La seconda amministrazione Trump sta rimodellando il panorama macrofinanziario globale. Ha iniziato in questi mesi con una politica commerciale ancora più aggressiva rispetto al suo primo mandato. Questo approccio è culminato nel cosiddetto “Liberation Day” del 2 aprile, che ha acuito le tensioni geopolitiche e, rompendo la storica fiducia internazionale, ha innescato un indebolimento del dollaro statunitense. Anche dopo la conseguente moratoria di 90 giorni sui dazi “reciproci”, Washington ha comunque mantenuto una tariffa di base del 10% generalizzato: si tratta di un’aliquota cinque volte superiore alla precedente che era in linea con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Inoltre, le prime indicazioni provenienti dai negoziati commerciali in corso con la Cina e il Regno Unito suggeriscono che i dazi potrebbero aumentare ulteriormente con il progredire dei colloqui, mentre i negoziati con l’UE sono in fase di stallo e appaiono più difficili.
A seguito di questi sviluppi politici, al centro dell’attuale dibattito sull’evoluzione della governance globale si trova la traiettoria della politica tariffaria statunitense. Tuttavia, riteniamo che questo dibattito colga solo una piccola parte dell’aggiustamento strutturale che gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump puntano a realizzare. Infatti, questo aggiustamento è incentrato su un più ampio cambiamento strategico volto a riequilibrare la bilancia dei pagamenti (BdP) complessiva del Paese. L’approccio statunitense, infatti, cerca fondamentalmente di ridurre la dipendenza dagli afflussi di capitale finanziario straniero, migliorando così la posizione patrimoniale verso l’estero degli USA (che è peggiorata di oltre 10mila miliardi di dollari negli ultimi cinque anni) e riducendo al contempo il disavanzo commerciale. Allo stesso tempo, c’è la volontà di ridurre il deficit fiscale, che, considerando il recente livello di indebitamento federale, rischia di diventare una fonte di instabilità politica ed economica a livello nazionale.
Per risolvere questi squilibri, tuttavia, è necessario convincere gli investitori statunitensi a investire di più in attività finanziarie estere e, allo stesso tempo, far sì che gli investitori stranieri acquistino meno asset statunitensi (ad esempio, titoli di Stato o azioni), attraendo nel Paese maggiori investimenti diretti esteri greenfield. Il tutto cercando di mantenere il “privilegio esorbitante” del dominio del dollaro nel sistema finanziario internazionale.
Una nuova strategia finanziaria digitale
Non sappiamo se l’amministrazione Trump sarà in grado di raggiungere questo ambizioso obiettivo, ma le prime mosse nel campo dei sistemi di pagamento digitali, che avvengono lontano dai riflettori al momento concentrati solo sui dazi, sembrano coerenti con questa strategia di affrontare gli squilibri interni.
Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno iniziato a ridisegnare in modo radicale il panorama delle politiche in materia di asset digitali, con la convergenza di legislatori e Casa Bianca su un’agenda a favore delle stablecoin, ovvero valute digitali il cui valore è ancorato a un altro asset, in particolare, nel caso di specie, stablecoin legate in un rapporto di 1:1 allo stesso dollaro americano. In particolare, due importanti iniziative definiscono la nuova strategia finanziaria digitale del Paese: l’ordine esecutivo 14178 del presidente Trump, firmato a gennaio, e il GENIUS Act, una legge bipartisan recentemente approvata dal Senato. Insieme esse segnalano un cambiamento nel modo in cui Washington intende impegnarsi con il mercato delle stablecoin, in rapida crescita e dal valore attuale di 160 miliardi di dollari.
L’ordine esecutivo di Trump “Strengthening American Leadership in Digital Financial Technology” definisce il quadro del futuro sistema finanziario statunitense. Il provvedimento mira a incoraggiare la crescita e l’uso degli asset digitali, tra cui le criptovalute, le stablecoin e la tecnologia blockchain. In un nuovo mondo finanziario digitale la domanda da porsi è: qual è la valuta da utilizzare? L’ordine esecutivo fornisce l’attuale punto di vista di Washington. Citando i rischi per la libertà finanziaria, la privacy e la stabilità sistemica, il provvedimento presidenziale esclude inequivocabilmente la creazione o la promozione di una moneta digitale emessa dalla banca centrale (Central Bank Digital Currency, CBDC) in questo caso dalla Federal Reserve. Una soluzione, quella delle CBDC, di cui invece Cina, Unione europea, Regno Unito e Giappone si sono fatti promotori nelle rispettive giurisdizioni. Al contrario, l’amministrazione americana dà pieno sostegno esecutivo allo sviluppo di stablecoin private ancorate al valore del dollaro, una mossa vista da molti come strategica dal punto di vista economico e simbolica dal punto di vista politico.
