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L’Europa è davanti a una svolta epocale, ma il monito di Draghi resta inascoltato


Lo sconvolgimento geopolitico ed economico innescato dalla presidenza Trump avrà un impatto profondo e duraturo sull’Unione europea, perché ha messo in luce le contraddizioni e le debolezze di un’architettura istituzionale ormai irrigidita, fondata su equilibri e aspirazioni risalenti al dopoguerra.

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Nel suo importante discorso a Coimbra, Mario Draghi ha offerto un’analisi lucida delle cause di questa paralisi e della svolta necessaria per evitare il declino economico del continente e il rischio che perda i propri valori e identità. Ritengo utile riprendere diffusamente le sue argomentazioni, tanto più rilevanti nel contesto attuale.

Circolo vizioso

La crisi del debito dell’Eurozona ha evidenziato la vulnerabilità dell’euro in assenza di una politica fiscale comune, aggravata dal circolo vizioso tra debito sovrano e sistema bancario all’origine della crisi finanziaria.

La risposta è stata l’austerità imposta dal Patto di stabilità, che ha però ridotto gli investimenti pubblici e privati, anche a causa dell’inasprimento dei requisiti patrimoniali imposto alle banche. Ne è seguita una contrazione del credito, un calo della produttività e della domanda interna. Le imprese, per sostenere la crescita, hanno così puntato sulle esportazioni, migliorando però la produttività esterna con una compressione dei salari.

Un modello economico dove la produttività langue e la crescita è trainata dal consumatore americano: 15 milioni di lavoratori europei dipendono oggi dall’export verso gli Stati Uniti, minacciato dalle tariffe di Donald Trump.

Bisogna dunque spezzare questo circolo vizioso rilanciando gli investimenti pubblici nei settori a più alto impatto sulla produttività, superando i vincoli del Patto di stabilità.

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Due segnali importanti

Due segnali importanti arrivano dalla decisione della Commissione di attivare la “clausola di salvaguardia” per la spesa in difesa e il maxi piano di investimenti pubblici annunciato dal governo tedesco, in rottura con la storica regola del pareggio di bilancio. La reazione positiva dei mercati conferma che gli investitori sono disposti a sottoscrivere nuovo debito pubblico se destinato a stimolare la crescita.

Tuttavia, non bastano gli investimenti pubblici per rafforzare la domanda interna europea: è essenziale abbattere le barriere che ostacolano il libero scambio all’interno dell’Unione.

La frammentazione del mercato dovuta a regolamenti, concessioni, sussidi, burocrazia, diritto del lavoro, fiscalità differenti, nonché l’intervento diretto dei governi nelle decisioni e nella struttura proprietaria delle imprese, rappresentano un forte ostacolo alla creazione di un vero mercato unico.

Mercato unico

Superare la frammentazione del mercato interno è, secondo Draghi, la seconda area cruciale di intervento. Un problema ancor più evidente nel settore finanziario, dove la mancanza di un’unione bancaria e di un mercato unico dei capitali impedisce di mobilitare il risparmio europeo, che così finisce per affluire negli Stati Uniti.

Si vuole l’unione bancaria, ma nei fatti i governi ostacolano le aggregazioni sulla base di logiche che esulano ogni razionalità economica: così il governo Italiano blocca l’offerta di Unicredit su Banco BPM, ma sostiene quella di MPS su Mediobanca; quello tedesco ostacola l’operazione Unicredit-Commerzbank; e lo spagnolo quella BBVA-Sabadell.

Manca un quadro normativo unificato per i mercati dei capitali e, soprattutto, manca un titolo di debito privo di rischio denominato in euro, con la liquidità e la profondità dei Treasury americani. La mutualizzazione del debito – come avvenuto con il Recovery Fund durante la pandemia – sarebbe anche il modo più efficace per crearlo, promuovendo in questo modo anche l’uso dell’euro come moneta di riserva internazionale.

Difesa ed energia

Difesa ed energia sono due ambiti nei quali lo shock esterno ha particolarmente messo in luce le fragilità strutturali dell’Europa. L’invasione russa dell’Ucraina, la minaccia della guerra ibrida, l’instabilità politica nel Nord Africa (vedi Libia), e il progressivo disimpegno degli Stati Uniti, rendono imprescindibile la costruzione di una difesa europea e di un’industria spaziale autonoma, cruciale per le comunicazioni e la sicurezza.

