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Federica e Romano Minozzi: «La finanza deve aiutare l’industria. La nostra ceramica? Sempre più premium e sostenibile


di
Francesca Gambarini

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Dialogo con il presidente e fondatore di Iris Ceramica e la figlia, ceo del gruppo che sta innovando con la fabbrica a idrogeno e l’applicazione decorativa ad acqua. Le quote nei big dell’energia: «Dividendi da reinvestire per lo sviluppo», dice il patron

Nella loro prima intervista «in coppia» dopo molti anni di lavoro fianco a fianco, Romano Minozzi, fondatore e presidente di Iris Ceramica Group, e la figlia Federica, che da oltre un ventennio lo affianca in ruoli dirigenziali e dal 2017 è ceo del gruppo, ammettono all’unisono che «siamo molto diversi, ma complementari». Federica, fresca della nomina di Cavaliere del Lavoro ricevuta venerdì 30 maggio, spiega meglio: «Vedere le cose da due punti di vista differenti aiuta ad avere una visione più completa. La soluzione che troviamo è migliore delle idee singole. E poi io sto ancora imparando tanto dal papà». «Siamo diversi, ma abbiamo un dialogo aperto, sistematico e continuo, siamo sempre a pranzo insieme», aggiunge Romano Minozzi.

La formula del «doppio timoniere», insieme a una taglia importante e a una solidità di bilanci e di strategie rafforzatisi nel tempo, consente al gruppo di Fiorano Modenese che produce lastre ceramiche premium di navigare con sicurezza nel mare di un’economia ancora incerta. «Il 2024 è stato un anno in leggero calo, circa del 10% — spiega Federica Minozzi —. Abbiamo chiuso a 400 milioni (bilancio consolidato, ndr), rispetto ai 430 del 2023. Le ragioni sono i mercati fermi, i tassi molto alti, e poi noi abbiamo fatto diversi ammortamenti importanti che hanno eroso l’utile. L’ebidta si attesta invece al 13%». 




















































Finanza al servizio dell’economia (e dell’ecologia)

L’investimento più corposo è sicuramente quello della prima fabbrica di ceramica al mondo alimentata a idrogeno, che il gruppo ha progettato insieme a Edison Next e costruito nel sito storico di Castellarano: fino a ora oltre 50 milioni. «La produzione è iniziata nel 2024, in continuità, con un blend del 7% di idrogeno verde prodotto con l’acqua piovana raccolta in cisterne sotterranee e con energia rinnovabile. Abbiamo già l’accordo per il nuovo elettrolizzatore», dice la ceo. Il progetto ha anche ottenuto un finanziamento da 3 milioni di euro dal Pnrr.
L’innovazione è sempre stata un traino per il gruppo che oggi conta 13 brand ed è presente in cento Paesi, sei gli stabilimenti, di cui due all’estero: in Tennessee per Stonepeak e in Germania per Porcelaingres. «La qualità del fatturato è migliorata — interviene ancora la ceo — perché il nostro prodotto è sempre più customizzato e di qualità. Stiamo puntando in maniera sempre più decisa sul mercato del lusso e sull’innovazione». 

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Un esempio sono i 50 milioni di euro investiti l’anno scorso su una linea all’avanguardia per l’applicazione decorativa che funziona ad acqua e non con i solventi. «Questa è la nostra sfida di sostenibilità oggi — interviene Romano Minozzi —. L’innovazione non si può fermare e non è facile farla tenendo alta la qualità e in un prodotto complesso come la ceramica. Quando nel 2020 partimmo con la sperimentazione di Active Surfaces, le superfici ceramiche ecoattive con proprietà legate al benessere e la sicurezza degli spazi, uno dei manager mi disse: “Ci costa un milione l’anno!”. Gli risposi: “Bene. Andiamo avanti. Non si preoccupi, al massimo quel milione lo metto io!”».

Minozzi senior, anno di nascita 1935, ricorda l’episodio con voce squillante e subito dopo precisa: «Per fare innovazione, almeno all’inizio, devi permettertelo. È costoso, poi diventa sostenibile. Ma devi avere le risorse». E per trovare molte di queste risorse Minozzi si è anche affidato negli anni a una vasta strategia di investimento nelle principali aziende italiane, dell’energia ma non solo, delle quali il gruppo e lo stesso Minozzi detengono quote importanti, dal 3% di Eni al 7% in Snam, a Terna e ancora, Generali e Poste. Ma il presidente spiega: «Non sono un Warren Buffet, sono un industriale della ceramica che usa la finanza per lo sviluppo e l’innovazione dell’azienda. Per me l’utile è sempre stato un “risparmio d’impresa” che ho investito sistematicamente nelle big —italiane, tengo a precisare — dell’energia, che producono dividendi fondamentali per la sicurezza finanziaria dell’azienda. Ho sempre detto a Federica che la finanza e l’economia sono due gemelle siamesi, senza l’una l’altra non sopravvive». Ma il ragionamento va ancora oltre: «La finanza non deve sopraffare l’economia reale — dice Romano Minozzi —. La ricchezza che produce dovrebbe essere reinvestita nella manifattura, nell’industria, che sono motore del Paese. Per questo penso che l’esempio di Iris possa essere utile, per tornare a correre. I sindaci dei comuni in cui lavoriamo sono collaborativi e felici di avere sul loro territorio una fabbrica così innovativa come quella a idrogeno. Le cose si possono fare, se si vuole».

Come sarà il 2025

Intanto, per il 2025 il gruppo vede numeri in crescita. «I primi quattro mesi sono andati bene, con ricavi in crescita del 3-4% — fa i conti Federica Minozzi —. Sicuramente l’incertezza sta bloccando molti distributori, ma noi stiamo anche aprendo nuovi canali, soprattutto nel lusso. Ci sono ottime prospettive con la nautica perché la ceramica premium è ormai vista come un’alternativa più leggera, durevole e sostenibile per le superfici degli yacht di lusso. C’è una nuova attenzione alla ceramica, che è una materia nobile e non è mai stata intesa come commodity da noi. Il mondo luxury è nei nostri obiettivi, mentre continuiamo la ricerca sulle materie prime, fondamentali per la migliore qualità del prodotto».
È una ricerca che spazia in tutto il mondo. Ora i caolini più pregiati, che venivano dall’Ucraina, sono stati sostituiti con quelli di nuove cave dalla Spagna e dall’Austria, il cobalto viene dal centro Africa e il felspati dalla Turchia
Restando all’estero, un’ultima battuta è sui dazi. «Per essere innovativi bisogna correre rischi. Ad esempio — conclude la ceo —, nella nostra azienda americana, dopo una riorganizzazione commerciale, stavamo valutando degli investimenti per la produzione. Ma dovremmo importare dall’Italia i macchinari e per questo ho aperto un dialogo con le autorità del Tennessee, per un accordo sulle tariffe».


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