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Transizione 5.0: con la nuova Legge di Bilancio si va nella direzione giusta, ma… Con PwC Italia


Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

A distanza di un anno dal lancio ufficiale del Piano Transizione 5.0 e nonostante le recenti semplificazioni introdotte con la Legge di Bilancio 2025, lo strumento è ancora troppo lontano dal centrare gli obiettivi. A fronte dei 6,3 miliardi stanziati, appena un miliardo risulta essere stato effettivamente assegnato. Il motivo? La complessità della norma, nata all’interno del Pnrr, e la difficoltà per le imprese, in particolare le PMI, di gestire in autonomia un iter che richiede competenze trasversali e un’organizzazione strutturata.

E così rischia di fallire definitivamente il piano che avrebbe dovuto imprimere una spinta decisiva alla twin transition – la doppia trasformazione digitale ed ecologica delle imprese italiane. Perché manca di una visione di medio termine e una vera strategia industriale alla base. Delle ultime novità normative e del loro impatto – che è positivo ma solo marginalmente – abbiamo parlato con Ivan Lavatelli, partner di PwC Italia e responsabile dell’area Operations, che si occupa in particolare del supporto alle imprese nei percorsi di efficientamento e trasformazione digitale; con Vitalba Passarelli, partner di PwC Tls, esperta di fiscalità d’impresa e agevolazioni fiscali; e con Lorenzo Fiorillo, Esg director di PwC Italia, che segue da vicino le tematiche legate alla sostenibilità e alla transizione energetica. I tre professionisti fanno parte della Task Force 5.0 di PwC, un gruppo di lavoro multidisciplinare creato per accompagnare le imprese italiane nell’accesso agli incentivi legati a innovazione ed efficienza energetica.

Cosa cambia per Transizione 5.0: tutte le novità introdotte con la Legge di Bilancio 2025. Dalla possibilità di cumulo, ai casi di esenzione del calcolo del risparmio energetico, ai chiarimenti per gli asseveratori, alle semplificazioni procedurali  

Le modifiche introdotte con la legge di bilancio 2025 vanno nella direzione giusta e hanno reso l’accesso più semplice, cominciando ad attirare l’attenzione delle imprese. In particolare, la possibilità di cumulare il credito d’imposta con altri incentivi — come la Zes unica o i fondi europei — è uno degli elementi che ha avuto maggiore effetto nel riaccendere l’interesse, così come la semplificazione della procedura per accedere alla prima fascia di agevolazione (pari al 35%) nel caso di beni ammortizzati da almeno due anni.

La legge ha anche semplificato il sistema degli scaglioni di investimento. Le due precedenti fasce (fino a 2,5 milioni e tra 2,5 e 10 milioni di euro) sono state accorpate in un unico scaglione fino a 10 milioni di euro. A tale scaglione si applicano ora le aliquote più vantaggiose già previste per la prima fascia, ovvero 35%, 40% e 45%, in base alla riduzione dei consumi energetici ottenuti. (Fonte: Mimit)

A tutto questo si aggiunge un altro elemento chiave: la chiarezza delle Faq pubblicate da Gse e Mimit, che stanno aiutando le imprese a comprendere meglio la procedura e ad affrontarla con maggiore consapevolezza.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Tuttavia, restano due nodi critici che rischiano di frenare ancora l’adozione. Il primo è la scadenza del 31 dicembre 2025, considerata troppo ravvicinata rispetto ai tempi necessari per ordinare, ricevere, installare e collaudare i beni agevolabili, in particolare i pannelli fotovoltaici, che devono avere celle prodotte in Europa. Il secondo è la sproporzione tra l’investimento richiesto e i costi fissi legati alla certificazione ex ante, alla perizia 4.0 e alla perizia ex post: per cifre inferiori ai 300-400mila euro, il gioco rischia di non valere la candela. In molti casi, le aziende preferiscono ancora puntare sul 4.0, che scade a giugno 2026, garantendo tempi più distesi e requisiti meno onerosi. Non a caso, molti auspicano una proroga anche per il 5.0, sulla scia di quanto avvenuto in passato per il 4.0. Ma l’approvazione di un’estensione dipende dall’Europa, e al momento non se ne parla affatto.

