Non mancano i fondi, mancano le condizioni per usarli. È questa, in sintesi, la fotografia di un Mezzogiorno che continua ad essere al centro delle politiche di sviluppo italiane, ma dove troppo spesso le opportunità si perdono nei meandri della burocrazia e della disinformazione. Un paradosso che pesa sul futuro economico del Sud e che impone una riflessione profonda sui modelli di supporto alle imprese.
Nel 2024, ad esempio, il credito d’imposta ZES Unica ha messo a disposizione circa 1,8 miliardi di euro per incentivare gli investimenti nelle regioni meridionali. Per il 2025, la cifra salirà a 2,2 miliardi. Eppure, secondo i dati ufficiali, una parte significativa di questi fondi è rimasta inutilizzata. Una tendenza simile si registra anche per il Piano Transizione 5.0, con 6,3 miliardi di euro disponibili nel biennio 2024-2025 per promuovere digitalizzazione e sostenibilità: centinaia di milioni, però, non sono stati ancora allocati.
A questi strumenti si aggiunge il Fondo Nuove Competenze, che prevede 731 milioni per la formazione dei lavoratori, ma che fatica a decollare nel Sud. In teoria, dunque, esistono le risorse per rilanciare il tessuto produttivo del Mezzogiorno. In pratica, qualcosa si inceppa.
Il nodo: un modello da ripensare
“Il problema – spiega Antonio Testa, Ceo della società campana Generazione AI – non è solo burocratico o informativo. Le imprese hanno bisogno di partner strategici capaci di leggere i loro bisogni reali, progettare soluzioni su misura e tradurre le opportunità in sviluppo concreto”. Secondo Testa, l’errore più comune è affidarsi a consulenze frammentate, che si limitano a illustrare le misure senza fornire un percorso integrato.
Serve un approccio multidisciplinare, in grado di unire conoscenza normativa, capacità progettuale e visione d’impresa. Un esempio concreto? “Nel 2024 abbiamo gestito oltre 60 milioni di euro di investimenti ZES per conto delle imprese clienti – racconta Testa – grazie a un lavoro che ha unito analisi strategica, sviluppo di progetti e costruzione di network virtuosi”.
Le opportunità ci sono, ma vanno rese visibili
Il problema è anche comunicativo. “Spesso gli imprenditori non sono nemmeno a conoscenza dei fondi a disposizione – continua Testa – e questo è un enorme limite per il rilancio del Sud”. Con il credito ZES, ad esempio, una azienda manifatturiera che investe in un nuovo macchinario può ottenere un credito d’imposta fino al 50%. Con il Piano Transizione 5.0, una azienda agroalimentare che introduce tecnologie IoT e software di intelligenza artificiale per monitorare i consumi energetici può ricevere un credito d’imposta proporzionale al risparmio ottenuto.
Il Sud può ripartire da sé
“La vera scommessa – conclude Testa – è incentivare innovazione, crescita sostenibile e sviluppo dell’imprenditoria meridionale. Il Sud può e deve ripartire dal Sud, facendo leva su competenze presenti sul territorio, su modelli di accompagnamento evoluti e su una visione industriale condivisa”.
Il paradosso del Sud, dunque, non è solo questione di fondi non spesi. È un nodo più profondo, che chiama in causa politiche industriali, capacità di fare rete e l’urgenza di un cambio di paradigma nel rapporto tra impresa e istituzioni. I soldi ci sono. Le idee anche. Ora è tempo di passare all’azione.
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