L’ordine esecutivo sopramenzionato istituisce anche un nuovo gruppo di lavoro presidenziale sui mercati degli asset digitali, incaricato di fornire un quadro normativo completo entro sei mesi, prestando attenzione alla neutralità dal punto di vista tecnologico. Questo organismo si coordinerà tra il Tesoro, la Federal Reserve, la SEC, la CFTC e le autorità di regolamentazione bancaria per armonizzare la supervisione, incoraggiare l’innovazione e mitigare i rischi sistemici. In particolare, il provvedimento chiede alle agenzie di rivedere le norme esistenti in materia di asset digitali e di proporre una riduzione della regolamentazione laddove in conflitto con questa nuova visione della Casa Bianca.
Il GENIUS Act
Il secondo atto rilevante si concentra specificamente sulla nuova valuta digitale. L’iniziativa legislativa, che si concretizza nel Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins (GENIUS) Act, è stata approvata dal Senato il 20 maggio con un ampio sostegno bipartisan. La legge mira a creare un quadro giuridico duraturo per l’emissione, il sostegno e la circolazione delle stablecoin ed è ora all’esame della Camera dei rappresentanti per il via libera definitivo.
Le principali disposizioni prevedono la creazione di stablecoin supportate da riserve obbligatorie in dollari con un rapporto 1:1, costituite da contante o da altre attività liquide come, ma non esclusivamente, titoli del Tesoro statunitensi (Treasuries). È inoltre prevista la supervisione da parte delle autorità regolatorie federali e statali, nonché specifiche tutele per i detentori di stablecoin in caso di procedura fallimentare. In linea di principio, solo le banche e le cooperative di credito autorizzate potranno emettere stablecoin regolamentate, ma il permesso è esteso anche a soggetti non bancari purché in possesso di una licenza specifica. Le implicazioni per la stabilità dei mercati finanziari sono rilevanti e sono già state oggetto di discussione negli ultimi anni, in termini di funzionamento e meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Inoltre, mentre le stablecoin non sono consentite come riserve della Federal Reserve, almeno per il momento, le banche possono detenere e utilizzare le stablecoin a specifiche condizioni normative. D’altro canto, il Tesoro ha creato un fondo di riserva in bitcoin.
È importante notare che il disegno di legge vieta agli emittenti stranieri di operare sul mercato statunitense a meno che non rispettino i rigorosi standard nazionali nel tentativo di prevenire l’arbitraggio normativo e di sostenere la sicurezza nazionale. Il GENIUS Act vieta inoltre alla maggior parte delle società quotate in borsa di emettere le proprie stablecoin. Sebbene la mossa appaia finalizzata a prevenire il tipo di concentrazione di potere finanziario che in passato ha riguardato il progetto Diem di Meta, ora defunto, la normativa consente tuttavia alle Big Tech di entrare in questo mercato, a patto che le aziende siano in grado di soddisfare rigorose soglie operative e di governance. È chiaro che quest’ultimo elemento potrebbe creare un potente canale attraverso il quale le stablecoin denominate in dollari potrebbero essere veicolate a livello globale, in particolare se diventassero la valuta digitale di riferimento per le transazioni online, con profonde implicazioni sia per il sistema finanziario che per quello dei pagamenti internazionali.
Le implicazioni
Concentrarsi sulle stablecoin garantite dai Treasuries statunitensi e da altri titoli nazionali avrebbe una serie di effetti positivi per gli Stati Uniti in termini di adeguamento della BdP richiesto. Da un lato, nella misura in cui questi asset digitali si affiancano al dollaro (fisico) come mezzo di pagamento, la loro introduzione manterrà il dollaro come valuta di riferimento a livello globale. Dall’altro lato, un’ampia adozione delle stablecoin stabilizzerà la domanda di Treasuries, assorbendo una parte delle nuove emissioni di debito che il governo americano dovrà comunque fare, in particolare per le scadenze brevi. Inoltre, questa domanda sarà nelle mani delle società autorizzate (solo americane) a emettere le stablecoin, aumentando quindi implicitamente la domanda interna di titoli di Stato. Infine, poiché le stablecoin non sono legate 1:1 al dollaro fisico, ma a un basket di attività liquide denominate in dollari (tra cui appunto i Treasuries), un maggiore utilizzo di stablecoin potrebbe alleviare la pressione sulla domanda di valuta reale, consentendo al dollaro di deprezzarsi pur mantenendo (attraverso le stablecoin) il dominio nei sistemi di pagamento internazionali.
Queste mosse non sono prive di controversie sia a livello interno che internazionale. Negli Stati Uniti, nonostante il forte impulso legislativo, alcuni esponenti democratici hanno sollevato preoccupazioni di carattere etico per i legami personali e familiari del presidente Trump con le imprese legate al commercio di criptovalute, in particolare attraverso veicoli di investimento affiliati che hanno già emesso stablecoin (ad esempio, USD1). Altri temono che il disegno di legge non si spinga abbastanza in là nell’affrontare i rischi di protezione dei consumatori e di antiriciclaggio. Gruppi di advocacy hanno chiesto poteri di supervisione più forti e salvaguardie più esplicite per la privacy. Tuttavia, con un risultato di 66 a 32 voti al Senato e un certo ottimismo alla Camera, il GENIUS Act sembra ora pronto a essere approvato, probabilmente con alcune concessioni durante il processo finale di riconciliazione tra Camera e Senato.
