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Lee Jae-myung eletto presidente della Corea del Sud


Il candidato progressista Lee Jae-myung è il nuovo presidente della Corea del Sud. Con lo spoglio alle battute finali, il suo principale rivale, il conservatore Kim Moon-soo ha riconosciuto la sconfitta, preso atto del distacco incolmabile di oltre cinque punti percentuali. Incontrando le migliaia di sostenitori in piena notte nei pressi dell’Assemblea nazionale a Seul, Lee ha assicurato che renderà “la penisola pacifica” e “avvierà un dialogo con la Corea del Nord per costruire la pace senza combattere”, seguendo un passo di “co-prosperità” con lo Stato eremita del leader Kim Jong-un.

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E farà anche “in modo che non ci sia mai più un colpo di stato militare” e che fin dal primo giorno del suo insediamento “lavorerà per ripristinare l’economia”, il tema più sentito durante una delle più aspre campagne elettorali degli ultimi anni.

La Corea del Sud ha quindi deciso di voltare pagina dopo sei mesi di caos politico innescato dal tentativo maldestro del 3 dicembre scorso di dichiarazione di legge marziale da parte di Yoon Suk-yeol, deposto da presidente agli inizi di aprile a chiusura del procedimento di impeachment. L’euforia è esplosa tra deputati e funzionari del Partito Democratico nell’Assemblea nazionale, dopo che gli exit poll hanno indicato in modo univoco il vantaggio di Lee. “Il popolo ha espresso un giudizio infuriato contro un regime che ha tentato l’insurrezione”, ha commentato a caldo il capo della delegazione parlamentare democratica Park Chan-dae, convinto sostenitore di Lee, nelle stesse stanze trasformate in una Alamo, l’ultimo bastione di difesa contro il peggiore attacco degli ultimi 40 anni alla giovane democrazia sudcoreana.

Di tenore opposto le reazioni del People Power Party: Na Kyung-won, co-presidente della campagna elettorale di Kim si “è detto scioccato” dallo scenario di vittoria di Lee. E la ragione è presto spiegata: per il Partito Democratico si tratta di una situazione inedita dato che potrà iniziare per la prima volta un mandato presidenziale di cinque anni con una maggioranza blindata in parlamento almeno fino al 2028, quando ci saranno le prossime legislative. Un’occasione unica per spingere su un pacchetto di riforme.

Tuttavia, mentre il Paese si è avvitato in un aspro scontro politico interno, il mondo esterno ha vissuto una straordinaria accelerazione. Ci sono i dazi di Donald Trump che rischiano di affondare l’economia sudcoreana e anche il sostegno granitico Usa contro il Nord potrebbe subire modifiche. La Cina è più aggressiva nelle acque del mar Giallo dove le rispettive zone economiche esclusive si sovrappongono. E le politiche di ingaggio con Kim Jong-un sono tutte da definire dato che il leader nordcoreano ha in Vladimir Putin la sponda utile per ottenere ciò che più gli serve senza fare concessioni di sorta, salvo fornire uomini e armamenti per la guerra russa all’Ucraina.

Per il momento, il vuoto di potere e il crescente malcontento diffuso in Corea del Sud hanno alimentato le richieste di cambiamento, preparando il terreno per quello che molti osservatori considerano un riallineamento politico. Una spinta che ha favorito Lee, pronto a rivendicare la presidenza a dispetto delle indagini penali in corso a suo carico. Ha promesso, tra i primi commenti, “una nuova partenza” e di impegnarsi “per adempiere ai suoi doveri e per soddisfare le aspettative del pubblico. Farò del mio meglio per non deludere. Grazie”. Tanti dossier e poco tempo per Lee: tra poche ore, a risultato ufficiale acquisto, il giuramento e l’ingresso nella Blue House, la sede dei presidenti della Corea del Sud.

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