Fideiussioni omnibus e clausole anticoncorrenziali: intervista all’avvocato Nicola Ferraro
Le fideiussioni omnibus restano uno dei contratti più diffusi ma anche più dibattuti nei rapporti tra banche e clienti. Ne parliamo oggi con l’avvocato Nicola Ferraro, Founder Partner di de Tilla Studio Legale, per approfondire un tema delicato: la nullità delle clausole anticoncorrenziali contenute in queste fideiussioni e le implicazioni per banche e consumatori.
Nicola Ferraro, avvocato e founder partner di de Tilla Studio Legale
Il dibattito nasce nel 2005, con il provvedimento n. 55 della Banca d’Italia, che all’epoca aveva competenze in materia antitrust nel settore creditizio. La Banca d’Italia censurò alcune clausole contenute nei contratti standard di fideiussione omnibus predisposti dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), dichiarandole anticoncorrenziali, perché ritenute frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza tra banche.
Quali sono, nello specifico, le clausole censurate?
Si tratta principalmente di tre clausole molto comuni, che ancora oggi generano controversie:
1. la clausola che obbliga il fideiussore a restituire alla banca le somme pagate ma successivamente dichiarate inefficaci o annullate per qualsiasi motivo;
2. la clausola che consente alla banca di agire nei confronti del fideiussore senza rispettare i termini previsti dall’art. 1957 c.c., ovvero senza escutere prima il debitore principale;
3. la clausola che estende la garanzia a tutte le obbligazioni, anche future, del debitore.
Queste clausole, standardizzate dall’ABI, sono state giudicate lesive della libera concorrenza perché uniformavano indebitamente le condizioni contrattuali applicate dalle banche ai propri clienti, limitando fortemente la libertà negoziale.
Alla luce di ciò, che tipo di nullità è stata riscontrata? È totale o limitata a singole clausole?
Questo punto è stato oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale. Di regola, la nullità riconosciuta è quella relativa, ovvero limitata esclusivamente alle clausole anticoncorrenziali. In questo modo il contratto di fideiussione omnibus resta valido, ma vengono espunte le clausole dichiarate nulle, mantenendo valido tutto il resto.
Tuttavia, come ha chiarito anche la Cassazione a Sezioni Unite nel 2021 (sentenza n. 41994), può verificarsi anche una nullità assoluta: ciò accade quando si dimostri che quelle specifiche clausole erano essenziali nella volontà contrattuale delle parti, al punto che il contratto stesso non sarebbe stato concluso senza di esse. Solo in quel caso l’intera fideiussione può essere dichiarata nulla.
C’è poi la questione se questa nullità riguardi solo le fideiussioni omnibus o si estenda anche a fideiussioni specifiche. Quali sono le posizioni prevalenti?
Anche qui non esiste un orientamento uniforme. Una parte della giurisprudenza sostiene che la censura della Banca d’Italia sia applicabile solo alle fideiussioni omnibus, espressamente oggetto del provvedimento. Questa posizione è definita “restrittiva”. Vi è tuttavia una tesi, che personalmente condivido e definisco “estensiva”, secondo la quale qualsiasi fideiussione, anche specifica (relativa cioè a singole operazioni e non estesa all’intera esposizione debitoria del cliente), che replichi quelle stesse clausole anticoncorrenziali, dovrebbe essere ugualmente viziata da nullità relativa. Ciò che conta, infatti, è la presenza di quelle specifiche condizioni che derivano dall’intesa anticoncorrenziale originaria.
Ciò che cambia, in sostanza, è soltanto l’aspetto probatorio?
Esattamente. Nelle fideiussioni omnibus redatte sulla base dello schema ABI, il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia funge da “prova privilegiata” della presenza di un’intesa anticoncorrenziale. Per le fideiussioni specifiche, invece, il fideiussore deve fornire autonomamente la prova dettagliata che la banca, sottoscrivendo la fideiussione, abbia aderito effettivamente a una pratica restrittiva della concorrenza. Dunque, la differenza fondamentale è di natura probatoria.
Questo provvedimento della Banca d’Italia risale al 2005. È possibile invocarlo anche oggi, a distanza di quasi vent’anni?
Questa è quella che ho definito la “incognita temporale”. Se la banca ha continuato a utilizzare in modo identico le clausole censurate, allora si può sostenere che la pratica anticoncorrenziale sia perdurata, rendendo possibile invocare ancora il provvedimento del 2005. Alcuni tribunali seguono questa linea.
Al contrario, per fideiussioni stipulate molti anni dopo il 2005, è più probabile che i giudici chiedano al fideiussore una prova ulteriore e specifica del permanere della pratica anticoncorrenziale, verificando se effettivamente la banca abbia continuato a partecipare all’intesa restrittiva.
Dunque, la questione è ancora aperta e i punti da chiarire sono molti. Qual è il suo parere conclusivo?
Personalmente, ritengo che la tesi estensiva sia quella più corretta e coerente con lo spirito delle norme antitrust. Non ha infatti molto senso distinguere tra fideiussioni omnibus e specifiche quando le clausole anticoncorrenziali riprodotte nei contratti sono identiche. Ciò che conta è accertare se la banca abbia effettivamente partecipato a un’intesa restrittiva della concorrenza. L’aspetto probatorio, in questo senso, rimane cruciale e costituisce il vero banco di prova per le azioni giudiziarie future. In assenza di pronunce definitive delle Sezioni Unite su questi ulteriori punti, la mia raccomandazione pratica è quella di esaminare attentamente ogni singolo contratto e raccogliere puntuali elementi probatori sulla partecipazione della banca all’intesa restrittiva.
Grazie, avvocato Ferraro, per averci illustrato con chiarezza un argomento così delicato e complesso.
Grazie a voi, è stato un piacere approfondire queste tematiche con Affaritaliani.
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