aspetto delicatissimo.
In linea generale, l’articolo 1123 del Codice Civile, che stabilisce i criteri di ripartizione delle spese condominiali in proporzione al valore della proprietà di ciascuno, è derogabile. Ciò significa che i condomini possono accordarsi diversamente, stabilendo criteri di ripartizione differenti o addirittura prevedendo l’esenzione totale o parziale di alcuni condomini dal contributo a determinate spese.
Tale “diversa convenzione” deve essere contenuta:
- nel regolamento condominiale di natura contrattuale (cioè predisposto dall’originario unico proprietario-costruttore e accettato dai singoli acquirenti nei rispettivi atti di compravendita, oppure approvato all’unanimità da tutti i condomini);
- oppure in una deliberazione assembleare approvata all’unanimità da tutti i condomini.
Numerose pronunce confermano questa impostazione:
«[…] la disciplina sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, ex artt. 1123 – 1125 c.c., è suscettibile di deroga […] con atto negoziale. È, dunque, legittima una convenzione che ripartisca siffatte spese tra i condòmini in misura diversa da quella legale, potendosi addirittura stabilire l’esenzione totale o parziale per taluno dei condòmini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime»” [Tribunale Di Asti, Sentenza n.567 del 4 Settembre 2024].
Si veda anche Tribunale Ordinario Roma, sez. 5, sentenza n. 24036/2017, Tribunale Ordinario Vicenza, sez. S2, sentenza n. 1076/2018 e Tribunale Ordinario Roma, sez. 5, sentenza n. 9848/2019.
Una volta validamente inserita, una clausola di esonero di natura contrattuale può essere modificata solo con il consenso unanime di tutti i condomini, ivi compreso il beneficiario dell’esenzione. Una delibera assembleare adottata a maggioranza che modifichi tale criterio di riparto sarebbe nulla.
Un profilo di criticità riguarda la durata dell’esonero, specialmente quando questo è previsto “fino alla vendita” delle unità immobiliari rimaste in proprietà del costruttore. Alcune pronunce di merito hanno sollevato dubbi sulla legittimità di un esonero senza un termine finale preciso, paventando la nullità per violazione dell’art. 1355 c.c. (condizione meramente potestativa) o per eccessiva onerosità a carico degli altri condomini.
Il Tribunale di Asti, nella sentenza n. 567 del 4 settembre 2024, ha affermato:
«L’esonero, tuttavia, non può avere una durata illimitata, a decorrere dalla alienazione o locazione delle unità immobiliari di proprietà. L’articolo 1355 c.c. sanziona con la nullità l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata ad una condizione sospensiva «…meramente potestativa», il cui avveramento, cioè, è rimesso alla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, del debitore… (che nel caso di specie è il costruttore)». Pattuizioni di questo tipo possono considerarsi nulle ai sensi del citato articolo, proprio perché l’obbligo del costruttore di sostenere le spese condominiali è sospensivamente condizionato al verificarsi di un evento (la vendita o locazioni delle unità immobiliari) che dipende esclusivamente dall’arbitrio del costruttore stesso”».
Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria e più recente, inclusa quella di legittimità, tende a non considerare nulla la clausola di esonero fino alla vendita per il solo fatto della sua potenziale indeterminatezza temporale o per violazione dell’art. 1355 c.c.
Il Tribunale di Roma (sentenza n. 24036/2017) ha precisato che la condizione è “meramente potestativa” solo quando l’evento dipende dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, situazione che non ricorrerebbe nel caso della vendita di un immobile, che risponde a logiche di mercato .
Anche il Tribunale di Monza (sentenza n. 2674/2017) ha escluso che l’assenza di un termine definito nella clausola di esonero configuri una condizione meramente potestativa, considerandola piuttosto un termine di validità della clausola previsto a favore del costruttore.
La questione dirimente è se tale clausola, inserita in un regolamento predisposto dal costruttore (professionista) e accettata dall’acquirente (consumatore) al momento dell’acquisto dell’unità immobiliare, possa essere considerata vessatoria ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo.
L’art. 33, comma 1, D.Lgs. 206/2005, definisce vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto [Cass. Civ., Sez. 2, N. 2558 del 27-01-2023]. La vessatorietà è valutata tenendo conto della natura del bene o servizio, delle circostanze esistenti al momento della conclusione e delle altre clausole del contratto. Non sono vessatorie le clausole oggetto di trattativa individuale (art. 34, comma 4, Codice del Consumo), la cui prova incombe sul professionista (art. 34, comma 5). Le clausole vessatorie sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto (art. 36 Codice del Consumo, c.d. “nullità di protezione”).
La giurisprudenza della Cassazione si è espressa in modo significativo con la sentenza n. 20007 del 21 giugno 2022 (richiamata anche da Cass. Civ., Sez. 2, n. 5139 del 27-02-2024 e Cass. Civ., Sez. 2, n. 10362 del 19-04-2025). Il principio di diritto enunciato è il seguente:
«La clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore-acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell’art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano”».
Questa pronuncia chiarisce alcuni punti fondamentali:
- le norme del Codice del Consumo sono applicabili alle clausole dei regolamenti condominiali predisposti dal costruttore e accettate dagli acquirenti-consumatori.
