Secondo vertice tecnico fra Unicredit e governo al tavolo del Golden Power, previsto dal Dpcm del 18 aprile, all’interno del monitoraggio del Mef in relazione all’Ops su Bpm. Unicredit spinge per dimostrare che tre delle quattro prescrizioni poggiano su presupposti sbagliati, qualcuno contro legem. Le prescrizioni vengono considerate “impossibili”. «Se non è possibile arrivare a una rimozione totale delle prescrizioni, ci sono le condizioni per una loro mitigazione che potrebbero rendere più fattibile l’Offerta, almeno più conveniente economicamente», ha spiegato Andrea Orcel – che ieri era a Parigi per incontrare cinque investitori – a chi gli ha parlato. Da oggi Orcel è a Roma per il giro periodico con il network della banca.
Dopo il primo confronto tecnico, in presenza, di metà maggio al Mef, l’altra sera ci sarebbe stata una riunione da remoto fra il team legale di Gae Aulenti ei funzionari del Dica, il Dipartimento di Palazzo Chigi sulla salvaguardia degli assetti delle imprese operanti in ambiti ritenuti strategici e di interesse nazionale. Confronto a distanza di oltre un’ora, che si sarebbe tenuto in parallelo al vertice politico allargato in cui si sarebbe discusso di due dei Golden Power più spinosi del momento: Unicredit e Pirelli alle prese con il primo socio Sinochem.
Il negoziato bancario sta scaldando il governo dove ci sono posizioni differenziate. «Dovremo dare una risposta alle osservazioni di Unicredit» ha detto ieri Giancarlo Giorgetti, che sulle prescrizioni, ha ribadito di non cedere di un millimetro, rispetto alle argomentazioni esposte da Unicredit mentre Forza Italia vorrebbe ridiscutere l’intero pacchetto con un nuovo decreto.
I TEOREMI
«Sono tutti teoremi, ma riusciremo a smontarli» ha detto ancora il banchiere romano agli interlocutori. Unicredit ha fatto ricorso al Tar, la prima udienza il 4 giugno. Sul piano generale le prescrizioni del governo rischiando di esautorare le funzioni della Bce che ha la responsabilità di vigilare sugli intermediari: i paletti posti dal decreto indeboliscono i controlli sulla gestione con una modalità che esula dal potere di Francoforte.
Il primo tavolo – il cosiddetto Loan Deposit Ratio (LDR) – riguarda la tutela dell’attivo coinvolto, «strategico per la sicurezza nazionale evitando possibili compensazioni fra le politiche di credito delle due banche». Nelle carte consegnate dai rappresentanti di Gae Aulenti si legge: «Imporre a UniCredit il mantenimento del rapporto prestiti/depositi modificherebbe in modo significativo la sua prudente gestione della liquidità. Il rapporto I/D di BPM è superiore al 120%, rispetto a quello di UniCredit, che è sostanzialmente in linea con la media del sistema bancario italiano (94%). Un rapporto prestiti/depositi significativamente superiore al 100% indica una dipendenza da fonti di finanziamento più costose e rischiose rispetto ai depositi della clientela. In generale, un I/D elevato può essere correlato a un aumento del rischio di liquidità, soprattutto in periodi di tensione sui mercati o di incertezza geopolitica».
L’altro punto contestato è l’obbligo «di mantenimento del peso attuale degli investimenti di Anima holding spa in titoli degli emittenti italiani». Questo vincolo, per Orcel, si scontra con la Mifid, che è una direttiva europea tendente a creare un mercato finanziario più integrato e concorrenziale, ma soprattutto punta a proteggere gli investitori ei risparmiatori. In altre parole non poter muovere gli investimenti per cinque anni in Btp (per esempio) potrebbe rivelarsi dannoso per i clienti: in caso di tensione sui mercati, con impennate degli spread, un gestore sarebbe nell’impossibilità di trasferire i soldi dei clienti verso titoli più convenienti. Questo blocco andrebbe a danneggiare la clientela che si potrebbe rivalere sulla banca, visto che il cliente è estraneo al golden power. Oppure la permanenza di questo paletto potrebbe creare un’emorragia di investimenti perché comunque il risparmiatore potrà disporre in qualunque momento dei propri denari e depositarli presso concorrenti.
Terzo ed ultimo punto l’uscita dalla Russia entro il 18 gennaio 2026. Ci sarebbero norme di Mosca che impediscono a Unicredit di potersi disimpegnare facilmente senza incorrere in pesanti penali (potrebbero ammontare fino a 10 miliardi).
Su tutto incombe la Dg comp Ue che, tra qualche giorno, potrebbe chiedere ulteriori informazioni ed entrare in partita.
Rosario Dimito
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