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Confindustria, Orsini avvisa il governo: situazione insostenibile, serve un piano per l’industria o le imprese scappano e non garantiamo l’occupazione. Ma Meloni: ‘’pensate in grande, io lo farò’’. Poi tutti uniti contro l’Ue del Green deal


La minaccia, o l’avviso, se preferite, arriva a pagina 21. Emanuele Orsini parla con voce piana, educata, ma il messaggio e’ assai chiaro nelle parole della sua seconda relazione all’Assemblea, pronunciate davanti a Giorgia Meloni e a mezzo governo che lo ascoltano dalla platea. In estrema sintesi, il concetto espresso dal presidente di Confindustria è questo: non va tutto bene nell’economia italiana, nemmeno per sogno, al contrario; per questo, servono interventi urgenti per chi fa impresa, altrimenti ai nostri imprenditori converrà andare a investire altrove, magari negli Usa. Con conseguenze immaginabili. Per esempio sull’occupazione. Orsini spiega il ”mistero” dei posti di lavoro che crescono mentre l’industria resta ferma a 26 mesi ,ed e’ questo:  “l’occupazione per ora tiene- afferma- ma tra le grandi imprese industriali associate a Confindustria, due su tre stanno trattenendo i propri dipendenti nonostante il calo dell’attività. Di queste, oltre un terzo lo fa per mantenere le competenze in azienda, consapevole delle difficoltà nel reperire nuovo personale qualificato. Ma per quanto potremo ancora farlo? Tutto questo oggi è a rischio. E se anche solo 300 medie imprese decidessero, in questa tempesta, di spostare la produzione in Paesi con minori costi e maggiori incentivi, le ricadute negative riguarderebbero almeno 100 mila occupati”.

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“Quello che ci stiamo giocando -ricorda Orsini- è un futuro collettivo, non individuale”. La prova è nei numeri: Confindustria  “contribuisce per oltre il 44% del valore aggiunto generato dalle imprese private in Italia. Il manifatturiero rappresenta quasi il 20% del valore aggiunto e ben il 30% del monte contributivo che tiene in piedi l’INPS. E quando esportiamo per oltre 626 miliardi e ci diamo l’obiettivo di arrivare a quota 700 miliardi, oltre a dare solidità ai bilanci delle nostre imprese, contribuiamo alla tenuta di quello del Paese. Ma- avverte- questi contributi al PIL e al sistema sociale potrebbero venire a mancare”. E, quanto al futuro collettivo, non manca di rilevare che “stiamo perdendo troppi giovani che cercano altrove ciò che qui, evidentemente, non trovano”, e questo provoca al paese una drammatica “perdita di quelle competenze che rappresentano il motore dell’innovazione e della crescita”.

Dunque, malgrado la narrazione corrente del governo, Confindustria chiarisce che non va affatto tutto bene, in Italia. E quello che va bene, nel caso, è merito delle sole imprese: “Troppo spesso in Italia vengono scambiati i successi delle imprese come effetto di grandi strategie di sviluppo che, invece, non ci sono state”, accusa Orsini, ricordando che l’industria è ormai al limite e gli investimenti non arrivano perché’ ‘’chiedere oggi a un imprenditore di investire sarebbe come chiedere a un cassaintegrato di comprarsi una auto nuova’’. Pesano i costi spaventosi dell’energia,  tema centrale sul quale Orsini torna a chiedere il disaccoppiamento dei prezzi; e questo proposito non manca un’altra stoccata ai partiti, ”tutti”: ”smettete di dire a Roma che siete per le rinnovabili per poi porre nelle Regioni ostacoli di ogni tipo proprio alle rinnovabili”.

E ancora, pesa la mancanza di una strategia per le politiche industriali, pesano il fisco e perfino i rigori della legge 231 che penalizza le aziende. E ancora, l’Ires premiale va bene ma ha limiti troppo risicati, dunque va ampliata; e pesa l’assenza della assai rimpianta Ace, per non dire di Industria 4.0, sostituita da quel pastrocchio inutilizzabile che è Transizione 5.0. Come se non bastasse, ora c’e’ il rischio di restare intrappolati nella guerra commerciale fra gli Stati Uniti e il resto del mondo e fra Stati Uniti ed Europa: guerra che per Confindustria e’ bene evitare, ma che nello stesso tempo dovrebbe indurci a fare subito altre alleanze commerciali ad più ampio raggio, dall’Australia all’Africa.

E a proposito di Europa, un intero capitolo della relazione e’ concentrato sulle critiche alle politiche europee, a partire ovviamente dal green deal, strumento ‘’ideologico’’ e “senza senso”, con vincoli “che nessun altro paese si sarebbe mai sognato di imporre alle proprie industrie”, che sta “affossando la manifattura europea”, a partire dall’auto. “L’amara verità è che oggi sia l’Europa che il nostro Paese affrontano un rischio concreto di deindustrializzazione, aggravato dalla guerra dei dazi, ma alimentato da un pregiudizio anti-industriale”, scandisce Orsini. Che, en passant, ne approfitta per citare Sergio Mattarella e il suo discorso del 25 aprile: “Abbiamo molto apprezzato l’intervento che il Presidente della Repubblica ha pronunciato il 25 aprile scorso a Genova, in cui ha ricordato che 80 anni fa “la fabbrica, le fabbriche, si manifestarono, una volta di più, luoghi di solidarietà e scuole di democrazia”. È stato così, e continua ad essere ancora così. L’industria italiana non è solo reddito e lavoro. È un pilastro della democrazia del nostro Paese”, sottolinea il presidente degli industriali. E chissà con quale spirito e’ stato inserito nella relazione  confindustriale quel riferimento di Mattarella agli scioperi del 43 e del 44 contro il fascismo, fino allo sciopero insurrezionale del 45, che contribuirono ad allargare il fronte della resistenza determinando la  caduta del regime. Soprattutto, chissà se lo hanno notato, in platea.