L’Europa possiede tutte le risorse necessarie per sostituirsi nel tempo al ruolo finora ricoperto dagli Stati Uniti: tecnologie avanzate, imprese competitive, risorse finanziarie, uomini e mezzi, capacità di ricerca. Tuttavia, anche in questo ambito prevale la frammentazione industriale e strategica, esito di nazionalismi che l’Unione non riesce a superare.

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Saldo e stralcio

 

Un discorso analogo si applica al settore dell’energia. Transizione ecologica, intelligenza artificiale, crescente domanda di refrigeramento per l’innalzamento delle temperature, alimentano una domanda crescente di elettrificazione. E la dipendenza dal gas russo ha reso evidente quanto siano elevati i rischi geopolitici per l’Europa. Corretto quindi che l’Unione punti sulle rinnovabili, non solo perché sostenibili, ma anche economicamente competitive e prodotte localmente.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, le rinnovabili coprono in media un quarto della domanda elettrica in Europa: 19 per cento in Italia, 21 in Germania, 25 in Spagna. Servono dunque massicci investimenti nella generazione, ma spesso frenati dalla burocrazia degli stessi governi che dovrebbero promuoverli.

L’attenzione si è concentrata sulla generazione, trascurando però gli investimenti necessari sulle reti di trasmissione, e la loro interconnessione, come dimostrato dal recente blackout spagnolo. Manca inoltre un accordo su quale debba essere la fonte stabilizzante del sistema elettrico, vista l’intermittenza delle rinnovabili: Germania e Italia fanno ricorso al gas e rifuggono dal nucleare, pur beneficiando delle interconnessioni con la Francia, dove il nucleare è predominante e si discute se possa o meno essere considerato una fonte “verde”.

Ciononostante il costo dell’energia per le imprese europee rimane eccessivamente penalizzante. Andrebbe rivisto il meccanismo di determinazione del prezzo dell’elettricità, ancorato a quello del gas. Analogamente, andrebbe ripensata la regolamentazione dei contratti futures sul gas, necessariamente utilizzati dai venditori di elettricità per coprirsi dalle fluttuazioni di prezzo, al fine di garantirne la trasparenza.

Manca una visione comune

Infine, la tecnologia. Draghi sottolinea come, dopo aver perso il treno di internet, l’Europa stia accumulando un ritardo incolmabile anche nelle quattro aree strategiche dell’intelligenza artificiale: cloud, supercalcolo, gestione e trasmissione dei dati, cybersicurezza.

Una conferma dell’incapacità sistemica del continente di innovare, anche dovuta alle protezioni garantite dai governi alle industrie esportatrici tradizionali – auto, macchinari, chimica, metallurgia, beni di consumo, alimentari e alcolici – che operano in settori a bassa produttività.

L’analisi di Draghi è rigorosa, esaustiva, condivisibile nei contenuti e nelle proposte per il rilancio economico dell’Europa. Ma sono forti le perplessità sulle reali possibilità di attuazione. Manca infatti la volontà politica e soprattutto una visione strategica comune.

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L’azione della Commissione europea è paralizzata dal diritto di veto, dalla necessità di compromessi continui tra gli stati membri e dal bisogno di ottenere comunque l’avallo delle principali potenze nazionali. Mentre in molti paesi europei cresce il consenso per le forze politiche che si rifanno a un nazionalismo incompatibile con il pensiero e l’approccio di Draghi.

Prendiamo il caso dell’Italia: quale forza politica, partito o leader, vorrebbe adottare il discorso di Draghi come proprio programma politico? Se ignoriamo le dichiarazioni, e guardiamo invece alle misure e interventi adottati dal nostro governo siamo all’antitesi. E non mi ricordo una chiara presa di posizione sui singoli temi toccati da Draghi da parte di nessuno dei nostri leader politici.

Se la spinta non viene dalla politica, quale grande imprenditore, banchiere, finanziere o associazione di categoria ha sostenuto apertamente le proposte di Draghi a costo di apparire antigovernativo? Ma se nemmeno la classe dirigente economica sostiene un programma tanto lucido quanto urgente, chi potrebbe farlo al suo posto?

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