Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

La potenza di fuoco della finanza agevolata andrebbe massimizzata quando le imprese sono propense a investire


Claudio Calvani

di Claudio Calvani
partner Vitale, amministratore delegato
Vitale Debt & Grant

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sintesi dell’intervento al convegno dello scorso 20 maggio a Palazzo Madama, sede del Senato, “LIquidità alle imprese. Passagio generazionale e bilanci sostenibili. ESG: come ottimizzare il rapporto tra investitori e aziende” (si veda qui il post LInkedin)

La finanza pubblica, specialmente quella agevolata, presenta un potenziale inespresso che potrebbe essere valorizzato appieno con la previsione di regimi di aiuti più sostanziosi, strutturali e meno limitanti nei meccanismi di funzionamento. Gli interventi lungo queste direttrici si tradurrebbero sicuramente in un effetto leva sugli investimenti delle imprese, generando esternalità positive per l’intero sstema Paese.

Qualcosa è già stato fatto, ma non è ancora sufficiente. Si pensi ad esempio al regime de minimis, nato per facilitare e semplificare l’erogazione di aiuti finanziari di importo ridotto alle imprese bypassando le complesse procedure di autorizzazione della Commissione Europea: dal 1° gennaio 2024 il nuovo Regolamento UE n. 2831/2023 ha innalzato da 200 mila euro (previsti dal precedente Regolamento UE n. 1407/2013) a 300 mila euro il plafond di aiuti fruibili dalle imprese, da calcolare adesso nell’arco di un triennio su base mobile (rolling basis) e non più di tre esercizi finanziari (quello in corso e i due precedenti).

Resta però il concetto di “impresa unica”, secondo cui il plafond di 300 mila euro è da intendersi non per singola impresa, bensì condiviso con le proprie imprese collegate: un aspetto che non va sottovalutato, perché penalizza le imprese appartenenti a dei gruppi, specialmente laddove il raccordo non è di natura industriale, ma avviene per il tramite di investitori istituzionali o qualificati come i fondi di private equity, seppur con le dovute eccezioni. L’auspicio è che una prossima riforma possa ulteriormente incrementare il massimale di aiuti e contestualmente porre rimedio a qualche “cortocircuito” dell’attuale normativa comunitaria.

Più in generale ritengo che, specie in uno scenario macroeconomico e geopolitico gravemente perturbato da una serie di congiunture avverse, dovute a fattori tipicamente esogeni, le imprese necessitino di un framework di aiuti chiaro e strutturale su cui poter contare come leva per la crescita e gli investimenti, sempre più spesso indirizzati anche su tematiche centrali per l’agenda politica europea, come la digitalizzazione e la transizione ecologica, e quindi a maggior ragione da incentivare.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Sebbene siano stati indubbiamente fondamentali per sostenere il tessuto produttivo, i Quadri Temporanei di Aiuto, tra cui si ricordano i temporary framework istituiti prima per la pandemia, poi per il conflitto russo ucraino e il caro-energia, nascevano nella prospettiva di fornire un ristoro alle imprese in situazioni di criticità che avevano già manifestato i propri effetti negativi, scontando quindi anche un certo ritardo e, paradossalmente, un disallineamento tra gli obiettivi che perseguivano e le reali esigenze delle imprese nel momento in cui potevano effettivamente fruire delle agevolazioni.

A mio avviso, l’UE dovrebbe massimizzare la potenza di fuoco della finanza pubblica ed agevolata non soltanto in circostanze straordinarie, bensì anche e soprattutto in scenari meno incerti, in cui le imprese guardano al futuro con maggior fiducia e sono maggiormente propense a investire, innovare e crescere. Ne trarrebbero notevoli benefici i tessuti imprenditoriali di tutta Europa, compresa l’Italia, dove il risiko bancario in corso rischia di indebolire il credito alle pmi, i risparmi privati faticano a defluire verso le imprese e la quotazione è una strada ancora poco percorsa.



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