Vorrei partire da un dato che può sembrare paradossale: non è il lavoro a mancare in Italia, ma chi ha le competenze per svolgerlo. Tra tutte, sono proprio le competenze manageriali a risultare oggi tra le più difficili da reperire. Lo conferma l’ultima indagine del sistema informativo Excelsior: nel 67% dei casi, le imprese dichiarano difficoltà nel trovare dirigenti.
Un dato allarmante, che non riguarda solo i vertici aziendali, ma una carenza più profonda di capacità di visione, leadership, gestione dei processi e delle persone. Processi che spaziano dalla sicurezza sul lavoro alla digitalizzazione, dall’innovazione all’organizzazione del lavoro. Senza manager, le imprese italiane non riescono a crescere né a innovare. E questo vale soprattutto per le PMI, che rappresentano una fetta importante del nostro tessuto produttivo.
Un sistema imprenditoriale in ritardo sulla transizione generazionale
Il 43% degli imprenditori ha più di 60 anni, e il 40% di questi affronterà un passaggio generazionale entro dieci anni. Eppure, solo il 18% ha iniziato a pianificarlo. I dati parlano chiaro: solo un terzo delle imprese supera la prima generazione, appena il 5% arriva alla terza.
Ma attenzione: anche il passaggio del testimone manageriale è spesso impreparato. Solo il 30% dei nuovi dirigenti, al momento della nomina, ha ricevuto un’adeguata formazione specifica sul ruolo. Questo si traduce in burnout, scarsa produttività e discontinuità aziendale. Serve quindi formazione mirata e pianificata, anche per chi guida l’impresa.
Si sta parlando dei cosiddetti “accidental managers”, un fenomeno accentuato dalla pandemia e dai cambiamenti organizzativi che ne sono derivati, la cui intensità potrebbe ulteriormente intensificarsi con il pensionamento dei baby boomer. Un sondaggio condotto da Robert Walters tra profili senior di diversa natura ha provato ad indagare nelle pieghe di questa tendenza cercando di capire le ragioni del gap di competenze della leadership moderna. Ne è emerso un quadro per certi versi preoccupante, che evidenzia (per esempio) come oltre la metà dei nuovi manager si sia sentito sopraffatto o eccessivamente carico di lavoro nel momento in cui ha assunto il nuovo ruolo di responsabilità e come il 70% dei manager italiani oggetto di indagine abbia dichiarato di non aver mai ricevuto una preparazione formale per la propria posizione.
Eppure Il miglioramento delle competenze non è solo un beneficio per i leader stessi, ma per l’intera organizzazione: in un mondo del lavoro in costante trasformazione, un manager preparato rappresenta una risorsa strategica per il successo aziendale, perché si rafforza la capacità decisionale, si migliora la gestione dei team e si favorisce la creazione di un ambiente di lavoro più inclusivo e produttivo.
Per questo con il CFMT (il Centro di formazione management del terziario che affianca i soci di riferimento, Confcommercio e Manageritalia, nella promozione culturale ed economica del settore), in collaborazione con SDA Bocconi un corso chiamato STARTING che ha da poco superato le cento edizioni e i 2.500 partecipanti manager.
Un programma rivolto ai neodirigenti del terziario (entro tre anni dalla nomina) e consente di accrescere non solo il loro capitale intellettuale, ma anche quello relazionale.
Il mismatch è anche qualitativo: servono leader del cambiamento
Non siamo davanti a un semplice squilibrio tra domanda e offerta. Il mismatch è quantitativo ma anche qualitativo: oggi non bastano più competenze tecniche, ma occorrono manager in grado di guidare il cambiamento, con leadership inclusiva, intelligenza emotiva e senso etico.