- la vessatorietà va valutata nell’ambito del rapporto contrattuale tra il venditore-professionista e l’acquirente-consumatore;
- il “significativo squilibrio” deve riguardare i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto di compravendita. Deve incidere sulla prestazione traslativa del bene (comprensiva delle parti comuni) o sull’obbligo di pagamento del prezzo;
Di regola, l’obbligo del venditore-costruttore di contribuire alle spese per le parti comuni relative alle unità immobiliari che ancora gli appartengono è considerato *estraneo* al sinallagma contrattuale della singola compravendita. Ciò significa che l’esonero del costruttore dal pagamento delle spese per le sue unità invendute, di per sé, non crea uno squilibrio nel contratto di vendita stipulato con il singolo acquirente-consumatore.
Il Tribunale di Brindisi (sentenza n. 464/2023) argomenta in linea con questa interpretazione:
«Per questa ragione il regolamento condominiale non può essere valutato come vessatorio o conforme al Codice del Consumo, trattandosi di un negozio giuridico completamente autonomo e/o distinto rispetto al contratto di compravendita tra il costruttore ed il singolo acquirente. Ed invero, la convenzione di esonero di taluno dei condomini dagli obblighi collegati alla contitolarità del diritto di proprietà sulle cose comuni, eventualmente inserita nel cosiddetto contenuto contrattuale del regolamento di condominio, è quindi palesemente vicenda negoziale autonoma e distinta, sotto un profilo soggettivo ed oggettivo, rispetto al contratto di vendita dell’unità immobiliare intercorsa tra il costruttore proprietario originario e il singolo condomino acquirente […]».
Una precedente sentenza di Cassazione (n. 5975 del 2004), citata anche dal Tribunale di Brescia, aveva ipotizzato che una clausola di esonero a tempo indeterminato potesse essere vessatoria, suggerendo un limite temporale (ad es. i primi due anni finanziari del condominio). Tuttavia, la più recente Cass. n. 20007/2022 e le pronunce conformi [Cass. Civ., Sez. 2, N. 5139 del 27-02-2024; Cass. Civ., Sez. 2, N. 10362 del 19-04-2025] sembrano superare questo automatismo, focalizzando l’attenzione sullo squilibrio nel contratto di vendita specifico.
La nullità di protezione opera a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma nel contesto di un giudizio tra i soggetti contraenti del rapporto di consumo (professionista e consumatore).
Il Condominio, come entità distinta dai singoli condomini, o gli altri condomini non potrebbero, di regola, invocare la vessatorietà della clausola di esonero contenuta nel contratto di acquisto stipulato tra il costruttore e un singolo acquirente-consumatore, poiché non sono parti di quel specifico rapporto di consumo.
In sintesi
Una clausola di esonero del costruttore dalle spese condominiali, contenuta in un regolamento contrattuale o approvata all’unanimità, è generalmente legittima in quanto l’art. 1123 c.c. è derogabile.
Tale clausola non è di per sé nulla per il solo fatto che l’esonero sia previsto “fino alla vendita” delle unità immobiliari, non integrando necessariamente una condizione meramente potestativa.
La clausola può essere considerata vessatoria ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo solo se inserita in un contratto tra costruttore-professionista e acquirente-consumatore, qualora determini a carico di quest’ultimo un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di compravendita.
Tuttavia, secondo l’orientamento prevalente della Cassazione (cfr. Cass. n. 20007/2022), l’esonero del costruttore dalle spese per le unità invendute è, di regola, estraneo al sinallagma del contratto di vendita del singolo appartamento e, pertanto, difficilmente potrà configurare di per sé un significativo squilibrio a danno dell’acquirente-consumatore in relazione a quel contratto.
Pertanto, la clausola di esonero del costruttore dalle spese condominiali non è intrinsecamente vessatoria. Lo diventa solo se, nel contesto specifico del rapporto tra costruttore-venditore e singolo acquirente-consumatore, produce un significativo squilibrio degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di compravendita, circostanza che la giurisprudenza tende a escludere quando l’esonero riguarda le spese delle unità rimaste in proprietà del costruttore.
Fino a quando dura l’esonero per il costruttore?
La durata dell’esonero, come specificato dalla clausola stessa riportata nella motivazione dell’ordinanza, è legata a un evento futuro e incerto: l’avvenuto trasferimento in vendita o la locazione a terzi dei locali rimasti invenduti. La clausola recitava: “la società fino a quando non avrà trasferito in vendita, o locazione a terzi, per i locali ancora rimasti invenduti sarà sgravata del 90% delle spese condominiali…”.
Quindi, l’esonero cessa nel momento in cui la singola unità immobiliare di proprietà del costruttore viene venduta o locata.
L’acquirente dell’unità invenduta non beneficia dell’esonero. La clausola era chiara anche su questo punto. Proseguiva infatti: “Non appena i locali commerciali – siano essi negozi o depositi saranno trasferiti o locati – l’acquirente, il proprietario o chi per lui sarà obbligato al pagamento dell’intera quota condominiale“. Questo significa che il beneficio dell’esonero era strettamente personale, legato alla figura del costruttore/venditore originario, e non si trasmetteva ai successivi acquirenti o utilizzatori, i quali sarebbero stati tenuti a contribuire integralmente alle spese condominiali secondo i millesimi di competenza.
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