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Bruxelles accelera: meno burocrazia, più innovazione
L’Unione Europea ha deciso che il tempo della timidezza è finito. La parola d’ordine è “semplificare per competere”. Non è uno slogan, ma la linea strategica impressa dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen (foto), in vista del varo del nuovo piano “Choose Europe”. Un’iniziativa che segna uno scarto netto con il passato: obiettivo dichiarato è quello di fare dell’Europa una terra d’elezione per start-up, scale-up e talenti globali.
“Vogliamo che scienziati, imprenditori e innovatori scelgano l’Europa non solo per partire, ma per restare e crescere”, ha detto von der Leyen in una dichiarazione rilasciata a Bruxelles. E, se le parole sono chiare, i numeri e le misure concrete lo sono ancora di più.
Dati allarmanti: fuga di unicorni, dominio americano
Tra il 2008 e il 2021 quasi il 30% delle start-up europee diventate “unicorni” (cioè con una valutazione superiore al miliardo di euro) ha trasferito la propria sede legale fuori dall’Ue, soprattutto negli Stati Uniti. Oggi, il 60% delle scale-up globali ha sede in Nord America, mentre solo l’8% si trova in Europa.
Un’emorragia che ha radici precise: frammentazione normativa, barriere invisibili tra gli Stati membri, accesso limitato ai capitali, resistenza al rischio da parte degli investitori, una burocrazia spesso soffocante. È il motivo per cui la Commissione ha deciso di intervenire in modo strutturale.
Ventottesimo regime e fondi europei: così Bruxelles vuole trattenere le imprese
Nel cuore del piano c’è il cosiddetto “ventottesimo regime”: un set di regole comuni, sovranazionali, che le start-up potranno adottare volontariamente per nascere, operare e crescere in tutta l’Unione. Un sistema pensato per bypassare la frammentazione dei 27 ordinamenti nazionali, che troppo spesso agisce come un freno allo sviluppo.
Accanto alla leva normativa, c’è quella finanziaria. Lo “Scaleup Europe Fund”, operativo dal 2026, sarà il primo fondo pubblico-privato paneuropeo per sostenere la crescita delle tech company. A questo si aggiungerà il nuovo “Innovation Investment Pact”, un patto con investitori istituzionali per veicolare capitali in infrastrutture strategiche e fondi dedicati.
Secondo un documento interno della Commissione visionato da Politico, si punta a mobilitare circa 10 miliardi di euro entro il 2027. E non solo: tra le misure previste anche una revisione delle norme sugli aiuti di Stato, bandi pubblici più accessibili alle PMI innovative, e piattaforme digitali per l’interconnessione tra ecosistemi nazionali.
Meloni: “Siamo noi a sabotarci, l’Ue rimuova i propri dazi”
Ma c’è chi, come Giorgia Meloni, ritiene che tutto questo non basti. Dal palco dell’assemblea generale di Confindustria, a Bologna, la presidente del Consiglio ha lanciato un messaggio durissimo: “L’Europa deve rimuovere i dazi interni che si è autoimposta. È il momento di rompere le catene che ci legano da soli”.
Citava dati allarmanti del Fondo monetario internazionale: vendere un bene all’interno dell’Unione comporta un sovraccosto medio equivalente a una tariffa del 45%, più del triplo rispetto agli Stati Uniti (15%). Per i servizi, la situazione è ancora peggiore: il 110%.
Queste parole riecheggiano quelle di Enrico Letta e Mario Draghi, i cui report – rispettivamente sulla competitività del mercato interno e sul futuro della finanza pubblica europea – sono stati fondamentali per aprire il cantiere delle riforme nel 2024.
Séjourné e il pacchetto small mid-caps: “Avanti tutta”
Stéphane Séjourné, vicepresidente della Commissione e responsabile per l’Industria, ha presentato il 22 maggio il quarto pacchetto di semplificazione, stimato in 400 milioni di euro di risparmi per le imprese. Tra i principali beneficiari ci saranno le “small mid-caps”, aziende troppo grandi per accedere ai regimi agevolati delle PMI ma ancora troppo piccole per competere a pieno titolo nel mercato unico.
“Con queste misure allarghiamo la base della crescita e togliamo ostacoli alle imprese più dinamiche”, ha detto Séjourné durante una conferenza stampa a Strasburgo. “Dobbiamo passare da un’Europa delle regole a un’Europa del risultato”.
Il vento globale cambia: Bruxelles risponde a Trump e Pechino
Il contesto internazionale rende ancora più urgente la svolta. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha già fatto risalire la tensione sui dazi e sulle catene del valore globali. Pechino, intanto, continua a investire massicciamente nelle sue Big Tech e nell’high-tech di Stato. L’Europa si trova stretta tra due giganti aggressivi, ed è chiamata a giocare una partita in casa propria: quella della competitività e della sovranità industriale.
Come ha dichiarato von der Leyen durante il convegno “Future Made in Europe”: “L’innovazione non è un lusso, è una necessità. E dobbiamo fare in modo che sia la nostra necessità, non quella di altri”.
Serve un cambio culturale: innovazione come diritto, non come concessione
Ma a pesare, ancora oggi, è anche un deficit culturale. In Europa l’innovazione è spesso percepita come un rischio più che un’opportunità. L’insuccesso imprenditoriale è visto come un fallimento definitivo, e non come parte di un processo evolutivo.
Su questo punto insistono da anni esperti e think tank, come Bruegel e il CERRE, che chiedono da tempo un radicale cambio di paradigma. Non basta creare strumenti finanziari e leggi più agili, se non si promuove una cultura dell’intrapresa e del rischio controllato.
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