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UNIMPRESA * BCE: «LA BANCA EUROPEA TAGLIA I TASSI, MA LE PMI FATICANO ANCORA AD ACCEDERE AL CREDITO»


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16.02 – giovedì 5 giugno 2025

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

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Il taglio di un quarto di punto deciso oggi dalla Banca centrale europea – che porta il tasso sui depositi al 2%, quello sui rifinanziamenti principali al 2,15% e il tasso sui prestiti marginali al 2,40% – apre formalmente una nuova fase espansiva nella politica monetaria dell’Eurozona. Ma il segnale positivo che arriva da Francoforte rischia di non tradursi, almeno nel breve periodo, in un effettivo miglioramento dell’accesso al credito per le piccole e medie imprese italiane. Il costo dei finanziamenti per le pmi rimane elevato, con tassi superiori al 5,5% per prestiti inferiori ai 250.000 euro, ben al di sopra della media Ue.

È quanto si legge in un paper del Centro studi di Unimpresa, secondo cui il flusso netto di nuovi prestiti al comparto produttivo resta negativo e, anche se i tassi Bce scendono, le banche continuano a mostrare estrema cautela nell’erogazione, mantenendo condizioni rigide, richiedendo garanzie più onerose e applicando spread elevati. Le difficoltà sono legate a una serie di fattori: da un lato l’inerzia delle banche nel trasferire il calo del costo del denaro alle condizioni praticate ai clienti, dall’altro il profilo di rischio delle microimprese, spesso penalizzate da dimensioni ridotte, patrimoni limitati e difficoltà nell’ottenere rating formali. Le stesse garanzie pubbliche – come quelle del Fondo centrale per le pmi – restano uno strumento decisivo, ma oggi meno accessibile rispetto al biennio pandemico.

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«Occorrono misure complementari al taglio dei tassi: serve un rafforzamento degli strumenti pubblici di garanzia, un impegno da parte del sistema bancario a sostenere la piccola impresa e l’attivazione di canali alternativi di finanziamento, come minibond, piattaforme fintech e credito diretto. Il rischio, altrimenti, è che la svolta della Bce rimanga confinata alle grandi imprese, lasciando indietro la spina dorsale dell’economia italiana» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, la decisione odierna della Banca centrale europea di tagliare i tassi di interesse di 25 punti base – con il tasso sui depositi che scende al 2%, quello sui rifinanziamenti principali al 2,15% e quello sui prestiti marginali al 2,40% – rappresenta un’inversione di tendenza rispetto al ciclo restrittivo che ha caratterizzato gli ultimi due anni. Tuttavia, per le piccole e medie imprese (pmi) dell’Eurozona, e in particolare per quelle italiane, la riduzione del costo del denaro non si traduce automaticamente in un miglioramento dell’accesso al credito. N

onostante il taglio dei tassi, i dati più recenti mostrano come le condizioni di offerta di credito da parte degli intermediari rimangano restrittive. Il credito alle imprese non finanziarie ha continuato a contrarsi, con un -1,6% su base annua ad aprile, e il flusso netto di nuovi prestiti resta negativo in molti paesi, Italia inclusa. Questo riflette una persistente cautela da parte del sistema bancario, legata a: aumenti della rischiosità percepita, standard di concessione ancora rigidi, maggiori richieste di garanzie, spread sui prestiti ancora elevati, soprattutto per le imprese minori. Le pmi italiane, che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo, si trovano a fronteggiare ostacoli specifici nell’accesso al credito, tra cui: dimensioni ridotte e capitale limitato, che ne penalizzano il merito creditizio, margini erosi dall’inflazione e dalla stretta precedente, con indici di copertura più fragili, ritardi nei pagamenti dalla pa e da grandi committenti, che aggravano la posizione finanziaria netta, costi fissi bancari sproporzionati, che rendono economicamente svantaggioso per le banche erogare prestiti di piccola entità. Inoltre, molte pmi italiane non dispongono di un rating formalizzato né di sistemi di contabilità gestionale evoluti, e ciò le penalizza nell’interlocuzione con il sistema bancario, sempre più vincolato da metriche standardizzate e regole di vigilanza (come il calendario degli npl e le nuove disposizioni Eba sul default).

Il taglio dei tassi deciso oggi incide direttamente sul costo della raccolta e dei rifinanziamenti per le banche, ma il trasferimento ai clienti finali – in termini di riduzione dei tassi praticati – non è automatico né uniforme. Alcuni fattori contribuiscono a questo disallineamento: ritardi nell’adeguamento dei tassi attivi rispetto a quelli passivi, spinta delle banche a mantenere i margini di interesse netti, dopo anni di compressione, preferenza per clientela corporate di maggiore dimensione, più redditizia e meno rischiosa, persistente selettività degli istituti di credito verso i settori più esposti (es. costruzioni, turismo, microimprese manifatturiere).

A parziale compensazione di questi vincoli, resta centrale l’intervento del Fondo di garanzia per le pmi, che copre fino all’80% del rischio. Tuttavia, dopo il periodo di massimo utilizzo tra 2020 e 2022, anche tale strumento ha visto una riduzione delle risorse e un inasprimento delle condizioni di accesso, sia per effetto della normativa sugli aiuti di Stato, sia per volontà di contenere il rischio sistemico. Se da un lato il ciclo dei tassi ha ufficialmente cambiato direzione, dall’altro lato le pmi continuano a operare in un contesto creditizio difficile.

Il costo medio dei nuovi prestiti sotto i 250.000 euro – tipico delle microimprese – resta sopra il 5,5% in Italia, contro una media europea del 4,8%. Il tempo medio di istruttoria supera ancora i 40 giorni e la quota di domande respinte o ridimensionate è superiore al 30%. Il taglio dei tassi è condizione necessaria, ma non sufficiente per risolvere il problema del credito alle pmi. Servono misure strutturali di accompagnamento: garanzie pubbliche rafforzate, strumenti di finanza alternativa (minibond, crowdfunding, piattaforme fintech) e un sistema bancario incentivato a sostenere davvero la microimprenditorialità. Altrimenti, l’effetto espansivo della politica monetaria rischia di restare confinato ai grandi gruppi e di non raggiungere il cuore produttivo del Paese.

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