Il vero valore della GenAI nelle imprese è sempre in dubbio, chi la spinge farebbe meglio a puntare sul B2C
Qualsiasi discussione sul ruolo della AI Generativa in azienda oggi si riduce, alla fine, in una questione di fede. I credenti citano i casi in cui la GenAI ha o avrà un ruolo trasformativo (termine che va molto, ultimamente), i miscredenti citano altrettanti casi in cui la GenAI ha dimostrato di non valere gli sforzi e gli investimenti che richiede, gli agnostici stanno sulla riva del fiume e aspettano di veder passare il cadavere di una delle due categorie precedenti.
Attenzione: è scontato che sia così, al momento. Perché oggi qualsiasi messaggio di rilievo che riguardi la GenAI nelle imprese essenzialmente proviene da chi la sviluppa o in qualche modo la vende o, all’opposto, da chi è contrario a priori alla sua diffusione. Analisi e dibattiti oggettivi ce ne sono molto pochi, banalmente perché non c’è ancora – nonostante quello che molti asseriscono – una massa critica di GenAI aziendale su cui ragionare.
Eppure il tempo scorre ad appare sempre più chiaro – come, tra i principali analisti, indica non da oggi Gartner – che le aziende stanno tirando le prime somme sulla applicabilità della GenAI nei loro processi. E queste somme non sono quelle che i vendor tecnologici speravano. Il CEO Study 2025 dello IBM Institute for Business Value, ad esempio, conferma la sostanza di questa impressione. Rispetto alle rilevazioni del 2024, i CEO hanno spostato in avanti le loro previsioni sull’applicabilità dell’AI.
L’anno scorso, più di due terzi dei CEO intervistati hanno dichiarato a IBM di aspettarsi di superare la fase pilota dell’AI entro il 2025. Ma quest’anno, il 60% afferma di essere ancora nella fase di sperimentazione. In generale, le organizzazioni sembrano aver rallentato decisamente. Oggi poco più della metà dei CEO dichiara di prevedere una crescita aziendale grazie all’AI nei prossimi cinque anni, in calo rispetto al 67% dello scorso anno.
Lo studio di IBM in questo senso sottolinea anche un altro elemento su cui meditare. Se nell’edizione 2023 la produttività e la profittabilità erano al primo posto tra gli obiettivi dei CEO, oggi hanno ceduto questa posizione alla accuratezza delle previsioni. Così alla GenAI vengono assegnati compiti specifici: potenziare il processo decisionale e migliorare la resilienza operativa. L’efficienza e la crescita sono invece una questione che deve, sempre secondo i CEO, risolvere invece il cloud ibrido.
In sostanza, oggi navigare le metaforiche acque dei mercati globali e della geopolitica è diventato difficile e gli errori possono costare molto caro. Le tecnologie non possono tradirti: devono essere assolutamente affidabili. Questo punto è critico per la GenAI, che affidabile oggi chiaramente non lo è. Va bene usarla nei progetti pilota e forse nei task di fascia bassa, con gli adeguati controlli e salvaguardie, ma le aziende hanno capito che è un rischio troppo grande affidare alle odierne tecnologie di AI Generativa i processi critici delle imprese. Se in Europa ci siamo studiati l’AI Act, non è per caso.
Too big to fail
Ma la GenAI deve in qualche modo affermarsi. Non solo perché il suo valore ce l’ha di sicuro – le interfacce conversazionali già basterebbero, peccato che non siano un tema abbastanza “cool” per il marketing dei vendor – ma soprattutto perché il mercato non può permettersi lo scoppio troppo fragoroso della sua bolla speculativa. Ci sono in gioco centinaia di miliardi di dollari in valutazioni di mercato e in investimenti dei venture capital. Somme al momento completamente slegate dalle realtà, che invece è fatta – Nvidia a parte, come spesso evidenziato – di grandi nomi con fatturati “da GenAI” in crescita ma senza utili. E gli investitori sono sempre più preoccupati.
Ecco quindi che la GenAI potrebbe “svoltare” lasciando perdere – almeno come priorità – le imprese e rivolgendosi al mondo consumer e degli utenti a metà fra business e consumer. Qui la GenAI è facilmente sdoganabile ed anzi ha già grande successo, per applicazioni che non sono affatto critiche e per cui la precisione assoluta non è nemmeno necessaria. Assistenti vocali, generatori di immagini, smartphone sempre più AI-enabled, gli “amici digitali” di cui vuole circondarci Mark Zuckerberg… e chissà cos’altro ancora.
Se consideramo la GenAI come una tecnologica B2C, ecco che le si apre d’improvviso davanti un enorme mercato fatto di utenti mediamente non troppo preparati o selettivi, molto aperti all’adozione di novità e gadget, che possono tollerare errori – anzi, ogni errore è un meme in più: ben venga – perché non gestiscono certo infrastrutture o servizi critici. Centinaia di milioni di utenti che sarebbero di fatto – spesso, non sempre – altrettanti beta tester per servizi e tecnologie in evoluzione.
E poi, in prospettiva, non sarebbe la prima volta che la strada del B2C diventa poi un nuovo percorso verso le aziende. In fondo, se ci pensiamo, l’odierno concetto di azienda “ubiqua” e di app economy esiste perché i dipendenti delle imprese hanno voluto in azienda la stessa “user experience” che avevano sui loro smartphone. Per anni siamo andati avanti a parlare di BYOD, dei suoi innegabili rischi e dei problemi che causava per gli IT manager. Però intanto è nato un nuovo modo di lavorare.
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