A livello internazionale, non è ancora chiaro come i mercati finanziari e gli altri Paesi reagiranno a una spinta verso le stablecoin denominate in dollari. L’imminente riunione del G7 che si terrà a metà giugno in Canada, dove dovrebbero essere discusse le questioni relative ai sistemi di pagamento internazionali a livello commerciale e finanziario, sarà un test significativo in questa direzione.
Oggi il 55-60% degli scambi di beni e servizi è denominato in dollari, con cifre più elevate (oltre l’80%) per le transazioni finanziarie internazionali. Il circuito principalmente utilizzato per queste transazioni è il sistema di messaggistica interbancaria SWIFT, altamente influenzato dagli Stati Uniti per via del ruolo centrale del dollaro. Il sistema, quindi, crea implicitamente una domanda internazionale di titoli di Stato americani, che fungono da collaterale, anche perché tradizionalmente asset “privi di rischio” (almeno fino a poco tempo fa). L’introduzione di stablecoin ancorate al dollaro non ridurrebbe il ruolo di collaterale dei Treasuries, visto che comunque questi entrano nella produzione della valuta digitale, ma sposterebbe la loro domanda nelle mani di attori statunitensi.
CBDC: le alternative digitali straniere
I Paesi al di fuori degli Stati Uniti, tuttavia, hanno a disposizione un’altra alternativa digitale ai pagamenti, ovvero la CBDC. Questi asset digitali “ufficiali”, anch’essi basati sulla tecnologia distributed-ledger, sono emessi direttamente dalle banche centrali (quindi sono a tutti gli effetti moneta) e sono in linea di principio in grado di disintermediare l’uso del dollaro, e quindi la sottostante domanda di Treasuries, nel sistema di pagamenti internazionale.
Alcuni sviluppi in questa direzione sono già in corso in Cina. Il Paese sta implementando un sistema alternativo a SWIFT, chiamato CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), in linea di principio per evitare possibili blocchi o sanzioni come già subito dalla Russia, ma anche per diffondere ulteriormente l’uso dello yuan digitale come valuta per il regolamento delle transazioni. Dati recenti della State Administration of Foreign Exchange (SAFE) mostrano che individui ed entità cinesi hanno utilizzato lo yuan digitale nel 54,3% delle loro transazioni transfrontaliere per un totale di 724,9 miliardi di dollari. A marzo gli scambi in valuta statunitense sono scesi al 41,4% del totale, rispetto a oltre il 70% del 2018, affrancandosi così progressivamente dal sistema SWIFT. È interessante notare che i tempi di regolamento delle transazioni sono passati da 5 giorni (tramite SWIFT) a 7 secondi (tramite CIPS). E grazie a questo regolamento istantaneo le transazioni non necessitano di collaterale (ad esempio, il Treasury).
Quest’ultimo sviluppo evidenzia l’importanza strategica della “battaglia” tra stablecoin e CBDC per il futuro del sistema di pagamento internazionale. Gli analisti concordano sul fatto che la duplice strategia degli Stati Uniti, che rifiutano le CBDC e promuovono le stablecoin private strettamente regolamentate, potrebbe catalizzare un momento di “Bretton Woods digitale”, orientando il nuovo equilibrio finanziario globale verso un’infrastruttura finanziaria digitale radicata negli USA. Gli operatori di mercato sembrano essere d’accordo: nelle ultime settimane l’interesse del venture capital per le piattaforme di stablecoin è aumentato.
Con un mercato delle stablecoin che si prevede raggiungerà i 2.500 miliardi di dollari entro il 2030, Washington si sta muovendo con decisione per sfruttare questo spazio. Allo stesso tempo, questi sviluppi forniscono alla Casa Bianca uno strumento potenzialmente in grado di favorire i necessari aggiustamenti della bilancia dei pagamenti, creando un certo spazio per un deprezzamento del dollaro e mantenendo al contempo la posizione dominante nel sistema finanziario internazionale.
In quest’ottica l’attuale dibattito sul commercio appare dunque di portata molto limitata. Le questioni in gioco sono più ampie poiché comprendono il quadro dei nuovi mercati finanziari per gli asset digitali, la proprietà e la governance della nuova infrastruttura finanziaria, nonché le interconnessioni normative e tecnologiche tra i Paesi. Ne consegue che, indipendentemente dai negoziati sui dazi, se non si raggiunge un accordo a livello di G7 e/o G20 su questi temi potrebbero sorgere nuove tensioni geopolitiche.
In altre parole, l’esito della “battaglia” tra stablecoin e CBDC, e il conseguente equilibrio in cui i diversi Paesi potrebbero utilizzare strumenti di pagamento bilateralmente diversi, determinerà probabilmente la forma e l’estensione della nuova governance economica globale.
La versione originale in inglese dell’articolo è accessibile a questo link.
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