Transizione 5.0: le imprese restano frenate dalla complessità del processo e delle competenze richieste per accedere al credito d’imposta

Ivan Lavatelli, partner di PwC Italia e responsabile dell’area Operations.

«Sicuramente le modifiche introdotte con la legge di bilancio 2025 – afferma Ivan Lavatelli, responsabile per la parte operations in PwC – incrementano la possibilità di accesso alle misure. Ma per le imprese resta difficile districarsi tra aspetti amministrativi, tecnologici e ambientali. Con il 5.0 si aggiunge una nuova expertise, quella legata alla transizione green, che è ancora poco consolidata. Le aziende non hanno un one-stop shop che parli tutte e tre le lingue, e questo crea smarrimento. Non è stata una sorpresa per noi: il primo impatto è stato di spaesamento generalizzato».

Il punto, secondo Lavatelli, è che «anche solo pensare di accedere all’incentivo è un lavoro in sé. Le imprese devono costituire un team interno interfunzionale, ma spesso non ne hanno le risorse. L’alternativa è rivolgersi a task force esterne, come quella che abbiamo messo a disposizione, che può supportare tutte le fasi del processo». La metodologia sviluppata da PwC è già stata testata con successo in ambito 4.0: «Abbiamo applicato un approccio scalabile – spiega – basato su una preanalisi degli asset, la definizione delle priorità e la strutturazione del progetto. In oltre il 95% dei casi, le valutazioni iniziali si sono rivelate corrette. Ragioniamo per cluster di asset, priorità, onde successive di investimento. Questo ci consente di accompagnare il cliente con gradualità, definendo la roadmap ottimale».

Estensione della cumulabilità: una svolta strategica per le imprese, che ora sono più propense a presentare la domanda di Incentivo 5.0

Una delle principali novità introdotte dalla legge di bilancio 2025 riguarda la possibilità di cumulo del credito d’imposta 5.0 con altre agevolazioni. In precedenza, il Piano Transizione 5.0 ammetteva la cumulabilità solo con misure finanziate da risorse nazionali. Oggi, grazie alle modifiche normative, è possibile cumulare il beneficio anche con strumenti agevolativi finanziati da fondi europei, come ad esempio il credito d’imposta per investimenti nelle Zone Economiche Speciali (Zes).

«La cumulabilità dell’incentivo sta destando molto più interesse – spiega Vitalba Passarelli, responsabile nazionale del team bandi e incentivi  in PwC –. Ad esempio, con la Zes unica, che prima era assolutamente vietata. Ora le imprese sono più ben disposte a rischiare. Anche la possibilità di cumulare i crediti 5.0 con fondi nazionali ed europei aiuta. Tuttavia, l’efficacia reale di questa misura dipenderà dalla chiarezza delle regole e dalla disponibilità di strumenti tecnici per semplificare la lettura e l’applicazione del cumulo».

Questa apertura rappresenta un cambio di paradigma significativo: le imprese possono ora strutturare pacchetti di incentivi più ricchi, a patto che le diverse misure non vadano a coprire le medesime quote di costo all’interno del progetto. Ad esempio, se un investimento in un impianto 4.0 beneficia del credito Transizione 5.0 per l’acquisto di macchinari, un ulteriore incentivo europeo potrà eventualmente coprire costi accessori come la formazione del personale o l’efficientamento energetico degli edifici.

