Opportunità uniche acquisto in asta

 ribassi fino al 70%

 

Europa: come spendere per la difesa


Al di là delle polemiche sollevate dal ‘riarmo’ proposto dalla Commissione o dalle pressioni dell’amministrazione Trump, il cantiere della difesa europea non si ferma. Ma, in attesa degli sviluppi che potranno venire dai summit (NATO e UE) previsti alla fine di questo mese, a che punto siamo, soprattutto sul versante della spesa?

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

SAFE and sound

Per cominciare, é appena entrato in vigore il Regolamento UE relativo al meccanismo SAFE (Security Action for Europe) lanciato dalla Commissione come parte del piano ‘Defence Readiness 2030’ presentato alcune settimane fa. Il Regolamento attuativo, adottato dal Consiglio martedì scorso, offre alcuni chiarimenti supplementari sul modo in cui SAFE sosterrà – grazie ad una dotazione complessiva di 150 miliardi EUR per il triennio 2025-27 – la produzione e l’acquisizione congiunta di equipaggiamento e capacità militari da parte dei paesi europei.

Primo, il meccanismo metterà a disposizione prestiti a lungo termine (e a condizioni relativamente vantaggiose), su richiesta e sulla base di piani nazionali, a condizione che i fondi siano destinati ad almeno due paesi, uno dei quali dovrà essere membro dell’Unione. Altri destinatari di prestiti SAFE potranno essere l’Ucraina, i paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo e all’EFTA (Norvegia, Islanda e Svizzera), i candidati all’adesione (paesi balcanici e Turchia) e gli stati che abbiano firmato con l’UE partenariati su difesa e sicurezza: Di questi ora fa parte anche la Gran Bretagna, che dovrà tuttavia negoziare a parte la sua piena partecipazione al meccanismo perchè al di fuori del mercato unico.

Secondo, il Regolamento identifica due categorie di ‘prodotti’ finanziabili attraverso SAFE: tradizionale hardware militare (dalle munizioni ai carri, dalla logistica all’artiglieria di precisione) e cosiddetti “strategic enablers” (difese antimissile, droni, capacità satellitari e intelligenza artificiale), per i quali le condizioni di eleggibilità saranno più severe. Per entrambe le categorie, infine, la percentuale massima di componenti provenienti da altri paesi (come ad esempio gli Stati Uniti) non dovrà superare il 35 per cento dei costi previsti.

Naturalmente, SAFE è solo un tassello nel mosaico predisposto da Bruxelles per supportare la difesa europea – mosaico che comprende, fra l’altro, anche l’attivazione della ‘clausola di salvaguardia’ del Patto di Stabilità (che permetterà, sempre su richiesta e sempre fino al 2028, di ‘sfondare’ i limiti al deficit pubblico per un ammontare pari all’1,5 % del PIL) e l’eventuale riallocazione verso la difesa di risorse comunitarie provenienti dai fondi di coesione. Alla prevista scadenza del 30 aprile, 16 paesi (su 27) hanno notificato alla Commissione la loro intenzione di servirsi della clausola, a cominciare dalla Germania (a suo tempo contraria all’esenzione); non lo hanno invece fatto la Francia e, soprattutto, l’Italia (a suo tempo sostenitrice dell’esenzione), timorose di aggravare il debito nazionale e di mettere a rischio il loro rating, mentre la Spagna ha chiesto più tempo per decidere.

Nei giorni scorsi, infine, la Polonia ha annunciato la sua intenzione di stornare verso la difesa parte dei fondi di coesione che le erano stati destinati. L’Italia lo ha escluso, almeno finora, ma è evidente che a determinare l’impatto effettivo e collettivo dell’intero ‘pacchetto’ sarà anche la volontà e la capacità dei singoli paesi di servirsi degli incentivi messi a loro disposizione, in attesa che i negoziati sul prossimo bilancio comunitario (2028-2035)  facciano più luce sulla loro sostenibilità e consistenza future.

Prestito personale

Delibera veloce

 

La soluzione 5 per cento

Nel frattempo, all’interno della NATO, sembra delinearsi un’intesa di massima su come risolvere il problema dei nuovi target di spesa per gli alleati in vista del vertice di fine giugno all’Aja. Giorni fa il Segretario Generale Mark Rutte ha sostanzialmente confermato le indiscrezioni che parlavano di un target complessivo pari al 5 per cento del PIL, da raggiungere entro il 2032. Il target precedente (2 per cento), fissato nell’ormai lontano 2014, è ‘scaduto’ l’anno scorso, e se è stato rispettato come media complessiva alleata, non lo è ancora stato da paesi come Italia, Belgio o Canada (la Spagna ha appena annunciato che lo farà quest’anno).