Venendo al sodo: la situazione economica nazionale, per Confindustria, è ormai ‘’insostenibile’’. Per non soccombere “serve un piano industriale straordinario per rilanciare l’economia europea e nazionale”, una sorta di Next Generation Eu industriale. Servono risorse, e questo richiama la compatibilità coi conti pubblici; ma, bacchetta ancora Orsini, “al governo abbiamo presentato 80 proposte a costo zero, ma  dopo il breve interessamento iniziale ne sono poi state attuate solo 8, e 6 sono allo studio’’. La risorse necessarie per un sostegno agli investimenti presidente degli industriali le quantifica in 8 miliardi di euro l’anno per i prossimi 3 anni, “ma sarebbe ancora meglio se avessimo un orizzonte temporale di 5 anni”, cioè ben oltre l’attuale legislatura. A proposito della sostenibilità del debito, Orsini fa notare: “va bene gli investimenti per la difesa europea, ma possibile che la deroga al patto di stabilità debba valere per il riarmo e non per la crescita, il sociale?”. La crescita, insiste, “deve essere l’obiettivo comune” e per questo serve ‘’un cambio di marcia’’, servono ‘’scelte forti’’, serve, soprattutto, “un patto nuovo tra forze politiche e sociali”, anche per dare risposta ai salari, ‘’problema nazionale’’. I leader sindacali, seduti in platea, ascoltano attenti. Più tardi, verra’ fuori che un prossimo incontro tra Cgil, Cisl e Uil sarebbe fissato per il 26 giugno (come peraltro il Diario ha anticipato lunedì). La Confindustria, ricorda ancora Orsini, e’ quella che non fa i contratti pirata e che paga gli stipendi più elevati, ma ”possiamo cercare di aumentarli”, per esempio detassando qua e la. Tuttavia, non fa cenno al difficile rinnovo dei metalmeccanici, ancora bloccato da Federmeccanica, che pure di Confindustria fa parte.

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E veniamo a Giorgia Meloni. Quanto tocca a lei salire sul palco, la premier parla di un altro paese rispetto a quello descritto da Orsini. E quindi afferma, sicura: “L’Italia sta diventando un mercato attrattivo per gli investimenti esteri e ci sono ottime ragioni per investire in Italia, che ha un sistema manifatturiero di primo ordine ed è la patria del bello, del ben fatto e della creatività: siamo molto desiderati”, insiste la premier, ribadendo che “la nostra economia è solida e resiliente”. E ancora, spiega che “la scelta del governo” è stata quella di “concentrare le risorse sulle priorità, mettere al centro il lavoro e penso che i risultati record sull’occupazione dimostrano che si trattava della scelta giusta”. Quanto al piano straordinario chiesto da Confindustria: “Sono d’accordo, tanto che il governo sta lavorando già insieme al settore produttivo e alle parti sociali per una politica industriale di medio e lungo periodo”. Ma poi ammette: “Penso si debba procedere in modo più spedito e mi prendo l’impegno personalmente ad occuparmene. Ci sono cose che si possono fare più velocemente”. Anche sulla gestione pasticciata della spinosissima questione ex Ilva, che proprio ieri Orsini ha stigmatizzato (‘’non possiamo perdere l’acciaio’’), tradisce qualche imbarazzo, ma si limita a ripetere ‘’l’abbiamo ereditata’’.

Poi passa subito a prendersela  anche lei con l’Europa: con la burocrazia ottusa (‘’400 km di gazzette ufficiali, ‘’regolamentano il calibro dei fagioli’’, “tradiscono la patria del diritto romano’’, e insomma tutto l’armamentario di luogocomunismo sul tema), e con il green deal, di cui dice di tutto il male possibile.  In questo, va detto, supportata anche dalle critiche esposte poco prima dalla ‘’ cara amica’’, la presidente del parlamento europeo, Roberta Metsola, a sua volta intervenuta all’Assemblea confindustriale, e perfino più dura di Orsini nel bastonare il piano di transizione ecologica varato a suo tempo da Ursula von Der Leyen. Il Green deal, insomma, come nemico comune, capro espiatorio e responsabile di ogni male, che mette d’accordo Confindustria, Governo italiano e parlamento europeo, schierati compatti contro la Commissione Ue.

Meloni espone dettagliatamente da un lato i mali europei, dall’altro i presunti successi italiani, concludendo poi il suo intervento con una sorta di appello motivazionale: “Il mio messaggio per voi – dice rivolta agli industriali- è pensate in grande, perché l’Italia è grande. La prima cosa è crederci: pensate in grande perché io farò lo stesso”. Più tardi, Orsini si dirà soddisfatto: è stato ‘’un confronto franco’’, ‘’abbiamo lanciato le nostre proposte per un piano industriale straordinario per l’Italia e per l’Europa e dall’altra parte abbiamo avuto risposte positive”. Il dialogo col governo sul piano straordinario, insomma, secondo il leader confindustriale quanto meno è aperto. Ma se poi si concluderà con qualcosa di concreto per rilanciare l’economia e l’industria, lo scopriremo solo vivendo.

Nunzia Penelope

 



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