Rimodulazione degli scaglioni: con l’accorpamento delle prime due fasce e l’applicazione delle aliquote più vantaggiose, la norma diventa più inclusiva e chiara

La legge ha anche semplificato il sistema degli scaglioni di investimento. Le due precedenti fasce (fino a 2,5 milioni e tra 2,5 e 10 milioni di euro) sono state accorpate in un unico scaglione fino a 10 milioni di euro. A tale scaglione si applicano ora le aliquote più vantaggiose già previste per la prima fascia, ovvero 35%, 40% e 45%, in base alla riduzione dei consumi energetici ottenuti.

Per gli investimenti superiori ai 10 milioni di euro il credito di imposta varia fra il 5% e il 15% a seconda degli interventi. (Fonte: Mimit).

Questa modifica si traduce in un ampliamento della platea di imprese che possono accedere alle aliquote massime. Ad esempio, un’azienda che investe 6 milioni di euro in nuovi macchinari digitali, ottenendo una riduzione del 6% nei consumi energetici del processo produttivo, potrà godere di un credito d’imposta del 40%, anziché del 10% previsto in precedenza per quella fascia di investimento.

Contabilità

Buste paga

 

L’esenzione del calcolo del risparmio energetico per la sostituzione di macchinari il cui ammortamento è terminato da oltre 24 mesi. un miglioramento sostanziale che rischia di essere vanificato dalla scadenza ravvicinata del piano

La nuova normativa distingue tra tre tipologie di moduli e introduce maggiorazioni differenziate. La maggiorazione più elevata premia dunque non solo l’efficienza, ma anche la provenienza dei materiali, in linea con le direttive europee sul reshoring e la sostenibilità.

Per favorire l’adozione della misura e velocizzare i tempi di accesso, la legge ha introdotto l’esenzione dal calcolo del risparmio energetico per la sostituzione di macchinari il cui ammortamento è terminato da oltre 24 mesi. In questi casi, si applicano automaticamente i parametri del primo scaglione di risparmio energetico (3% per la struttura o 5% per il processo), pur lasciando facoltà all’impresa di dimostrare un risparmio maggiore.

L’esenzione ha avuto impatti positivi, ma non risolve il problema chiave della scadenza ravvicinata del piano, fissata al 31 dicembre 2025.

«La scadenza è un ostacolo, anche per approvvigionare i macchinari che devono essere installati e collaudati entro fine anno – sottolinea Vitalba Passarelli – A volte le imprese virano sul 4.0, che scade a giugno 2026, perché quei mesi in più fanno la differenza. La proroga sarebbe molto interessante, ma ad oggi non se ne parla affatto».

Il rischio, secondo Passarelli, è che un’eventuale proroga anche se arrivasse sarebbe troppo tardiva a questo punto per essere davvero utile: «Se la proroga arriva a novembre o dicembre, per chi non si è mosso fa poca differenza. Sarebbe utile comunicarla per tempo, così le imprese possono pianificare». E intanto proprio perché la proroga appare al momento improbabile, il governo ha annunciato lo spostamento di 3 miliardi di euro dal piano Transizione 5.0 verso altre misure incentivanti, da attivare nel 2025.
«Al momento non è ancora chiaro su quali strumenti verranno riallocate queste risorse, e questa incertezza rende difficile per le imprese pianificare i propri investimenti», osserva Passarelli.

Acquistare beni attraverso le ESCo: un’opportunità che le imprese non colgono, anche se comporta il riconoscimento automatico del risparmio energetico

Lorenzo Fiorillo, Esg director di PwC Italia.

È stato invece accolto con minore entusiasmo l’aggiornamento normativo che ha riguardato il riconoscimento automatico del risparmio anche per i beni 4.0 acquisiti attraverso contratti Eoc (Energy Performance Contract) con una ESCo. In questo caso, il risparmio energetico è presunto, e vengono applicati i medesimi parametri semplificati del primo scaglione.