Il nuovo target includerebbe, tuttavia, due ‘cesti’ distinti: il primo, pari al 3,5 per cento del PIL, riguarderebbe le voci più convenzionali dei bilanci nazionali della difesa; il secondo, pari all’1,5, coprirebbe invece gli investimenti in infrastrutture critiche e capacità cyber, la cui importanza è cresciuta vertiginosamente anche sull’onda del conflitto in Ucraina. Alcuni dettagli tecnici sembrano ancora da definire – a cominciare da che cosa esattamente includere in ciascuna categoria e dalla traiettoria fino al 2032 – ma un primo accordo-quadro potrebbe essere raggiunto già alla riunione dei ministri della difesa in calendario questo venerdì. La resistenza principale sembra al momento venire dalla Spagna, che pure era stata fra le prime a proporre di includere nel target il secondo cesto, ma che appare riluttante a presentarsi ad un’opinione pubblica già molto scettica con un altro impegno di spesa. Resta inolre da capire quanta flessibilità potrà essere tollerata fra i due cesti, e attraverso quali verifiche intermedie.

Non c’è dubbio tuttavia che, dal punto di vista strettamente politico, questa ‘soluzione 5 per cento’ potrebbe contribuire a disinnescare in anticipo una possibile crisi transatlantica, dato che coincide con la richiesta espressa da Trump, viene incontro alle esigenze di alcuni alleati europei, e proietta il target su un orizzonte temporale che va comunque al di là del mandato dell’attuale amministrazione americana e, presumibilmente, dello stesso conflitto in Ucraina. Al momento, del resto, nessun alleato potrebbe rispettare un eventuale 5 per cento ‘secco’ (solo la Polonia lo avvicina, gli stessi USA sono al 3,4), e in ogni caso l’ordine di crescita della spesa è tale da non essere raggiungibile in tempi brevi.

Quanto e perchè

Sia le discussioni strategiche che le scelte politiche (a livello nazionale e collettivo) restano comunque ancora condizionate da una serie di incognite importanti. Decidere quanto e come spendere per la difesa non è una scienza esatta, e dipende da numerose variabili. Dal punto di vista strettamente militare, trarre ‘lezioni’ immediate da quanto si è visto finora in Ucraina (o altrove) è tanto utile quanto rischioso: se è vero che i generali tendono spesso a combattere di nuovo l’ultima guerra – pianificando capacità e tattiche sulla base di come è stata combattuta e vinta, senza prevedere a sufficienza future innovazioni e varianti – è anche vero che a tutt’oggi quelle ‘lezioni’ non sono univoche; che le scelte di investimento possono variare anche sensibilmente (come indicano in fondo anche le diverse categorie previste sia dalla UE che dalla NATO); e che la relativa scarsità di risorse finanziarie e la concorrenza di altri tipi di spesa pubblica (talvolta più popolari) rendono le decisioni particolarmente complesse.

Lo dimostra anche la Strategic Defence Review appena condotta dal governo britannico, sulla base di un rapporto di 140 pagine preparato fin dal giugno scorso dall’ex Segretario Genrale della NATO George Robertson e da Fiona Hill, l’esperta di Russia che ha a lungo servito nel National Security Council americano. La SDR prevede infatti una crescita della spesa militare fino al 3 per cento del PIL ma ‘spalmata’ su più anni (entro appunto il 2032 o giù di lì) e distribuita fra sommergibili, droni, carri, munizioni, armi ‘autonome’ e soldati – cercando appunto di coprire l’intero arco di capacità ritenute al momento necessarie, anche a rischio di ricorrere a nuove tasse.

Dal punto di vista politico, inoltre, molto dipende anche dalla percezione pubblica della necessità di aumentare la spesa. Se l’ideologia MAGA aiuta a giustificare i mille miliardi di dollari stanziati da Trump nel “big, beautiful bill” di bilancio da poco approvato (per un voto) dalla House of Representatives; se considerazioni di credibilità strategica e status internazionale facilitano le scelte di Londra e Parigi; e se la prossimità della minaccia russa (convenzionale e ‘ibrida’) spinge i paesi baltici e nordici e la Polonia ad aumentare in modo massiccio la spesa per la difesa, è chiaramente più difficile convincere chi si sente – a torto o a ragione – meno esposto.

Per paesi come l’Italia o la stessa Spagna, insomma, il discorso andrebbe forse impostato anche in altri termini: la minaccia russa c’è, eccome, anche se non è altrettanto tangibile rispetto ad altre parti del continente; l’obiettivo di investire meglio (e assieme) è comunque ragionevole, anche in termini di politica fiscale e industriale, e in ogni caso la sicurezza come ‘bene pubblico europeo’ (con la solidarietà collettiva che ne deriva) dovrebbe avere lo stesso valore per tutti. Ma a guidare le scelte dei paesi più esitanti dovrebbe forse essere anche la prospettiva di un progressivo disimpegno militare americano dall’Europa (fianco Sud dell’Alleanza compreso): un disimpegno che potrebbe continuare ben oltre Trump e che potrebbe anzi essere all’ordine del giorno già nei prossimi mesi.



Source link

La tua casa dei sogni ti aspetta

partecipa alle aste immobiliari!

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Prestito personale

Delibera veloce