IMU e case di riposo: crescono i contenziosi sulla tassazione degli immobili strumentali degli enti no profit e sulla possibilità di beneficiare dell’esenzione. In Commissione Finanze del Senato si chiede un intervento al Governo, ma il MEF frena
IMU sulle case di riposo, esenzione in bilico per le Onlus.
Crescono i contenziosi tra Comuni ed Enti non profit in merito all’esenzione IMU sugli immobili utilizzati per attività istituzionali, in particolare dopo una sentenza della Corte di Cassazione del 2024.
L’Agenzia delle Entrate sta procedendo all’emissione di avvisi di accertamento per la riclassificazione catastale degli immobili degli enti non commerciali che svolgono attività sociosanitarie, con un effetto a cascata sul fronte giurisprudenziale.
Una questione arrivata in Senato, con una proposta di risoluzione discussa il 3 giugno in Commissione Finanze e Tesoro nella quale si chiede al Governo di sciogliere i dubbi sull’applicabilità dell’esenzione IMU.
Il Ministero dell’Economia chiude però le porte ad un intervento risolutivo e il rischio è che i costi a carico degli enti vengano ribaltati sugli utenti e portino al rialzo delle rette.
IMU sulle case di riposo, esenzione nel mirino del Fisco. Rischio aumento delle rette
È stato il Presidente della Commissione Finanze del Senato, Massimo Garavaglia, ad aver presentato una proposta di risoluzione in relazione alla querelle sull’esenzione IMU degli immobili del terzo settore adibiti a strutture socio-assistenziali.
Sul tema delle strutture usate come case di riposo, ma anche ad esempio come centri diurni per anziani non autosufficienti, ad “accendere la miccia” è stata la sentenza della Cassazione n. 32690/2024, con la quale è stato affermato che non è sufficiente che un immobile sia utilizzato per attività assistenziali o sanitarie, in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e con tariffe regionali imposte, per avere diritto all’esenzione IMU.
Un principio che si applica nonostante il rispetto dei requisiti previsti dal Decreto Ministeriale n. 200 del 2012, che in particolare gli articoli 3 e 4, comma 2 stabilisce le condizioni per considerare le attività istituzionali svolte con modalità non commerciali.
Tra queste, il divieto di distribuire utili, l’obbligo di reinvestire gli avanzi di gestione per lo sviluppo delle attività istituzionali e la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento a enti con analoghe finalità.
L’articolo 4, inoltre, specifica che le attività assistenziali e sanitarie si intendono non commerciali quando sono accreditate, contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, e sono svolte in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, offrendo servizi gratuiti o con eventuali importi di partecipazione alla spesa.
Sulla base di quanto sopra quindi, la norma riconosce l’esenzione IMU indipendentemente da eventuali pagamenti da parte degli utenti, o dei familiari, a titolo di partecipazione alla spesa. Si tratta infatti di cofinanziamenti di servizi previsti per legge.
La Cassazione tuttavia, pur riconoscendo l’esistenza di questo decreto, ha evidenziato che il solo rispetto dei requisiti previsti dal decreto ministeriale non garantisce automaticamente l’esenzione, lasciando un vuoto interpretativo che ha aperto le porte a un’ondata di contestazioni comunali.
Onlus ed ETS, IMU sugli immobili potenzialmente produttivi di lucro
La questione cruciale, sulla quale è intervenuta la Corte di Cassazione, riguarda la quindi la definizione di non commercialità dell’attività e l’impatto della partecipazione alla spesa da parte degli utenti.
Secondo la logica degli enti, questa compartecipazione non dovrebbe snaturare il carattere non commerciale dell’attività, in quanto gli utili sono per legge reinvestiti per il miglioramento dei servizi e non distribuiti.
Nonostante ciò, l’orientamento giurisprudenziale, inclusa la citata sentenza di Cassazione, sembra non aver tenuto in debito conto questa specificità, portando all’assoggettamento all’IMU anche di immobili che, pur essendo strumentali e utilizzati per attività socio-sanitarie non lucrative, vengono considerati “potenzialmente” produttivi di lucro.
Dopo la sentenza della Cassazione, gli accertamenti del Fisco: case di riposo riclassificate da B/1 a D/4
Un altro fronte caldo del contenzioso riguarda la classificazione catastale degli immobili. Gli immobili utilizzati dagli enti del Terzo Settore per servizi socio-sanitari (come RSA, centri diurni, comunità alloggio) sono tradizionalmente classificati nella categoria catastale B/1, che presuppone un utilizzo coerente con una funzione sociale o assistenziale e l’assenza di fini di lucro.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate sta emettendo avvisi di accertamento attribuendo a tali immobili la categoria catastale D/4, sostenendo che essi potenzialmente potrebbero generare lucro, anche se gestiti da enti senza scopo di profitto.
Una linea rigida che tuttavia, secondo quanto evidenziato nella proposta di risoluzione discussa in Senato, svuoterebbe di contenuto la categoria B/1, poiché qualsiasi immobile, per sua natura, potrebbe potenzialmente generare reddito. L’elemento discriminante per la classificazione in D/4 non dovrebbe essere la richiesta di una retta per la compartecipazione alla spesa, ma la finalità lucrativa dell’ente, che per le Onlus è per definizione assente.
Il MEF frena. Rischio che la mancata esenzione IMU porti all’aumento delle rette
Di fronte a questa situazione di incertezza e al rischio di compromettere la sostenibilità economica degli enti del Terzo Settore, la richiesta avanzata al Governo con la proposta di risoluzione discussa il 3 giugno è duplice.
Da un lato introdurre una disposizione interpretativa delle norme sull’esenzione IMU, che confermo il diritto a beneficiarne in relazione agli immobili posseduti, usati come beni strumentali e destinati esclusivamente ad attività socio-sanitarie e assistenziali, in ragione della prevalenza dell’attività non lucrativa rispetto a quella commerciale eventualmente svolta.
In parallelo, stabilire che la classificazione catastale degli immobili strumentali degli ETS in categoria B/1 avvenga a condizione che l’utilizzo sia coerente con la funzione sociale, assistenziale o socio-sanitaria e che non vi sia un’attività imprenditoriale con fini di lucro, come stabilito dall’articolo 91-bis del decreto-legge n. 1 del 2012. In caso di attività miste e di utilizzo dell’immobile per finalità di lucro, la risoluzione chiede inoltre di prevedere una riduzione della rendita catastale.
Il MEF, per voce del Sottosegretario Freni, si è però espresso negativamente preannunciando una valutazione non positiva da parte del Governo.
Pur evidenziando la disponibilità ad un supplemento di istruttoria, resta però l’impasse e il problema dell’effetto pratico degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate.
Come evidenziato dal Presidente della Commissione Finanze del Senato:
“l’eventuale riclassificazione catastale delle case di riposo in D/4 ha un diretto impatto sul conto economico delle aziende e quindi sulle rette degli ospiti.”
Una questione che resta aperta e che, al netto delle questioni giurisprudenziali, rischia di avere un impatto diretto non solo sugli enti ma anche sugli utenti dei servizi resi dagli enti no profit.
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