Queste misure puntano a snellire l’iter burocratico e incentivano investimenti che, pur avendo un impatto reale sulla sostenibilità, potrebbero risultare rallentati da procedure tecniche troppo onerose. «È un’apertura importante, soprattutto per quelle aziende che non hanno la liquidità per investire direttamente – spiega Lorenzo Fiorillo, consulente per la parte energia e sostenibilità – Tuttavia, resta una certa ritrosia. Le ESCo spalmano il capex su più anni, e questo genera incertezza nei clienti nel sottoscrivere contratti di lunga durata. Il mercato c’è, ma non è ancora maturo».

Semplificazione della parte energetica: più chiarezza, ma criticità nei tempi

Il piano 5.0 prevede un’analisi ex ante sul risparmio energetico derivante dall’investimento, una condizione necessaria per accedere all’incentivo. In questo duplice livello di controlli si insidiava il maggior rischio per le imprese perché avrebbero potuto vedersi revocare il credito se il risparmio effettivo ex post sarebbe stato inferiore a quello dichiarato ex ante. In questo ambito, i recenti chiarimenti normativi hanno semplificato il lavoro dei tecnici.
«Oggi la metodologia è chiara e aiuta sia nella redazione ex ante sia nella fase di sopralluoghi. Anche la parte di asseverazione è stata alleggerita: chi fa le analisi ha meno incertezze e più strumenti per lavorare in modo efficiente», afferma Lorenzo Fiorillo. Ma se l’analisi è più semplice, non lo è altrettanto l’approvvigionamento degli impianti.

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Maggiorazioni per il fotovoltaico: incentivi mirati alla sostenibilità, che rischiano di essere frenati dall’obbligo di approvvigionarsi da produttori europei

Il tema dell’approvvigionamento è particolarmente critico nel caso dei pannelli fotovoltaici, per i quali la legge di Bilancio ha aggiornato gli incentivi. La nuova normativa distingue tra tre tipologie di moduli (a, b e c) e introduce maggiorazioni differenziate: +30% per i moduli di tipo a); +40% e +50% per i moduli di tipo b) e c).

Queste categorie fanno riferimento a requisiti tecnici e livelli di efficienza energetica: ad esempio, i moduli di tipo b) e c) comprendono pannelli con componenti prodotti interamente in Europa, promuovendo la sovranità tecnologica e la filiera industriale interna. La maggiorazione più elevata premia dunque non solo l’efficienza, ma anche la provenienza dei materiali, in linea con le direttive europee sul reshoring e la sostenibilità.

«Tuttavia, se i pannelli devono avere celle prodotte in Europa, con determinati rendimenti le tempistiche non aiutano – spiega Fiorillo – A maggio, quando parte un ordine, le aziende possono garantire la consegna ma non sempre l’installazione. Sei mesi sono pochi e i produttori europei di celle fotovoltaiche non hanno la capacità per aumentare la produzione in caso di picchi di domanda».

Investimenti minimi e costi di accesso: sotto i 300-400 mila euro non conviene

Vitalba Passarelli, partner di PwC Tls.

Uno dei limiti più evidenti riguarda la convenienza economica dell’operazione. Il piano prevede costi fissi per certificazioni, asseverazioni, documentazione, che rendono sconvenienti gli investimenti di piccolo taglio. «Chi ha già completato l’ex post lo ha fatto su progetti piccoli – osserva Passarelli –. Ma sotto i 300–400 mila euro non conviene: i costi fissi sono elevati». In pratica, le Pmi che intendono investire somme inferiori a questa soglia rischiano di non ottenere un ritorno economico sufficiente a giustificare la complessità della procedura.

Insomma, il piano Transizione 5.0 è uno strumento con potenziale, ma che fatica ad affermarsi anche con le modifiche introdotte nel 2025. «Resta il rischio concreto – conclude Ivan Lavatelli – che il piano si trasformi in un’occasione persa. Le imprese hanno bisogno di una politica industriale stabile e coerente, che dia loro tempo e condizioni per pianificare. Altrimenti la transizione resta uno slogan, e non diventa una vera strategia di crescita».

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