Per questo serve:
- formazione continua e qualificata, per questo nasce ormai più di tra anni fa nel CCNL dei dirigenti del terziario CFMT;
- collegamento stabile tra sistema educativo, imprese e territori;
- consulenza e orientamento professionale personalizzati;
- un osservatorio nazionale sulle competenze manageriali;
- politiche attive e strumenti per non disperdere il capitale esperto.
Politiche attive: un esempio concreto che funziona
Dal 2021, nel CCNL Manageritalia abbiamo introdotto un sistema di politiche attive bilateralmente finanziato, che supporta circa 500 dirigenti all’anno. Nonostante i 4.500-5.000 manager che ogni anno escono dal mercato del lavoro, il 70% di quelli intercettati viene ricollocato, e l’84% si dichiara soddisfatto. L’età media? 54 anni. Un segnale forte: si può ripartire anche a metà carriera, se esistono strumenti efficaci.
Lo facciamo con:
- l’head hunting e l’outplacement;
- il CFMT, che ogni anno eroga migliaia di giornate di formazione per manutenere le competenze dei manager;
- la piattaforma XLabor, costruita sui bisogni reali dei manager, un’agenzia del lavoro che indirizza alla rioccupazione;
- e soprattutto con il networking, da cui proviene l’80% delle ricollocazioni.
Attrazione e retention: il contratto collettivo come vero benefit
Formare è essenziale, ma trattenere i talenti lo è altrettanto. Il contratto collettivo per i dirigenti del terziario è un vero e proprio pacchetto di valore: retribuzione, previdenza complementare (Fondo Mario Negri), assistenza sanitaria integrativa (FASDAC), formazione permanente (CFMT), Piattaforme di welfare aziendale e servizi vari che vanno dal supporto psicologico, ai servizi professionali evoluti tutti gratuiti.
I numeri parlano da soli:
- +44% di dirigenti dal 2014 al 2024;
- +101% di donne dirigenti dal 2018 a oggi;
- 5.074 nuovi manager inseriti solo nell’ultimo anno;
- le donne rappresentano ormai il 22% dei dirigenti del terziario, con una crescita continua.
Una proposta: un polo nazionale per l’impiego manageriale
Serve ora un salto di sistema. Proponiamo la creazione di un polo nazionale stabile per l’impiego manageriale, che unisca:
- le esperienze degli enti bilaterali contrattuali privati;
- l’intervento pubblico e la formazione accademica;
- strumenti come i voucher per innovation e export manager, o di iniziativa regionale;
- nuove forme di sussidiarietà verticale tra istituzioni, territori e associazioni.
Serve un “ambiente nazionale di riferimento” in cui si possa sviluppare un confronto, una analisi ed una riflessione sulle caratteristiche della domanda di competenze manageriali, così diversificata in Italia, essendo un soggetto che aggrega migliaia di competenze manageriali, così da poterne indirizzare le politiche e le azioni promozionali. Occorre che il Governo coinvolga, per le politiche attive, la bilateralità nell’ambito di un accordo pubblico-privato che individui la strumentazione per l’incontro tra domanda e offerta manageriale. Occorre introdurre con la bilateralità un contributo per finanziare percorsi di assessment evoluto per il management, con l’accesso a servizi e politiche attive mirate.
In sostanza pensiamo alla creazione di un’Agenzia simile a quella esistente in Francia, l’APEC (L’Association pour l’emploi des cadres), che assicura il recruitment dei manager francesi svolgendo un servizio pubblico, pur essendo un’associazione privata ma alimentata da contributi pubblici e privati (contrattuali)
Il valore del manager è il valore dell’impresa
Le imprese italiane hanno bisogno di strutturarsi, non solo per sopravvivere, ma per competere. E questo significa investire sulle competenze manageriali, attrarle, formarle, ricollocarle, valorizzarle.
Come Manageritalia continueremo a lavorare per rappresentare i manager, sì, ma soprattutto per renderli protagonisti della crescita sostenibile, economica e sociale dell’Italia. Il talento non è un lusso, è un’infrastruttura strategica.
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