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Meloni a Confindustria: «Pensare in grande», in un vicolo cieco


All’assemblea annuale di Confindustria ieri Giorgia Meloni ha detto di «pensare in grande». Ma, ascoltando la relazione del presidente degli industriali Emanuele Orsini, avrà pensato che grandi sono le critiche a un governo che ieri sembrava un turista passato per caso al Teatro EuropAuditorium di Bologna.

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ORSINI HA ELENCATO almeno tre problemi che tolgono l’aria a Meloni. Il patto europeo di stabilità che impedisce gli investimenti, il lavoro povero e il costo dell’energia che mette in ginocchio le imprese. Il primo è stato firmato dall’attuale governo e ha riportato il paese nella gabbia dell’austerità. Il secondo è perso nel mare della propaganda. Il terzo è lo specchio dell’impotenza sul problema del disaccoppiamento del prezzo dell’energia da quello del gas. Ieri Meloni ha riconosciuto di avere gettato dalla finestra «60 miliardi». Ha parlato di «nucleare». Ma l’unica cosa concreta che ha detto a Orsini è di partecipare a un concorso di idee su come risolvere il problema. Potrebbe varare una tassa sugli extra-profitti. Le aziende energetiche avrebbero guadagnato 70 miliardi. Ma mai parlare di tasse a chi batte cassa al governo.

SUL PATTO DI STABILITÀ Orsini ha criticato la clausola a suo tempo presentata da Meloni e Giorgetti come una vittoria: lo scorporo delle spese militari dal calcolo del debito e del deficit. Lo stesso sul quale è basata una parte cospicua del riarmo europeo. Nel frattempo, Meloni si è accorta che la clausola comporta un aumento di deficit e debito. La stessa Commissione Ue può punire l’Italia perché sfora i suoi parametri.Un vicolo cieco.

«NON È POSSIBILE – ha detto Orsini – che l’unica eccezione per sforare il patto di stabilità sia relativa alla spesa per la difesa. La nostra idea è diversa. Il patto di stabilità e crescita deve consentire un grande piano di sostegno agli investimenti dell’industria, in ogni paese europeo. Altrimenti, non è un patto per la stabilità e la crescita. È un patto per il declino dell’Europa». È proprio così. Ma quel patto lo ha firmato il governo in carica, lo stesso che si mangia le mani per avere festeggiato una Caporetto per una vittoria. È il rischio di chi «pensa in grande».

ORSINI SI È DETTO preoccupato da i 26 mesi di calo consecutivi della produzione industriale. Parla di «deindustrializzazione». Un processo sul quale il governo gira a vuoto. Ieri Meloni ha detto che è colpa del «Green Deal» europeo, e dei «dazi interni». Espressione alquanto imprecisa usata da Mario Draghi per chiedere a Bruxelles di fare meno regole sui fagioli e dare più forza agli spiriti animali delle imprese. Le stesse che elemosinano dal governo.

OTTO MILIARDI DI EURO in «investimenti» alle imprese ogni anno, per il prossimo triennio-sono stati chiesti da Confindustria. Fanno 24 miliardi da versare nei contratti di sviluppo e nel progetto «industria 4.0 potenziata». Per orsini dovrebbero essere sufficienti per riportare la crescita del Pil addirittura al 2%. Qualche dubbio sulla plausibilità di questa ipotesi dev’essere venuto anche a Orsini che ha chiesto a Meloni di perorare la causa di un «Next Generation EU» per l’industria. Meloni ha detto che ne parlerà con la presidente della Commissione Ue von der Leyen. Si resta in attesa del cancelliere Merz con il quale Meloni sostiene di avere una buona intesa, La Germania si altera quando si tratta di dare soldi agli altri, e non alla propria industria in crisi. Più che altro il problema è il patto di stabilità criticato da Orsini. Uno dei suoi effetti è bloccare gli investimenti.

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SENZA CONTARE IL FATTO che i soldi, a disposizione, l’Italia non riesce a spenderli. Anche per questo si pensa di usare i soldi del Pnrr e dei fondi per la coesione, stanziati per tutt’altro, e ora richiesti da Confindustria. Ormai è dato per certo il fallimento del famoso piano. Guarda caso Meloni & Co. hanno parlato di «25 miliardi» per un piano anti-dazi di Trump. Ma potrebbero risultare anche come gli «investimenti» chiesti da Orsini. Un gioco delle tre carte, ma «in grande».

IL LATO OSCURO del record dell’occupazione, vantato da Meloni, è stato mostrato da Orsini che ha parlato dei bassi salari, un altro problema sul quale Meloni fa finta di non sentire. L’occupazione «per ora tiene», ma senza un rilancio dell’economia, questa tendenza può cambiare. Con i dazi di Trump che incombono. «Due imprese su tre – ha detto Orsini – stanno trattenendo i propri dipendenti nonostante il calo dell’attività. Ma per quanto potremo ancora farlo?». Orsini ha offerto ai sindacati la collaborazione contro i «contratti pirata» e «per alzare le retribuzioni nell’industria». Si potrebbe iniziare da quello dei metalmeccanici, per esempio. Il segretario della Fiom Michele De Palma ha detto che, «se entro il 30 maggio non si riapriranno le trattative, non ci sarà decreto sicurezza che tenga, occuperemo le strade per portare avanti le nostre ragioni».



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