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Pnrr, l’Italia spreca l’occasione: spesi solo un terzo dei fondi a disposizione. Veneto e Fvg arrancano


Incapaci di spendere, anche quando i soldi ce li danno gli altri. L’osservatorio Openpolis ci informa che, a poco più di un anno dalla scadenza del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, siamo riusciti a utilizzare appena un terzo dei fondi previsti.

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Che sono decisamente tanti: 191,5 miliardi di euro, di cui 68,9 a fondo perduto e 122,6 in prestiti. La spesa effettiva fin qui è stata di 66 miliardi; inoltre, per 25 misure del piano, per un importo complessivo di 33 miliardi, non ci sono ancora i progetti, malgrado le azioni previste vadano tutte compiute entro l’estate 2026; per quasi 5 mila progetti risultano pagati importi superiori a quelli finanziati. Per completare il quadro, il governo ha da poco inviato a Bruxelles l’ennesima richiesta di revisione del piano (quinta in meno due anni), senza fornire spiegazioni pubbliche del perché neppure in Parlamento.

Il Nord Est concorre per la sua quota-parte a questo opaco bilancio. Il Veneto può contare su 19 miliardi di risorse; finora i pagamenti sono stati pari al 35%. I progetti complessivi finanziati sono poco meno di 25 mila, la parte maggiore dei quali riguarda le infrastrutture (8.766), la digitalizzazione (5.546), e il capitolo scuola-università-ricerca (4.778). In termini di risorse assegnate, le quote più rilevanti sono assorbite da impresa e lavoro (945 miliardi), digitalizzazione (860) e inclusione sociale (400). Quanto al Friuli Venezia Giulia, l’ammontare complessivo è di 4,8 miliardi, dei quali ne risultano spesi il 22%. I progetti in agenda sono seimila, specie per infrastrutture (1.732), scuola-università-ricerca) e digitalizzazione (1.267). I finanziamenti più significativi si riferiscono a impresa e lavoro (828 miliardi), scuola-università-ricerca (738) e transizione ecologica (568).

La diagnosi di questa impietosa cartella clinica è inconfutabile: spendiamo poco e male le risorse di cui disponiamo; oltretutto con poca trasparenza proprio a proposito di Pnrr, come segnala Confindustria citando un esempio tra i tanti: la spesa effettiva fin qui sostenuta è di 14 miliardi, mentre il governo ne dichiara 17.

Le cause di questa malattia del sistema sono diverse, e più volte (inutilmente) segnalate: burocrazia che agisce da micidiale zavorra, tra regole intricate e tempi biblici; legislazione che in troppi casi rende problematico attuare i progetti per l’oscurità e la complessità delle norme; debito pubblico catastrofico (oltre tremila miliardi di euro) che assieme al peso del costo legato al pagamento degli interessi limita gli spazi di manovra; riforme strutturali in lista d’attesa da decenni, che compromettono gli investimenti necessari.

Più in generale, il vero ostacolo al salto di qualità fondamentale per la modernizzazione del Paese è rappresentato da una macchina pubblica obsoleta, inefficiente, refrattaria a ogni vera terapia. La denuncia più autorevole e significativa in tal senso viene da un “grande vecchio” quale Sabino Cassese: abbiamo una pubblica amministrazione fallimentare, che anziché essere al servizio dei cittadini, li opprime. Come dimostra uno dei tanti, troppi casi da lui citati: per aprire un semplice bar o una gelateria, servono fino a 72 adempimenti che coinvolgono 26 uffici, con un costo di 15 mila euro. Parole a vuoto, come quelle che un altro esperto di valore, Massimo Severo Giannini, proponeva in un rapporto sui problemi dell’amministrazione dello Stato. Era il 1980. Non abbiamo imparato proprio niente. —

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